Continua dall’articolo “365 giorni: le conseguenze geopolitiche del conflitto ucraino”.
In questo articolo consideriamo infine quanto è cambiato per il nostro paese. Durante i primi mesi di guerra si pensava che la dipendenza del nostro Paese dagli idrocarburi russi e le conseguenze negative in termini economici che una rottura diplomatica con Mosca avrebbe generato sulla popolazione, potessero far vacillare l’appoggio italiano alle sanzioni e all’invio di armi. L’Italia è invece rimasta per tutto questo anno strettamente aderente alla linea atlantica, ed anzi, ha trovato nel premier Mario Draghi un fermo sostenitore del regime di sanzioni indirizzato verso il Cremlino. Tra Russia e Italia esisteva infatti un consolidato rapporto di fiducia, risalente già al periodo della Guerra Fredda: oltre ai legami energetici costruiti con la Russia a partire già dagli anni Sessanta e poi approfonditi nel tempo, l’Italia ha storicamente una buona intesa con la Russia, non solo a livello istituzionale (esemplificativa è la nota amicizia fra l’ex Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi ed il Presidente russo Vladimir Putin), ma anche a livello di opinione pubblica.
Non è un caso che fino ai giorni immediatamente precedenti all’invasione l'Italia abbia tentato con molto sforzo di mediare diplomaticamente fra Ucraina e Russia, inviando Luigi Di Maio, al tempo Ministro degli Esteri, a negoziare direttamente al Cremlino su spinta del Presidente del Consiglio, Mario Draghi. In effetti, anche oggi l’opinione pubblica italiana, pur appoggiando l’Ucraina, resta perplessa sull’invio di armi. Di fronte alla sfida russa all’ordine internazionale cristallizzatosi alla fine della Guerra Fredda, però, l’Italia ha optato per seguire gli Stati Uniti e la NATO, probabilmente con poco margine di manovra.
Infatti, oltre a quelle di carattere morale, vi sono due considerazioni da prendere in esame. Anzitutto, il paese vive un momento di grande debolezza, in cui ha estremo bisogno dei fondi del Pnrr (Next Generation EU), mentre il debito pubblico resta pericolosamente alto. L’Italia non può quindi permettersi di giocare con la propria credibilità davanti agli attori internazionali, e soprattutto dinnanzi agli Stati Uniti, pena una possibile crisi del debito. Inoltre, per Roma una vittoria della Russia in Ucraina non sarebbe una buona cosa, perché aprirebbe la porta a scenari di ridisegno dell’ordine europeo e di forte instabilità, eventualità in cui la nostra sicurezza verrebbe messa in discussione. Una Russia aggressiva e in nuova espansione in Europa poi cementificherebbe questa fase in una nuova Guerra Fredda, alzando anzi ulteriormente il rischio di guerra diretta con un paese NATO.
A questo riguardo, si tenga in considerazione come oggi gli Stati Uniti siano assorbiti in ordine decrescente di priorità da questioni interne, dal contenimento della Cina nell’Indopacifico e dal confronto con la Russia; per questo il Mar Mediterraneo, benché rilevante, non ha più una priorità così alta ai loro occhi; assistiamo in conseguenza di ciò all’aumento generalizzato delle dispute e dei protagonismi: pensiamo per esempio alla lottizzazione del fu Mare Nostrum con la definizione da parte dei vari Stati del bacino mediterraneo di ZEE (Zone Economiche Esclusive) in sovrapposizione e conflitto fra di loro, o alla tensione latente di Cipro e Grecia con la Turchia, media potenza con una grande idea di sé e in grande ascesa nell’area mediterranea, in Africa, nel Caucaso e nell’Asia Centrale. Per tutte queste ragioni, il Mediterraneo è diventato un posto molto più “caldo” rispetto al passato, specialmente da un punto di vista geopolitico. Inoltre, nelle intenzioni di Washington, l'Italia rientrerebbe nel dialogo sulla sicurezza dell'Euro QUAD, insieme a Spagna, Germania e Francia, intensificando così la cooperazione strategica tra i paesi NATO appartenenti all'Europa occidentale, un dato che aumenta il potenziale della nostra postura regionale, anche per bilanciare il crescente peso dei paesi dell'Europa orientale all'interno dell'alleanza atlantica.
Le linee rosse da non superare fornite dagli Stati Uniti durante il periodo della Guerra Fredda non sono più così chiare oggi, per cui l’Italia ha meno certezze su quali azioni siano accettabili per Washington, il nostro riferimento geopolitico; la linea iper-atlantica tenuta prima dal governo Draghi e poi dal governo Meloni ha avuto la ratio di evitare possibili rappresaglie americane per eventuali scollamenti dallo schieramento occidentale, sia di segnalarsi ai loro occhi come alleato fedele. C’è da dire però che l’interesse americano è che il Mediterraneo conservi una certa stabilità e che le rotte in questa area restino sicure. Essendo impegnati in altri quadranti del globo, gli Stati Uniti gradirebbero certamente che i suoi alleati si occupassero di ciò, anche arginando l’esuberanza della Turchia in Libia e nell’Africa subsahariana, ma anche quella della Russia, che comunque è presente negli stessi paesi con la famigerata PMC (Private Military Company) Wagner. In definitiva, c’è un allineamento in tal senso fra interessi americani e italiani.
La crisi energetica ha portato l’Italia a cercare nuove partnership per sostituire la fornitura di gas naturale russo, gradualmente diminuita per decisione russa. Ricordiamo infatti che il gas, a differenza del petrolio, non è stato soggetto a sanzioni occidentali nel 2022, anche se il price cap al prezzo del gas, adottato dall’Unione Europea nel dicembre 2022 con effetto da Febbraio 2023 ma ipotizzato già da metà anno, ha comunque minacciato gli ingenti introiti che la Russia riceveva dalla vendita di gas. L’Italia ha quindi intensificato i flussi provenienti dal Nord Africa, soprattutto dall’Algeria (ricordiamo le visite di Stato del Presidente Mattarella ad Algeri), ha progettato un raddoppio del gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipe) e si sta attrezzando per ricevere il costoso gnl (gas naturale liquefatto) americano acquistando rigassificatori.
L’Italia sta comunque cercando di trasformare in opportunità questa sfida, proponendosi in prospettiva come snodo di approvvigionamento del gas verso l’Europa con l’annunciato piano Mattei. Infatti, per la sua posizione, l’Italia è il paese dell’Europa meridionale che più naturalmente può intercettare i flussi di gas via nave o passanti attraverso infrastrutture permanenti. Tutto ciò comporta ovviamente difficoltà tecniche e geopolitiche. Geopolitiche, perché i paesi da cui proviene il gas sono generalmente instabili o comunque con uno Stato di diritto molto debole. Tecniche, perché questo progetto implica un investimento notevole per la costruzione e ampliamento di infrastrutture per portare ulteriore gas in Italia e per portarlo in Europa (porti, rigassificatori, gasdotti). Questa iniziativa è comunque un buon punto di partenza.
Dunque, quello che l’Italia potrebbe cogliere da questo anno e da quelli immediatamente precedenti, è che dovrebbe tornare ad occuparsi e anche a parlare nel dibattito pubblico del Mare Mediterraneo (e non solo), anche perché, essendo un Paese dipendente dalle esportazioni e dalle importazioni, che avvengono in grande parte via mare, ed essendo una penisola direttamente proiettata nel centro di questo, in esso giacciono i suoi interessi vitali.
Crediti immagine: Palazzo Chigi