Genitori e figli, chi era il killer? La Circe della Versilia e il delitto di Balsorano - II parte
Veniamo dunque alla nostra consueta analisi, basata anche sulle interviste a suo tempo concesse dalla Redoli alla solita Franca Leosini, per “Storie maledette” e a un servizio dedicato al caso addirittura da Sandro Curzi, presenti la stessa Leosini e Vittorio Feltri. Cappelletti non ha mai parlato. Qualcuno ha voluto informare il pubblico che l’ormai ex carabiniere sarebbe cugino di un altro omicida, originario delle stesse zone.
Maria Luigia espone alcune circostanze: non ha sposato Luciano per amore, ma per sistemarsi; lo accusa esplicitamente di essere un usuraio; ammette di aver pensato di eliminarlo, esasperata dal suo dispotismo e dalla meschinità come figura paterna, ma rivela che quei due figli non erano di Iacopi, “non in grado di ingenerare”; pertanto, aveva ritenuto di rivelare alla sola Tamara, più grandicella, la verità, riservandosi di parlare con Diego una volta cresciuto, cosa che non fece in tempo a realizzare, cosicché il figliolo venne a saperlo dai giornali, dopo il delitto. La Redoli insiste che quello dell’omicidio del marito fu un pensiero fugace, per il che richiamò in tempi strettissimi il veggente coinvolto in un primo momento, disdicendo ogni intenzione ( e senza riavere l’anticipo). Fin qui, la donna non alleggerisce la sua posizione, invero, anzi, fornisce ulteriori motivi per ritenerla colpevole. Se Iacopi sapesse di non essere genitore biologico, non è mai stato chiarito, come la paternità di Diego, che potrebbe anche essere diversa da quella di Tamara: misteri su misteri.
Tuttavia, qualche dubbio rimane, e non da poco. Come potevano sapere gli aspiranti omicidi, già insieme durante il pomeriggio e la cena fuori, che Iacopi si sarebbe “liberato” alle 21.45, riuscendo a colpire con precisione cronometrica, atteso che sono noti i loro orari al ristorante e verso le 22.05 sono stati notati entrare alla disco? Luigia non passava mai inosservata, era personaggio piuttosto conosciuto. Con quel risicato lasso di tempo a disposizione, perché Cappelletti indugia in ben 17 coltellate, quando ne sarebbero bastate meno? E ancora: il giovanotto era stato al mare con la sua donna e i figli, bagnando il gesso, che aveva dovuto sfilarsi per un’irritazione ma, secondo la sentenza, lo avrebbe rimesso per uccidere, rischiando di macchiarlo indelebilmente di sangue, quando, poi esaminato, fu trovato candido. Entrambi indossavano gli stessi abiti a cena e in discoteca, anch’essi senza tracce ematiche: e se si può capire per lei, risulta difficile pensarlo per lui, dopo l’accanimento contro Iacopi. Ultimo, ma non ultimo, qual era l’esatta postazione di Tamara e Diego, in tutto il pastiche?
L’ottima Leosini torna sulla vicenda con una puntata di “Ombre sul giallo”; tra una metafora e l’altra della sua rocambolesca retorica, riusciamo a fermare l’attenzione su un aspetto evidenziato dall’avvocato Rosario Bevacqua ( già difensore di Pietro Pacciani), che fu uno dei legali di Luigia. Due cose egli ci fa notare, la prima, confermata da un consulente in studio: a una attenta disamina delle foto scattate al cadavere, si vede chiaramente che il sangue è ancora fresco e riflettente, circostanza che da sola escluderebbe la morte prima della mezzanotte. Si tratta di una tecnica forense inedita, che non ci risulta abbia avuto molti seguaci. Il secondo appunto riguarda le risultanze dell’autopsia: essa avrebbe rilevato, nello stomaco della vittima, la presenza di melanzane e formaggio, mentre la sua compagna aveva precisato che Luciano, ghiotto di primi piatti, da lei si era limitato a quelli, eccedendo nelle porzioni di pasta, poi un dolce, ma niente secondi o contorni. Iacopi aveva cenato altrove, nascondendo qualche suo giretto anche alla “fidanzata?” Ci sarebbe poi anche da dire che non è stato provato l’ingresso della Redoli in casa, o che sia stata lei a chiudere con le mandate.
L’arguzia di Bevacqua e del professore che lo affiancava non servì a stimolare la revisione del processo. La Redoli si fece circa 26 anni, non tutti in carcere, gli ultimi con i benefici e il servizio di volontariato. Le cronache narrano di un secondo matrimonio, di una patologia renale che la ridusse all’immobilità, assistita, ad Arezzo, da alcune badanti e in compagnia di due cagnolini, senza il secondo coniuge a fianco. A detta di un vicino, Diego veniva saltuariamente in visita. E Tamara?
Durante il primo processo, conclusosi con l’assoluzione, aveva affiancato la mamma come un ombra, oltre che sosia più giovane; dopo la condanna, sempre stando ai media, l’avrebbe rinnegata. Durante la trasmissione di Curzi, la ragazza ( ereditiera, come Curzi le fa notare) protestò vivacemente che non si doveva offendere la memoria del padre chiamandolo strozzino e replicò sgarbatamente alle domande sulla madre.
Maria Luigia, amareggiata, protestò di essere stata una buona madre e alluse al ruolo della figlia nell’omicidio: si sarebbe dunque sacrificata per lei? L’eredità del padre/non padre è andata tutta a Tamara e Diego, che si erano anche pubblicamente opposti alla richiesta di grazia di Maria Luigia, scomparsa nel 2019.
Il delitto di Balsorano
Alcuni crimini, già in passato, hanno sofferto di una sottoesposizione mediatica, quando avrebbero meritato più attenzione, in quanto oscurati da altri dello stesso periodo, che hanno quasi monopolizzato l’attenzione, complici i media. E’ questo il caso. Non che non si sia parlato di Cristina Capoccitti, trovata strangolata e finita a pietrate in una frazioncina di Balsorano, provincia de L’Aquila, il 24 agosto 1990; è che via Poma, il 7 dello stesso mese, catturava gli animi anche nella calura che distrae dalla cronaca.
L’ambiente ristretto e paesano dell’Abruzzo interno, scuro e intriso di atmosfere alla Fontamara, fa da sfondo a una piccola e infame storia mai del tutto risolta, oltre la sentenza ufficiale. Cristina ha sette anni, un viso dolce, tipico delle genti autoctone di una volta, occhioni scuri, caschetto di capelli a incorniciarle il visetto. Gira spensierata in bicicletta e quella sera, mentre prende uno yogurt, avvisa i genitori, più o meno “ non ci chiamate, torno da sola”. Importante è la prima parte dell’annuncio, che lascia intendere come la piccola vada a spasso in compagnia. Così accade, infatti, ogni tanto, per esempio col cuginetto, il tredicenne Mauro Perruzza.
Quando si scopre il corpo della ragazzina, quasi denudato, il cerchio si stringe in fretta attorno ai parenti e Mauro confessa, con due versioni contrastanti: prima una sorta di incidente, poi un raptus sessuale preadolescenziale. Le sue parole furono registrate su una cassetta che sparirà, con grave disdoro per gli inquirenti: le forze dell’ordine che all’epoca interrogarono, accusate di aver pilotato o estorto dichiarazioni al giovincello, e la procura, che lo avrebbe sentito da solo, senza i genitori e il legale, fatto grave quando l’indagato è minorenne. A parziale scusante, qualcuno addusse la fresca entrata in vigore del nuovo codice penale, che avrebbe disorientato gli investigatori e confuso le procedure.
Tuttavia le carte in tavola si rimescolano subito, allorché Mauro punta il dito contro il proprio padre, il muratore Michele. Ad aggravare la posizione dell’uomo, ci si mette anche la moglie, che prima lo accusa citando frasi che il marito avrebbe pronunciato prima della scoperta del cadavere, poi ritratta e fornisce un alibi, senza però accusare il figlio. Una bolgia appesantita dalle analisi su un paio di slip, con sangue prima attribuito al padre, poi al figlio, e da una simulazione da cui verrà fuori che Mauro non avrebbe potuto, come sosteneva, vedere il padre commettere il delitto, dalla posizione in cui aveva detto di trovarsi.
Michele Perruzza uscirà dal carcere solo in ambulanza, nel 2003: colto da un malore, morirà in ospedale, gridando al mondo la sua innocenza.
Il papà incarcerato e la mamma isolata dai paesani avrebbero taciuto dunque, per salvare il "figliolo"?