EMI tra fede e ragione _ parte 1
Ci sono dei momenti della vita nei quali certe domande di tipo trascendente, spirituale, riemergono dallo strato profondo soggiacente la parte più razionale e materialista del nostro vivere quotidiano (anche se queste domande dovrebbero albergare negli strati superiore della corteccia cerebrale, vengono sovvertite dalle funzioni più cognitive che ci servono per vivere) . Può accadere per le ragioni più diverse. Una crisi esistenziale, una sconfitta sentimentale, un burn-out lavorativo, una lunga malattia, un grave incidente o un lutto, e persino l’insieme di questi. A me sono capitate praticamente contemporaneamente le ultime due. Nel 2023 subii un incidente con trauma cranico e varie fratture facciali che mi valsero un lungo periodo di recupero psico-fisico. Nel periodo della convalescenza ho sperimentato uno strano fenomeno di iper-empatia che ho descritto in un precedente articolo, Trauma cranico e la nuova Agorà. Iper-empatia perché osservavo le vite delle altre persone nella loro estrema fragilità (forse anche per la mia che avevo sperimentato sfiorando la morte in un attimo) e nella loro fatica del vivere, potevo persino intuire o immaginare la loro sofferenza o quella di persone a loro vicine. Come ho descritto, le vedevo come avvolte da un’aura, mentre faticavano sulla terra come me. La cosa che ha lasciato un profondo segno, sono stati i pianti “violenti” che mi pervadevano, risalendo dallo sterno, ogni volta che vedevo una sofferenza o che mi commuovevo. Erano così subitanei che spesso mi costringevano a coprirmi il volto o scappare dove non mi potesse vedere nessuno. Questa sensazione è proseguita per almeno 3 mesi, quasi senza interruzione. Si trattava di una specie di esperienza spirituale di iper-umanità svelata, che percorreva gli strati superiori della coscienza. La cosa triste è che si è trattato di una fase temporanea. Non dico di averla del tutto tradita, ma in qualche modo è stata gradualmente ricondotta alla realtà quotidiana, perdendo di intensità. Ha, comunque, tracciato la via per un nuovo modo di vedere le cose e, soprattutto, le persone. E’ terminato il tempo in cui vedevo gli altri come semplici antagonisti del mio ego, li guardavo spesso in modo pregiudiziale, intollerante e persino indifferente.
Ma un altro evento mi ha spinto verso un nuovo bisogno spirituale. La morte del mio amato padre avvenuta un mese fa.
Mi sono riavvicinato a questioni sulle quali mi documentavo da anni. In particolare, le EMI (Esperienza di Morte Imminente), derivanti dall’acronimo inglese di NDE (Near Death Experience). Si tratta di un fenomeno sempre più discusso anche in ambiente scientifico (tradizionalmente *cartesiano e quindi restio ad affrontare indagini non dimostrabili con metodo empirico). Questo perché, proprio grazie ai progressi scientifici in campo medico, sono sempre di più le persone che vengono sottratte a quella che una volta veniva considerata fase di morte. Parliamo anche di persone (ma non solo), che tornano da arresti cardiaci di svariati minuti e che, per l’interruzione del flusso sanguineo al cervello, risultano non avere attività elettrica nel cervello. Ebbene, una piccola percentuale di questi pazienti, dichiara di aver sperimentato una NDE e ne riporta dettagliatamente gli sviluppi.
Non entrerò nella diatriba se il fenomeno abbia o meno una causa scientifica (magari soltanto ancora da scoprire), ci sono numerosi siti scientifici che affrontano l’argomento in maniera seria e non approssimativa come potrei fare io. Ci sono, tuttavia, aspetti che non mi convincono del tutto né nelle tesi dei sostenitori delle teorie dell’ultra-coscienza, né nei sostenitori della teorie scientifiche più materialiste materialiste più "dogmatiche", mi si conceda il termine tra virgolette (il dogma per la scienza sarebbe un paradosso), qui è inteso come volontà di ricorrere anche a teorie poco convincenti, non dimostrabili o non dimostrate, pur di non ammettere che qualcosa sfugga alla scienza. In questi ultimi non mi convincono, ad esempio, 1.le spiegazione legate all’ipossia, ossia carenza o arresto del flusso momentaneo di ossigeno al cervello che indurrebbe uno stato di allucinazione, 2.le spiegazioni farmacologiche, cioè che con l’impiego di farmaci per alleviare il dolore, sedare o quelli usati nella fase di arresto cardiaco, si indurrebbero degli stati allucinatori 3.quelle legate a cause innate, biologiche, che prevedono la produzione di sostanze dal nostro cervello in situazioni di stress estremo precedenti una morte potenziale (morte imminente appunto), che è l’evento psichicamente ed emotivamente più devastante per un essere vivente.
1.La spiegazione della carenza/assenza di flusso sanguineo, e la conseguente ipossia, cioè carenza di ossigeno al cervello, tale da provocare stati allucinatori, mi sembra in contraddizione con i racconti di iperattività coerente delle esperienze in questione. Come conciliare un’esperienza così totalizzante, cosciente e ripeto coerente/razionale (come viene spesso descritta) con la condizione compressiva e delirante di un’allucinazione? Come conciliare un’attività cerebrale elettricamente inesistente nelle aree del cervello deputate alla c.d. coscienza (ammettendo che sia prodotta dal cervello), con una coscienza di realtà aumentata, spesso intensa e strutturata, e per giunta memorizzata nei dettagli nei modi che ci vengono riferiti? Alcuni, riferiscono di vedere il proprio corpo dall’alto, di spostarsi velocemente in punti diversi dello spazio, di passare le porte e le pareti, di vedere lo staff medico indaffarato sul proprio corpo, di udire dialoghi tra i medici stessi o tra pazienti (poi verificati una volta rianimati), di avere una visione tridimensionale a 360°, e di formulare pensieri coerenti profondi sulla propria condizioni, incontrare persone defunte, e persino avere risposte su alcuni quesiti universali. Come fa una mente allo stadio allucinatorio o priva di segnali elettrici evidenti a produrre uno stato di tale iper-vigilanza? Io non so rispondere, ma mi pare di scorgere evidenti paradossi in questa spiegazione. Poi mi chiedo, perché l’organismo dovrebbe architettare questi affreschi di iper-realtà, in una fase così priva di sensi e dove, tendenzialmente, un’organismo dovrebbe invece puntare in maniera innata a risparmiare tali energie. Se lo scopo, poi, fosse quello di alleviare l’angoscia del morente, basterebbe all’organismo/cervello indurre una morte incosciente simile ad una sedazione profonda: fine.
2.La stessa spiegazione farmacologica presenta gli stessi limiti. Come può un organismo/cervello in arresto, e fortemente debilitato dai farmaci, a produrre, ancora una volta, simili esperienze extra-corporee di questa vivacità, coerenza e sviluppo visivo e uditivo? Per carità, magari la scienza un giorno scoprirà le cause, ma fino ad allora non si può non avere dubbi sulla fondatezza di queste ipotesi.
Sulle cause farmacologiche, poi, subentra un altro dubbio. In un dipinto di Bosch, il pittore rappresenta, ben 500 anni fa, il tunnel dell’aldilà, una delle visioni più ricorrenti in coloro che sostengono di aver avuto una NDE. E lo dipinge in un’epoca nella quale era assente qualsiasi tipo di farmaco impiegato in epoca moderna nelle sale di rianimazione o comunque qualunque altro tipo impiegato nei traumi gravi seguiti a un incidente o una malattia. Ebbene, la domanda sorge spontanea: come possono essere i farmaci impiegati massicciamente oggi a provocare questi stati, se tali simili effetti (appunto il tunnel di luce) sono stati immortalati in tempi in cui questi nemmeno esistevano?
Certo, c’è sempre la possibilità che alcuni tipi di droghe, già usate in passato, possano provocare gli stessi effetti (secondo alcune sperimentazioni alcune droghe provocherebbe fenomeni simili), ma siamo solo nell’ambito delle supposizioni, e comunque anche esperimenti di questo tipo (compresa la stimolazione tecnica di alcune zone del cervello) non producono mai fenomeni così variegati e complessi come gli NDE riportati al ritorno da una sala operatoria.
la Visione dell’Aldilà di Bosch del XVI secolo
3. Quanto all’ipotesi altrettanto in voga tra gli scienziati, quella di un meccanismo naturale generato dal nostro cervello per rendere la nostro fine meno traumatica, rimane il dubbio su come un cervello così fortemente debilitato, con le sue funzioni ridotte ai minimi termini o assenti dal punto di vista dei moderni strumenti di rilevazione delle attività cerebrali, possa produrre esperienze audiovisive e filosofiche di tale portata. Filosofiche perché, spesso, chi ritorna da queste esperienze, dice di aver subito un profondo cambiamento spirituale o una trasformazione profonda nel modo di vedere la vita e il mondo, derivanti da una vasta conoscenza a cui ha potuto accedere..
Le domande, al momento, non hanno ancora trovato risposte esaustive, anche se un sempre maggior numero di scienziati, medici e anestesisti direttamente a contatto con le rianimazioni, cominciano a dubitare di quello che è sempre stato un “dogma” scientifico, quello secondo cui la coscienza sarebbe il semplice prodotto del cervello. Ci sono scienziati, la cui preparazione scientifica è indubbia, come il medico anestesista francese Jean-Jacques Charbonier, che dichiarano, neanche troppo velatamente (ricordiamo che questo argomento per la neuroscienza è praticamente tabù), che la coscienza sarebbe indipendente dall’attività neuronale. In sostanza il cervello sarebbe un trasmettitore della coscienza (come un televisore, che trasmette le immagini che riceve via etere) e non il suo prodotto. Charbonnier, è stato persino sospeso per aver sostenuto queste tesi, per aver fatto passare per scientifico ciò che al momento non è possibile dimostrare scientificamente. Questo atteggiamento dell’ambiente scientifico non mi stupisce, i grandi pensatori di ognitempo, da Galileo a Einstein, sono stati spesso oggetto di delegittimazione o discredito da parte dei loro contemporanei.
Un libro che ha cambiato il mio approccio sull’argomento è stato “Milioni di farfalle” di Eben Alexander, un neurochirurgo americano, che a seguito di una meningite fulminante, dalla quale si è miracolosamente salvato, racconta della sua esperienza di EMI caratterizzata, inizialmente, anche dalla fase di c.d. EMI negativa con esperienza infernale di angoscia in cui si è trovato ridotto allo stadio di bruco nel sottosuolo nero. Poi però, tra i vari episodi positivi, si è ritrovato a sorvolare, assieme a milioni di farfalle (il titolo del libro), paesaggi coperti di fiori i cui colori non esistono sulla terra. E durante quella fase, compare una presenza che vola assieme a lui e che gli rivela essere la sorella defunta prima della sua nascita e di cui i genitori non gli avevano rivelato l’esistenza. Inutile dire che, anche Eben Alexander, venne accusato di essersi inventato tutto a scopo di lucro, perché la malattia lo avrebbe costretto a dover recuperare lo stile di vita perduto. Non credo in questa versione, ma intanto i suoi detrattori sono riusciti, con queste accuse, ad intaccare la sua reputazione.
Perché, mi chiedo, un uomo, uno stimato neuroscienziato che ha subito un male così devastante da aver quasi ridotto il suo cervello in poltiglia, dovrebbe svendere la sua sofferenza con bugie al puro scopo di ricavare profitto da qualche copia di un libro? Tra l’altro, Eben Alexander, inventando una sorella incontrata nell’aldilà, descritta nel libro, e che non ha mai conosciuto, avrebbe dovuto comprare il silenzio di parenti o di chiunque altro avesse potuto smentire una simile storia.
Inutile ricordare che tutto è iniziato con il testo “La vita oltre la vita” di Raymond Moody, un medico psicologo e parapsicologo che per primo nella storia, negli anni ’70, ha radunato in ordine strutturato e scritto tutto lo scibile sulle esperienze NDE. Non ho letto il libro, ma ho visto un documentario sulla vita oltre la vita, disponibile anche su Youtube, che mi ha avvicinato all’argomento.