Di seguito il testo di una mail inviataci dall'Ufficio Stampa dell'Università di Torino con oggetto:

Nota del Rettore su presenza di Brahim Baya a Palazzo Nuovo

Le parole di violenza pronunciate da Brahim Baya durante il sermone tenuto a Palazzo Nuovo occupato non si conciliano con un’idea di Università come luogo democratico di scambio e confronto. Al contrario, affermano valori che sono in contrasto con l’idea della pace e della convivenza tra i popoli.  L’Università di Torino, quindi, ribadisce la ferma condanna per quanto è accaduto negli spazi autogestiti dagli occupanti ed esprime profondo rammarico per un’iniziativa che contraddice i principi fondamentali della laicità e del pluralismo nelle istituzioni.  L’Università di Torino auspica quindi che Brahim Baya possa riconsiderare quanto accaduto e voglia quindi astenersi in futuro da altre iniziative che possano mettere in discussione i valori fondativi della nostra comunità scientifica o ledere l’immagine pubblica del nostro Ateneo. Intanto il dialogo con gli occupanti continua. Anche questa mattina una delegazione di UniTo ha incontrato chi ancora presidia Palazzo Nuovo. Finita l’occupazione del Rettorato, restituito alla sua piena agibilità funzionale, la delegazione ha ribadito ai manifestanti la richiesta di consentire, già per lunedì, il ripristino dell’attività didattica in presenza e tutte le attività lavorative. Occorre quindi perseverare nella ricerca del dialogo, strumento essenziale per giungere al più presto ad una soluzione che consenta la pronta e piena ripresa della vita universitaria laddove negata. Il Rettore, Stefano Geuna

Per non sbagliare, riprendiamo quanto pubblicato dall'agenzia LaPresse in relazione alle presunte "parole di violenza" che Brahim Baya, Sermone del venerdì di Brahim Baya a Palazzo Nuovo, sede delle facoltà umanistiche dell'Università di Torino, avrebbe pronunciato in occasione dell'occupazione da parte degli studenti per chiedere lo stop agli accordi di collaborazione con le università dello Stato di Israele, in quanto ritenuto (e non certo a torto in relazione alle ordinanze della Corte Internazionale di Giustizia dell'Aia) "entità genocida".

"La Palestina - ha dichiarato Brahim Baya - è da sempre mira degli invasori. I palestinesi negli ultimi mesi hanno resistito a questa furia omicida, ma sono ancora in piedi e il loro insegnamento arriva a noi, questa loro sofferenza è una forma di jihad nel più alto senso di questo termine come sforzo per difendere i propri diritti, come sforzo per difendere la vita umana, come sforzo per difendere la pace. Un jihad – sottolinea l’imam – che vediamo in Palestina nella sua più importante manifestazione, in cui ognuno contribuisce a questa lotta di liberazione cominciata dal primo momento in cui i sionisti hanno calpestato quella terra benedetta". 

Eventualmente, per chi ne avesse voglia e tempo, questo il video del sermone tenuto da Brahim Baya di cui si è lamentato il rettore Genua.

Dov'è la violenza? La violenza sarebbe nell'uso del termine Jihad?

Questo è ciò che dice al riguardo l'enciclopedia Treccani su Jihad:

"Termine arabo che può essere tradotto come "sforzo", da intendersi "sulla via di Dio", come impegno di automiglioramento del credente (j. al-ākbar, grande j. o j. superiore), di natura eminentemente intellettuale, rivolto ad esempio allo studio e alla comprensione dei testi sacri o del diritto: in tale accezione, il concetto appare semanticamente diverso dalla traduzione di "guerra santa" frequentemente proposta. Accanto a una dimensione interiore del j. (ṣabr), riferita anche alla pratica di una "perseverante pazienza" di fronte ai nemici e alle vicissitudini esistenziali, esso deve anche intendersi in funzione difensiva, come forma di autodifesa, da praticarsi senza eccessi contro i persecutori (j. as-asghar, piccolo j. o j. inferiore), per la preservazione e la diffusione dell'Islam. Una lettura più aggressiva del termine, derivata da alcune interpretazioni di sure contenute nel testo sacro oltre che da diversi ḥadīth (brevi narrazioni che riportano il pensiero e l’insegnamento di Maometto), ne enfatizza il significato di vera e propria lotta fisica, accezione che tra la fine del 20° secolo e i primi anni del 21° secolo è risultata prevalente al punto da generare la traduzione di "guerra santa", riferita agli attacchi terroristici di matrice islamica perpetrati contro l'Occidente".

E tanto per dare un ulteriore contributo a come si debba correttamente interpretare jihad è utile ascoltare anche una lezione dello storico Franco Cardini:

Pertanto, che cosa abbia da condannare il rettore Genua e come possa affermare che "quanto è accaduto negli spazi autogestiti dagli occupanti" contraddica "i principi fondamentali della laicità e del pluralismo nelle istituzioni" è oggettivamente incomprensibile.

Per questo, in riposta alla mail ricevuta, all'Ufficio Stampa dell'Università abbiamo inviato il contenuto di questo articolo. Nel caso dovessimo ricevere replica, saremo ben lieti di pubblicarla.



Crediti immagine: biblioteca dell'Università di Al-Aqsa
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