Queste le parole di papa Francesco sui migranti rivolte ai partecipanti al convegno "Gli italiani in Europa e la missione cristiana", promosso dalla fondazione Migrantes della Cei.
Il tema che guida i lavori del vostro incontro è “Gli italiani in Europa e la missione cristiana”. Vedo in questo, da una parte, la sollecitudine pastorale che spinge sempre a conoscere la realtà, in questo caso la mobilità italiana; e, dall’altra, il desiderio missionario che questa possa essere fermento, lievito di nuova evangelizzazione in Europa. In questo quadro, vorrei condividere tre riflessioni che spero possano aiutarvi nel presente e nel futuro.La prima riguarda la mobilità, la migrazione. Spesso vediamo i migranti solo come “altri” da noi, come estranei. In realtà, anche leggendo i dati del fenomeno, scopriamo che i migranti sono una parte rilevante del “noi”, oltre che, nel caso degli emigranti italiani, delle persone a noi prossime: le nostre famiglie, i nostri giovani studenti, laureati, disoccupati, i nostri imprenditori. La migrazione italiana rivela – come scriveva il grande Vescovo Geremia Bonomelli, fondatore dell’Opera di assistenza degli emigranti in Europa e in Medio Oriente – un’“Italia figlia”, in cammino in Europa, soprattutto, e nel mondo. È una realtà che sento particolarmente vicina, in quanto anche la mia famiglia è emigrata in Argentina. Il “noi”, dunque, per leggere la mobilità.La seconda riflessione interessa l’Europa. La lettura dell’emigrazione italiana nel Continente europeo ci deve rendere sempre più consapevoli che l’Europa è una casa comune. Anche la Chiesa in Europa non può non considerare i milioni di emigranti italiani e di altri Paesi che stanno rinnovando il volto delle città, dei Paesi. E, allo stesso tempo, stanno alimentando «il sogno di un’Europa unita, capace di riconoscere radici comuni e di gioire per la diversità che la abita» (Enc. Fratelli tutti, 10). È un bel mosaico, che non va sfregiato o corrotto con i pregiudizi o con quell’odio velato di perbenismo. L’Europa è chiamata a rivitalizzare nell’oggi la sua vocazione alla solidarietà nella sussidiarietà.La terza riflessione riguarda la testimonianza di fede delle comunità di emigrati italiani in Paesi europei. Grazie alla loro radicata religiosità popolare hanno comunicato la gioia del Vangelo, hanno reso visibile la bellezza di essere comunità aperte e accoglienti, hanno condiviso i percorsi delle comunità cristiane locali. Uno stile di comunione e di missione ha caratterizzato la loro storia, e spero che potrà disegnare anche il loro futuro. Si tratta di un bellissimo filo che ci lega alla memoria delle nostre famiglie. Come non pensare ai nostri nonni emigrati e alla loro capacità di essere generativi anche sul piano della vita cristiana? È un’eredità da custodire e curare, trovando le vie che permettano di rivitalizzare l’annuncio e la testimonianza di fede. E questo dipende molto dal dialogo tra le generazioni: specialmente tra i nonni e i nipoti. Questo è molto importante, lo sottolineo: nonni e nipoti. Infatti, i giovani italiani che oggi si muovono in Europa sono molto diversi, sul piano della fede, dai loro nonni, eppure in genere sono molto legati ad essi. Ed è decisivo che rimangano attaccati alle radici: proprio nel momento in cui si trovano a vivere in altri contesti europei, è preziosa la linfa che attingono dalle radici, dai nonni, una linfa di valori umani e spirituali. Allora, se c’è questo dialogo tra le generazioni, tra i nonni e i nipoti, davvero «le espressioni della pietà popolare hanno molto da insegnarci […], particolarmente nel momento in cui pensiamo alla nuova evangelizzazione» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 126).Alla luce dell’esperienza latinoamericana, ho potuto affermare che «gli immigrati, se li si aiuta a integrarsi, sono una benedizione, una ricchezza e un nuovo dono che invita una società a crescere» (Enc. Fratelli tutti, 135). Accogliere, accompagnare, promuovere e integrare, i quattro passi. Se non arriviamo all’integrazione possono esserci problemi, e gravi. A me sempre viene in mente la tragedia di Zaventem: coloro che hanno fatto questo erano belgi, ma figli di migranti non integrati, ghettizzati. Accogliere, accompagnare, promuovere e integrare. Lo stesso si può dire anche per l’Europa. Gli emigranti sono una benedizione anche per e nelle nostre Chiese in Europa. Se integrati, possono aiutare a far respirare l’aria di una diversità che rigenera l’unità; possono alimentare il volto della cattolicità; possono testimoniare l’apostolicità della Chiesa; possono generare storie di santità. Non dimentichiamo, ad esempio, che Santa Francesca Saverio Cabrini, suora lombarda emigrante tra gli emigranti, è stata la prima santa cittadina degli Stati Uniti d’America. Nello stesso tempo, le migrazioni hanno accompagnato e possono sostenere, con l’incontro, la relazione e l’amicizia, il cammino ecumenico nei diversi Paesi europei dove i fedeli appartengono in maggioranza a comunità riformate o ortodosse.In questo senso, constato con piacere che il percorso sinodale delle Chiese in Italia, anche grazie al lavoro pastorale della Fondazione Migrantes, si propone di considerare le persone migranti come una risorsa importante per il rinnovamento e la missione delle Chiese in Europa. Soprattutto il mondo giovanile in emigrazione, spesso disorientato e solo, dovrà vedere una Chiesa con i suoi Pastori attenta, che cammina con loro e tra loro.
Crediti immagine: Sala stampa vaticana