Mentre il Cremlino si appresta a inscenare l’ennesima parata muscolare nel cuore di Mosca per l’80° anniversario della vittoria sovietica sul nazismo, a migliaia di chilometri di distanza, l’Ucraina continua a seppellire i suoi caduti. L’ultimo è Maksym Kovtun, attore del Teatro Accademico Giovanile di Dnipro, ucciso al fronte dopo essersi arruolato volontariamente. La proposta del presidente russo Vladimir Putin di un cessate il fuoco simbolico tra il 7 e il 9 maggio suona come una beffa amara, una farsa pensata per salvare la faccia davanti agli ospiti stranieri, mentre i droni russi con testate termobariche radono al suolo quartieri civili a Kharkiv.

Volodymyr Zelensky, consapevole della posta in gioco, ha respinto l’offerta definendola “un gesto teatrale” e ha rilanciato con una proposta concreta: una tregua di 30 giorni. Ma il Cremlino ha reagito con accuse pesanti: secondo Mosca, rifiutare tre giorni di cessate il fuoco significa “abbracciare il neonazismo”. Il solito schema propagandistico, logoro ma funzionale alla narrazione interna e alla repressione del dissenso.

Le parole di Dmitry Medvedev sono state esplicite fino alla minaccia diretta: “Se ci saranno provocazioni durante la parata, nessuno può garantire che Kiev arriverà al 10 maggio”. Zelensky ha replicato con freddezza avvertendo i capi di Stato di altri Paesi che nei prossimi giorni si recheranno a Mosca: “Non possiamo essere ritenuti responsabili di ciò che accade sul territorio russo. Tocca alla Russia garantire la sicurezza dei propri ospiti”. L’invito alla parata è stato accettato da alcuni leader internazionali, tra cui il presidente cinese Xi Jinping, che sarà in visita ufficiale dal 7 al 10 maggio. Pechino è da considerarsi partner strategico del regime putiniano, e nell'occasione firmerà nuovi accordi bilaterali.

Nel frattempo, sul campo si combatte ancora. Le forze armate ucraine hanno colpito duramente, centrando un caccia russo Su-30 con un drone navale Magura V7. È la prima volta nella storia che un aereo da combattimento viene abbattuto da un drone marittimo. È un segnale importante: la tecnologia può ridisegnare gli equilibri anche tra Davide e Golia. Ma non basta. Kiev, pur tra mille difficoltà, riceverà entro l’estate un sistema di difesa Patriot riparato, precedentemente dispiegato in Israele. Un secondo sistema potrebbe arrivare da Germania o Grecia. In totale, l’Ucraina disporrà di dieci batterie. Non è un cambio di passo, ma un prolungamento della resistenza.

Nel frattempo Donald Trump, che recentemente ha incontrato Zelensky in Vaticano, si è lasciato andare a una delle sue solite boutade contraddittorie: “Forse non funzionerà nulla, forse è impossibile… A volte penso che stia per accadere qualcosa di positivo”. Un commento che riduce una guerra sanguinosa a una soap opera internazionale, soprattutto pensando a quanto da lui promesso prima dell'inizio del secondo mandato, quando dichiarava che avrebbe ottenuto la fine delle ostilità in ventiquattr'ore. 

Infine, Vladimir Putin torna a parlare di “riconciliazione inevitabile” tra russi e ucraini. Ma non è una dichiarazione di pace: è l’annuncio, tra le righe, di una guerra ancora lunga, che Mosca non intende abbandonare. Dietro il fumo delle celebrazioni e le finte tregue, resta l’odore acre del cinismo imperiale.

Così, oggi più che mai, la parata del 9 maggio non è una festa per la pace, è una passerella sotto cui scorrono fiumi di sangue ucraino.