TACCUINO #54
 

Verità sul mondo, la vita, la morte, il pensiero, il sogno e l’uomo? Un viaggio attraverso i confini della conoscenza umana. Esploriamo ciascuno di questi temi con l'intenzione di superare dualismi e convenzioni, spremendo il linguaggio e la logica fino a scoprire nuove vie.
 

1. Il mondo: la realtà senza volto
 

Essenza e apparenza:
 

il mondo non è ciò che appare? La sua apparenza è una molteplicità di costruzioni sensoriali e cognitive, un filtraggio di lenti che mediano l’interazione tra ciò che percepiamo e ciò che sfugge alla percezione. Se si smonta questa "maschera", ciò che rimane è un flusso incessante di processi, relazioni e potenzialità. Non c’è un "mondo in sé", ma un sistema di correlazioni che genera continuamente significato.
 

Materia ed energia:
 

il mondo è l’interazione infinita di particelle e onde, aggregazioni di energia che assumono configurazioni temporanee. Questa danza atomica è governata da cosiddette leggi, ma le leggi stesse sono descrizioni incomplete e parziali di un ordine che sfugge alla comprensione definitiva. L’universo potrebbe essere un "vuoto pieno", in cui ogni assenza di materia è già la sua potenzialità.
 

Conclusione:
 

il mondo è il processo, non l'oggetto. È il divenire continuo che non ha scopo né origine ultima, ma esiste in quanto movimento.
 

2. La cosiddetta vita: una fiamma momentanea
 

Biologia e processo:
 

"vita" è la condizione di una materia che si organizza in modo da perpetuare la propria complessità. Le cellule, come unità base, non cercano scopo, ma replicano una memoria molecolare inscritta nei loro meccanismi. Tuttavia, la vita non è una "cosa", come lo è il cosiddetto uomo posto da uno spazio allo spazio, bensì un’interazione costante tra interno (organismo) ed esterno (ambiente).
 

Linguaggio del vivente:
 

ogni forma di vita possiede una sorta di linguaggio, non necessariamente verbale, attraverso il quale "comunica" con il mondo. I neuroni cardiaci rappresentano un ponte tra il sentire viscerale e l’informazione che precede la riflessione: una memoria biologica profonda, trasmessa geneticamente.
 

Conclusione:
 

la vita è resistenza all’entropia, ma senza senso intrinseco. È l’atto di bruciare per esistere, sapendo di essere già cenere.
 

3. La morte: il vuoto creativo
 

Fine o trasformazione?
 

La morte è la dissoluzione delle forme, ma non della materia. Quello che chiamiamo morte è una transizione: le strutture si rompono, gli atomi si redistribuiscono. Non c’è distruzione, solo riordino. Filosoficamente, la morte è il limite che dà significato alla vita, la cornice che permette al quadro di esistere. Ma se il quadro esiste anche senza cornice, il limite ha inizio sul pensiero del concepimento. La rottura si ha e si da al concepimento. E questo abbandona per la cosa egoica quel qualcosa che è vita, che traduce morte in nuovo stato effimero apparente.
 

Paura e accettazione:
 

la paura della morte nasce dalla percezione del sé come entità separata. Se il sé viene visto come un nodo temporaneo in una rete infinita, la morte perde il suo potere. Diventa un ritorno, non una fine. Ma se il ritorno è nulla, il dopo è l'avanti di un moto circolare.
 

Dobbiamo ipotizzare un nulla differente? È possibile un nulla che non sia il primo stato?
 

Conclusione:
 

la morte è l’atto creativo dell’universo: solo ciò che muore lascia spazio a nuove configurazioni.
 

4. Il pensiero: la prigione e la chiave
 

Natura del pensare:
 

il pensiero è un processo di simbolizzazione, un’attività che riduce l’infinito del reale in concetti finiti. È uno strumento potente ma limitante, che costruisce strutture per comprendere il mondo ma al contempo ci imprigiona dentro di esse.
 

Limiti del linguaggio:
 

il pensiero si esprime (anche) attraverso il linguaggio, ma il linguaggio è un sistema chiuso, vincolato dalle sue stesse regole. Quando pensiamo, siamo già intrappolati nella sua logica, incapaci di percepire ciò che sta oltre.
 

Conclusione:
 

pensare è un atto creativo e distruttivo. Solo riconoscendo i suoi limiti possiamo tentare di trascenderlo.
 

5. Il sogno: la realtà senza confini
 

Natura del sogno:
 

il sogno è il regno del pre-riflessivo, un luogo dove la coscienza si dissolve e il corpo prende il sopravvento. Nei sogni, i neuroni cardiaci e il sentire viscerale dominano, riscrivendo la realtà senza i vincoli della razionalità. Il sogno è l’incontro tra memoria e potenzialità, un territorio dove passato e futuro si fondono.
 

Tempo e sogno:
 

nel sogno, il tempo lineare si dissolve. I ricordi si mescolano con le possibilità, e ciò che sogniamo può essere un’anticipazione del futuro, non in senso predittivo ma come costruzione di significato.
 

Conclusione:
 

il sogno è la nostra realtà più autentica, dove l’uomo incontra il mondo senza le barriere dell’intelletto.
 

6. L’uomo: il nodo della contraddizione
 

La dualità dell’uomo:
 

l’uomo è la creatura che vive nel paradosso: materia biologica che si crede entità separata, quando è cosa uno e uno cosa. È contemporaneamente animale e simbolo, corpo e idea, cuore e mente. La sua natura è il conflitto tra il viscerale e il razionale, tra ciò che sente e ciò che pensa.
 

Il potenziale umano:
 

l’uomo è l’unico essere che può osservare sé stesso e, osservandosi, modificarsi. Tuttavia, questa capacità è anche la sua "maledizione": si perde nei significati che crea, smarrendosi in concetti come giusto e sbagliato, bene e male, costrutti sin troppo fumosi, sin troppo cari a teologie e politiche tradizionali, che dominano in assenza d'atto intellettivo, e vedono il mondo con lente povera e sporca, piccola e opaca, sull'asfissia che muove contraria all'essenza, partorita da cuori debolucci in quanto storti.
 

Conclusione:
 

l’uomo è un nodo, non un punto. La sua grandezza non è nell’essere completo, ma nell’essere continuamente in divenire.
 

Conclusione finale
 

Il mondo, la vita, la morte, il pensiero, il sogno e l’uomo non sono entità separate, ma aspetti di un unico processo. La realtà non ha una verità definitiva: essa è il movimento incessante di trasformazione, un gioco senza fine. Cercare la verità significa danzare in questo flusso, non arrestarlo.
 

«Così, non avremo potuto credere».
 

Filandro: «Demetrio, il vostro discorrere circa la materia del nulla mi appare come un esercizio di mirabile paradosso e di un’audacia quasi metafisica. Come potete affermare che l’uomo, il quale appare così immerso nella concretezza dell’essere, possa farsi significato del nulla? Non vi sembra questa una contraddizione ontologica? Il nulla, per sua propria definizione, è assenza di essere, negazione d’ogni sostanza e realtà. Come osate conferirgli una dimensione positiva, un ruolo generativo?».
 

Demetrio: «Ah, Filandro, il vostro argomentare tradisce la fedeltà incondizionata ai paradigmi della materia tangibile, ma non siete voi stesso, in quanto scienziato, consapevole che molte delle fondamenta dell’universo si sottraggono al senso immediato? Il nulla, amico, non è semplicemente vuoto o mera assenza; esso è potenzialità pura, matrice ineffabile d’ogni possibilità. Quando affermo che l’uomo è significato del nulla, non nego l’apparente solidità del reale, ma pongo in luce come tale solidità non sia altro che un velo, un fragile epifenomeno che vela il vuoto originario».
 

Filandro: «Eppure, se il nulla è davvero grembo di tutte le cose, come può esso esistere senza che vi sia una legge immanente che lo regoli? Voi parlate del nulla come fosse un’entità creatrice, ma ciò non vi pare un’asserzione che offende il rigore del pensiero scientifico? Nulla di ciò che osserviamo si genera senza una causa. L’universo stesso, nella sua maestosità, resiste al disordine attraverso un sistema di leggi che trascendono l’apparenza del caos».
 

Demetrio: «Filandro, il vostro errore è doppio: anzitutto, confondete il nulla con l’inanità, che è mera assenza d’azione; e poi, attribuite al nulla una linearità che non gli appartiene. Il nulla non opera secondo le vostre leggi causali, ma è l’orizzonte entro il quale ogni legge e ogni ordine trovano origine e fine. Le vostre leggi, che tanto devotamente difendete, sono semplicemente l’illusione di una cosiddetta mente che cerca un’ancora nel mare infinito del possibile. Esse non trionfano sul caos, ma danzano su di esso, temporaneamente».
 

Filandro: «Vorreste dunque insinuare che la vita, che io considero il culmine della resistenza all’entropia, non abbia senso alcuno, non abbia scopo né direzione? Voi negate la possibilità che esista un fine ultimo, una ragione che muova i processi della natura?».
 

Demetrio: «Non è tanto una negazione, quanto un invito a guardare oltre. La direzione, Filandro, è un costrutto umano, un espediente della cosiddetta mente per giustificare la propria ansia di permanenza. La vita non è un trionfo sull’entropia, ma un momento del nulla che si ordina per dissolversi. Non vi è senso intrinseco nella vita, così come non vi è senso intrinseco nelle onde del mare. Esse si muovono non per uno scopo, ma perché mosse da una necessità che è in sé stessa vuota di intenzione».
 

Filandro: «Eppure, Demetrio, io sento che vi è una musica nell’universo, una logica implicita che connette il tutto. Se il nulla è davvero l’origine di ogni cosa, allora esso deve possedere un’essenza, un ordine intrinseco che lo rende fertile. Come potete negare questa evidenza?».
 

Demetrio: «Il vostro "sentire", Filandro, non è che l’eco della vostra condizione umana. La logica e la musica che percepite non sono altro che il riflesso del vostro desiderio di significato. Il nulla non è sterile, ma la sua fecondità non risponde a ciò che voi intendete come ordine. Esso è il caos che si fa forma, è l’abisso che si piega per un istante in figure transitorie. Non v’è segreto nel cuore dell’essere, ma ciò non significa che il cuore sia evidente: esso è nascosto, come il vostro cuore nella carne».
 

Filandro: «Demetrio, voi parlate con un fervore che inquieta e affascina. Forse avete ragione nel sostenere che il nulla non sia la mera negazione che ho sempre immaginato, ma non posso fare a meno di difendere il valore delle leggi che governano l’universo. Esse sono ciò che ci permette di comprendere, di avanzare, di resistere al vortice del disordine».
 

Demetrio: «Filandro, le vostre leggi sono come le costellazioni: splendide, certo, ma arbitrarie. Esse tracciano un ordine apparente in un cielo infinito e oscuro, un cielo che non ha bisogno di stelle per essere ciò che è. La scienza non è altro che una forma di poesia che tenta di dialogare con l’ineffabile. Accettate questo, e comprenderete che non v’è alcun bisogno di resistere al nulla, perché noi stessi siamo il nulla che prende forma e si dissolve».
 

Il respiro della lenta danza che frammenta dissolvenza al Nulla
 

L’uomo come pericolo ontologico
 

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