Dobbiamo fare un salto temporale al 1970. L’ENEA presentava alla Comunità Europea un progetto finalizzato alla “Protezione igienica del Lago di Bracciano” destinando il bacino come riserva idrica per il Comune di Roma. Il vincolo di tutela interessa tutt’ora un’ampia porzione di territorio che parte dal lago di Bolsena fino al lago di Bracciano e dei vincoli più specifici e restrittivi gravanti sulle rispettive aree limitrofe in quanto i due laghi sono bacini di superficie alimentati principalmente da immissari ed emissari provenienti da una fitta rete idrica sotterranea di straordinaria purezza.

Il progetto prevedeva la costruzione di un “anello circumlacuale” che doveva raccogliere esclusivamente le acque reflue dei comuni di Bracciano, Trevignano Romano, Anguillara Sabazia, Manziana, Oriolo e farle confluire in un centro di depurazione localizzato a Tor dei Venti poi le acque trattate sarebbero state scaricate nel fiume Arrone: il progetto fu ritenuto talmente innovativo che la Comunità Europea lo premiò e lo finanziò. I cinque comuni ricevettero inoltre cospicui fondi anche dalla Regione Lazio per sostenere le spese per costruire le nuove reti fognarie provviste di due collettori per la raccolta diversificata delle acque reflue da quelle pluvie: tale differenziazione “a monte” era fondamentale per il funzionamento dell’impianto ad anello in via di realizzazione intorno al lago di Bracciano. Era essenziale la corretta esecuzione di ogni elemento previsto dal progetto altrimenti il meccanismo si sarebbe rivelato estremamente pericoloso: invece di proteggere la riserva l’avrebbe gravemente danneggiata perché sarebbero confluite nel bacino le acque reflue e pluvie di ben 5 comuni tramite i 5 “scolmatori” presenti nell’anello come temporanee “valvole di sicurezza” che dovevano essere eliminati al termine dei lavori. All’anello dovevano confluire esclusivamente le acque reflue raccolte dai nuovi impianti realizzati a monte dai 5 comuni utenti del CO.B.I.S..

Ma quanto di quel progetto è stato realizzato in realtà? Nel 1990 per puro caso, durante l’esecuzione di lavori di ristrutturazione della proprietà di famiglia venni a conoscenza che su via Fausti mancava il collettore delle acque pluvie, vi era solo un collettore che raccoglieva le acque miste. Mi rivolsi all’archivio per rintracciare le delibere di spesa relative al tratto ma non ve ne era traccia, nella progettazione che riuscii a visionare non si poteva capire quali tratti erano stati completati e soprattutto come: il tutto era stato “secretato” dall’Ufficio Tecnico del Comune di Bracciano.

Venni inoltre a conoscenza che ogni anno si creava un grave malfunzionamento all’anello di raccolta infatti le pompe di sollevamento venivano continuamente danneggiate dai vari materiali che arrivavano nell’impianto: rami, sassi e quant’altro per una spesa annuale di un miliardo e ottocento milioni di lire. C’era da presumere che vi siano state gravi carenze sin dall’inizio e che non ci sia stata la volontà di rimediarvi ciò ha portato con il tempo ad un progressivo deterioramento della qualità dell’acqua tanto che ogni anno il Comune di Bracciano deve emettere un’ordinanza di divieto di balneazione.

All’origine – 1980 - la capacità di raccolta dell’anello era sufficiente per quarantamila abitanti, attualmente l’utenza è di 55.988 residenti, vi è un esubero di circa 16.000 unità.  I vari politici che si sono alternati all’amministrazione di Bracciano ha programmato di aumentare i residenti portandoli a 70.000 abitanti dimenticando che ci sono altri quattro comuni utenti che stanno lottizzando: evidentemente a queste persona sta principalmente a cuore cementificare piuttosto che rispettare i vincoli ambientali.

Un altro problema che non è mai stato affrontato con il dovuto senso di responsabilità è la natura vulcanica del suolo, vi sono zone ancora attive: quanto questo aspetto possa incidere sulla salute dei residenti non è stato mai valutato. La presenza di arsenico nell’acqua distribuita dalla rete idrica e fatta bere per anni alla popolazione di Bracciano a cosa è dovuta? La massima profondità di trivellazione per un pozzo deve essere di 20 metri, come mai si lascia trivellare fin oltre i 100 metri sapendo che ciò inquinerà la vasta rete idrica naturale sotterranea.

Il programma di salvaguardia del lago di Bracciano era vincolante anche per altri aspetti: agricoltura, allevamento, educazione ambientale nelle scuole, uso di detersivi biologici e divieto di usare prodotti tossici e non biodegradabili al 100%, inoltre i nuovi insediamenti nell’area circostante il bacino dovevano essere realizzati seguendo un piano regolatore restrittivo che rispettasse tassativamente i vincoli igienico sanitari preesistenti e le costruzioni dovevano essere dotate di un corretto sistema di smaltimento delle acque reflue, in questo caso il vincolo è particolarmente restrittivo; gli impianti fognari delle case sparse dovevano essere realizzati con materiale impermeabile e le fosse settiche dovevano essere perfettamente a tenuta stagna e svuotate periodicamente esibendo la fattura alle ASL. Nei programmi scolastici doveva essere inserita l’educazione ambientale; fu addirittura vietata la circolazione sul lago dei natanti a motore, scomparve così la gara mondiale dei fuoribordo che si svolgeva ogni anno.

La costituzione del Parco del Lago di Bracciano e Martignano era priva di fondamento dato che l’intero territorio era stato già vincolato, l’intento era in realtà svincolare aree di territorio per realizzare un’edilizia destinata ai benestanti infatti l’azienda agricola di Vicarello era stata destinata ad accogliere numerosi campi da golf ma ciò era ledeva gravemente i vincoli di tutela perché sono tassativamente interdetti i trattamenti previsti per i tappeti di erba in quanto altamente inquinanti. La maggioranza delle “case sparse” sono dotate di fosse settiche realizzate con forati e per di più sfondate per far fluire i liquami nel terreno e risparmiare le spese di svuotamento. Altra nota dolente è costituita dalle ditte che sul territorio operano la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti speciali e non. L’elenco sarebbe troppo lungo e deprimente.

Alla luce dei vincoli sopra riportati e alla buona coscienza che avrebbe dovuto guidare le scelte di coloro che allora avevano la responsabilità del destino di un’intera comunità, doveva essere evitato l’insediamento di una discarica a Cupinoro che oltremodo è stata gestita in maniera così “disinvolta” per anni senza preoccuparsi delle conseguenze sul territorio. I venti per decine di anni hanno spinto i gas tossici prodotti dalla fermentazione del materiale organico (e non) al centro del lago di Bracciano inquinandolo sistematicamente, inoltre è legittimo chiedere se il rivestimento dell’invaso era adeguato a ricevere l’enorme massa interrata negli anni senza avere dei cedimenti. Se ciò non bastasse nel 1995 la giunta Sala deliberò la costruzione di un inceneritore che fu fortunatamente bloccato. Che dire poi della giunta Negri/Riccioni che appoggiò l’entrata dell’ex proprietario di Malagrotta avv. Cerroni che riuscì ad acquistare una vasta area nella zona di Col dell’Aino: nessuno si è preoccupato di conoscere che utilizzo ne sta facendo il nuovo proprietario che è subentrato e che tratta la stessa materia. Queste domande resteranno senza risposta ma i residenti ne sperimenteranno inevitabilmente le conseguenze.