I funerali di Fabrizia Di Lorenzo ci interrogano sulla qualità della classe dirigente italiana
Avevano rifiutato la camera ardente allestita dal comune di Sulmona i familiari di Fabrizia Di Lorenzo, la ragazza morta il 19 dicembre nella strage del mercatino di Natale a Berlino, dove altre 13 persone sono state uccise.
La salma era giunta a Ciampino la vigilia di Natale ed oggi, a Santo Stefano, si sono svolti i funerali, alle 11, a Sulmona nella cattedrale di San Panfilo, celebrati dal vescovo Angelo Spina.
Alla cerimonia erano presenti il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il Ministro dell'Interno, Marco Minniti. Non era presente il presidente del Consiglio Gentiloni e neppure il ministro del Lavoro Poletti. E per quest'ultimo è stato meglio così, viste le sue dichiarazioni oltremodo imabarazzanti e indifendibili sui giovani che vanno all'estero.
Fabrizia Di Lorenzo era uno di quei giovani. Quella di andare via dall'Italia non era una stata una scelta voluta per fare esperienza e per allargare i propri orizzonti, come molti media ci hanno voluto far credere nei giorni scorsi.
Il motivo ce l'ha fatto sapere il vescovo nella sua omelia. Fabrizia era andata via dall'Italia per cercare lavoro. Lavoro che la sua terra non era in grado di offrirle, al contrario della Germania.
Era uno di quei giovani che il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha definito con un'espressione che si può riassumere in "gente che è meglio perdere che trovare".
Ed effettivamente Fabrizia Di Lorenzo l'abbiamo perduta. E prima di tutto l'hanno perduta la mamma Giovanna, il papà Gaetano ed il fratello Gerardo. A loro non potrà essere restituita e poco potrà essere di conforto il cordoglio delle massime cariche dello Stato.
La sua morte, benché avvenuta per cause fortuite e per il gesto folle, insensato ed inutile di un terrorista, dovrebbe ricordare a coloro che operano nelle istituzioni che il compito loro affidato è quello di servire gli interessi dei cittadini da cui sono stati eletti sulla base delle indicazioni di ciò che dice la Costituzione, a partire dai due principi fondamentali: che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro e che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo.
È possibile pretenderlo dalla classe dirigente attuale? La risposta è sicuramente sì, ma è altrettanto difficile credere che ciò possa accadere, perché la classe dirigente attuale è, semplicemente, del tutto inadeguata e, di conseguenza, del tutto incapace. Basta chiedere a Poletti!