Mancanza di lavoro, prospettiva zero, politiche scellerate, fatto sta che nel Sud dell'Italia, i piccoli comuni stanno lentamente scomparendo, lasciati in balia della crisi di identità che da anni avvolge la nostra Nazione.

Pochi giovani, poche nascite e tanta indifferenza da parte di una classe politica che, ha sperperato danaro pubblico, dirottandolo verso mete lontane anni luce dalla reale destinazione.

Una progressiva desertificazione di un’intera area del nostro Paese che dovrebbe far riflettere.

Nei 7 anni della crisi, dal 2008 al 2015, il saldo migratorio netto è stato di 653mila unità: 478mila giovani di cui 133mila laureati, con le donne in misura maggiore rispetto agli uomini. A questi si accompagna una perdita di popolazione di 2 mila unità nella fascia di 0-4 anni in conseguenza al flusso di bambini che si trasferiscono con i genitori. Intere famiglie con le valige in mano verso nuovi orizzonti.

Dal 2015 a oggi poco o nulla è cambiato, anzi in alcuni casi, specie nelle aree interne, la situazione è addirittura peggiorata.

Un Sud inquinato dai luoghi comuni, da speculazioni e tormenti di un potere occulto che nel tempo ha coltivato una mentalità clientelare, diventata ormai una cultura, un modo di governare che impoverisce l’intera area. E’ in questo sistema che efficienza e meritocrazia vengono sacrificati in nome dell’interesse privato.

Un Sud senza futuro dunque che ha perso la sua dignità, barattandola con una sudditanza al politico di sempre, un Sud senza lavoro che impedisce ai più di progettare un futuro, costruire una famiglia, acquistare una casa. Il lavoro non è solo una questione economica ma un sistema dove l’individuo costruisce la propria identità e quella della comunità in cui vive. E’ un segno di civiltà in “una Repubblica Democratica” che dovrebbe appunto essere, come sancito dalla Costituzione, “fondata sul lavoro”.