Nei manuali dogmatici tradizionali, la misericordia di Dio è trattata come una delle proprietà di Dio tra le altre e, il più delle volte, solo brevemente dopo le altre proprietà, che derivano, come concetto, dalla comprensione di Dio metafisica dall’essenza di Dio[1]. Per esempio nel terzo capitolo - sottotitolo “De Merito” del manuale di Adolf Tanquerey: Synopsis Theologiae Dogmaticae, troviamo un breve accenno alla misericordia: Vita aeterna datur ex misericordia qui coronat te in misericordia (La vita eterna è data dalla misericordia che ti incorona di misericordia),[2] collegato al discorso sulla giustizia. L’articolo De existentia meriti inizia dalla presentazione degli errores nell’insegnamento di Martin Lutero e dalla thesis: Justa bona opera, debitis vestita conditionibus, vere merentur augmentum gratiae et vitam aeternam (Le opere buone giuste, rivestite delle dovute condizioni, meritano in verità l’aumento della grazia e la vita eterna)[3]. Più avanti, nella questione sottotitolo: De amore beatifico, la misericordia è presentata come una delle perfezioni di Dio, con un richiamo all’insegnamento di san Paolo e di sant’Agostino (una pagina sola)[4]. In un’altra parte del manuale si parla di una sola visione di Dio (sola visione Dei) come Summi Boni la quale è la prima sostanza: Dicunt amorem pertinere quidem ad statum beatitudinis, non autem ad eius essentiam (Dicono che l’amore appartiene certamente allo stato di beatitudine, non al contrario alla sua essenza)[5]. Nella questione sottotitolo: De purgatorio, invece, troviamo appena due righe sulla bontà di Dio con una breve presentazione della dottrina di san Tommaso[6]. 

Ott, invece, nel suo compendio dogmatico, introducendo il tema della misericordia, lo colloca tra gli attributi di Dio in generale, dove afferma che essi sono perfezioni di Dio, derivanti dall’essenza metafisica di Dio (6 righe)[7]. Poi, sotto la questione de Fide, continua a dimostrare la distinzione tra gli attributi e l’essenza di Dio, che per lui sono identici tra di loro e connaturati all’essenza divina. Egli sviluppa l’argomento, richiamando la Sacra Scrittura, i vari concili, le eresie, la dottrina di sant’Agostino e di san Tommaso (2 pagine e mezza). Nel capitolo primo, parlando de gli attributi dell’essere divino, richiama l’insegnamento del Concilio Vaticano I, secondo cui, Dio è infinito in ogni perfezione (omni perfectione infinitus); e la Bibbia parla in modo indiretto della perfezione assoluta di Dio, quando mette in risalto l’autosufficienza e l’indipendenza di Dio nel confronto con tutti gli altri esseri (10 righe)[8]. Intorno alla tematica della bontà di Dio, sviluppa il discorso come il vero ontologico che è l’ente in relazione all’intelletto, cioè in quanto conoscibile, così il bene ontologico è l’ente in relazione alla volontà (cioè in quanto appetibile: bonum est ens in quantum est appetibile)[9]. La misericordia per Ludovico Ott è la benevola bontà in quanto soccorre alla miseria delle creature, specialmente a quella del peccato. Ed è interessante il discorso che dedica al Dio infinitamente misericordioso De fide, dove inserisce la misericordia tra le proprietà morali della volontà di Dio (quasi una pagina)[10].

 “A Dio, Essere perfettissimo, si deve attribuire non il sentire compassione - Dio non può soffrire - ma soltanto l’effetto della misericordia, ossia l’eliminazione della miseria. La misericordia si deve attribuire soprattutto a Dio, tuttavia secondo l’effetto, non secondo la predisposizione della passione”[11].

 Ott segue l’operazione della congiunzione in Dio della misericordia e della giustizia come mirabile armonia. Afferma che misericordia et veritas sono per coloro che osservano il patto e gli ordini di Dio. La giustizia divina (chiamata da lui distributiva) è radicata nella misericordia, perché è il motivo più profondo per cui Dio elargisce alle creature doni naturali e soprannaturali e ne remunera le opere buone della giustizia e della misericordia. Dio, infatti, ripaga oltre il merito e punisce meno del debito (appena una pagina)[12]. Un’altra argomentazione, secondo la quale la misericordia non è solamente espressione dell’amore e della bontà di Dio, ma anche la manifestazione della sua maestà e potenza, occupa 11 righe[13]. 

Sfogliando un altro manuale di dogmatica, scritto nella lingua polacca di M. Sieniatycki, nel primo volume troviamo appena una pagina dedicata al tema misericordia, partendo dalla tesi che: “Dio è misericordioso”. La misericordia, però, viene presentata come una delle virtù di Dio, escludendo la possibilità della tristezza o sofferenza in Dio. Solo “la volontà attiva” di Dio vorrebbe togliere la miseria dagli uomini e rivelare il cuore misericordioso di Dio: misericors dicitur aliquis quasi habens miserum cor.[14] Nel secondo, invece, sotto il titolo “la questione della provvidenza divina e il male nel mondo,” troviamo soltanto un accenno alla bontà di Dio collegata al tema della provvidenza tratto dalla dottrina di san Tommaso (1. q. 22. a. 2. ad 2.). Nel discorso sul peccato, leggiamo: “Dio non vuole il male morale, però permette il male. Il peccato diventa per Dio un’occasione di dimostrazione delle perfezioni come: giustizia, bontà, misericordia (…)”[15]. Lo stesso autore, però, in un altro manuale stampato in Polonia intitolato: Apologetica cioè teologia fondamentale, non menziona nemmeno una volta la misericordia. Il testo discute sulla religione, la Rivelazione, la giustizia divina, la santità, i miracoli di Gesù, la Chiesa ed altro[16].

Nel compendio del manuale dogmatico di Ignacy Różycki intitolato Dogmatica - il metodo della teologia dogmatica, sulle pagine dell’indice analitico manca la misericordia, leggiamo, però, una mezza pagina sottotitolo La questione dello Spirito Santo, considerato come un’espressione dell’amore personale (amor personalis) del Padre e Figlio[17]. 

In alcuni manuali addirittura non si trova alcun cenno sulla misericordia, come ad esempio nel manuale di Joseph Bautz, Grundzüge der christlichen Apologetik, di Jean Vincent Bainvel, De vera religione et apologetica, di Martino Iugie, Theologia Dogmatica christianorum, di Hermann Dieckmann, De revelatione cristiana, di Emil Dorsch, Institutiones theologiae fundamentalis[18]. 

Costatiamo che la manualistica possiede due polmoni: quello dogmatico e morale. Infatti, [DR1] nell’indice del manuale morale intitolato De principiis Theologiae moralis il termine misericordia è assente. Nel sottotitolo Quaestio prima - De ipso fine ultimo possiamo leggere un breve discorso sull’amore di Dio: 

 “Dalla facoltà intuitiva, con cui l’intelletto umano si unisce intimamente con la divina essenza, ha origine l’amore nella volontà del sommo bene immediatamente conosciuto. L’Apostolo spiega questo sommo amore con il quale l’uomo si rivolge a Dio, con le seguenti parole: ora restano queste tre virtù: la fede, la speranza e la carità, ma la più grande è la carità”[19].

 Più avanti, nel discorso Iustitia socialis, nell’articolo De distinctione virtutum moralium, parla del dovere della carità nella società. Il dovere è collegato a Partes integrales iustitiae duae sunt: facere bonum et declinare a malo[20]. Nel manuale della teologia morale di Arregui intitolato: Summarium theologiae moralis, nel capitolo Tractatus de virtutibus, sottotitolo la Quaestio - De virtute caritatis - art. De amore Dei, il tema della misericordia viene menzionato in due pagine, come un sinonimo della bontà divina e della virtù, inserita nella legge divina[21]. Il discorso è collegato agli articoli tipo: De amore Dei, De amore sui ipsius, De amore proximi, dove viene dimostrata la natura del precetto divino e naturale, amore caritatis, che necessita di essere testimoniato e praticato[22]. Nel Summarium theologiae moralis di H. Noldin invece, sottotitolo Quaestio - De contrizione, prima del discorso De confessione, troviamo un’affermazione interessante sulla misericordia, menzionata nelle quattro righe e presentata come “viscera” (sostanza) e una delle perfezioni di Dio: 

 “Nella visione di Dio la sostanza di Cristo Gesù è rivestita di misericordia, poiché la beatitudine formale è la prima conseguenza del Sommo Bene; poiché Dio è buono, noi esistiamo, Dio infatti è sommamente amabile non solo per l’infinita pienezza di tutte le perfezioni, ma anche per qualsiasi altra perfezione, come la potenza, la sapienza, la giustizia, la benevolenza, la misericordia”[23].

 In realtà, questa visione si avvicina di più alla natura di Dio come misericordia, specialmente quando un peccatore, dopo il pentimento, sperimenta la grandezza e la forza dell’amore di Dio nel perdono.

Eriberto Jone nel Compendio di teologia morale, sotto il titolo del V capitolo; La virtù della carità, presenta una visione di Dio come Sommo Bene al quale appartiene la carità soprannaturale, che richiede la reciprocità nell’amare Dio e il prossimo: “La carità è una virtù soprannaturale infusa da Dio come sommo bene per se stesso, e amiamo, per suo amore, noi stessi e il nostro prossimo”[24]. Più avanti sviluppa il discorso dell’amore di Dio, dimostrando l’obbligo ragionevole di operare la carità, come un comando necessario per un comportamento cristiano.

 “L’obbligo di fare atti di amor di Dio esiste, alcune volte, come comandato per necessità di mezzo; più frequentemente è comandato per necessità di precetto. 1° Per necessità di precetto, tutti gli adulti sono obbligati a fare un atto di carità o di amor di Dio, quando non hanno nessun altro mezzo per procurarsi lo stato di grazia. Altri mezzi sono il martirio, il battesimo, il sacramento della penitenza, nei quali basta il dolore soprannaturale di contrizione per conseguire la giustificazione. 2° Per necessità di precetto, si è tenuti a fare un atto di amor di Dio appena si è raggiunto l’uso di ragione; inoltre quando si ha bisogno dello stato di grazia e non lo si può conseguire mediante un sacramento; similmente, quando non si riesce a superare una tentazione in altro modo. Finalmente, si deve esprimerlo frequentemente durante la vita”[25].

 La concentrazione del discorso, però, si sposta sulla dimostrazione come bisogna evitare il peccato per non offendere l’amore di Dio, infatti: “Peccati diretti contro l’amor di Dio: si possono commettere con l’omissione dell’atto di carità prescritto e con l’odio contro Dio. Si pecca di odio contro Dio quando si ha avversione a Dio perché Egli avversa il peccato e lo punisce, oppure perché permette sofferenze; inoltre quando si è dominati da inimicizia contro Dio. Gli si augura del male, si desidera che non esista, che non sia onnisciente, e giusto, quando per avversione a Dio si lavora a distruggere ciò che gli procura onore, ad esempio perseguitando e opprimendo la Chiesa”[26].

Sac. dott. Gregorio Lydek - ks. prof. Grzegorz Lydek