Il 23 dicembre il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato la risoluzione 2334 con 14 voti a favore e l'astensione degli Stati Uniti.

La risoluzione è un susseguirsi di richieste ed inviti, senza imposizioni di sorta e, pertanto, senza conseguenze dirette per Israele che, comunque, si vede indicato come il cattivo di turno in seguito alla colonizzazione effettuata nei territori occupati dal 1967.

Per Netanyahu e i suoi ministri il colpo è stato inaspettato. Gli Stati Uniti, finora, avevano sempre avallato tutte le scelte di Israele e da Tel Aviv non pensavano che l'amministrazione Obama, prima di lasciare, facesse questo "scherzo" dopo aver chiuso occhi, orecchi e bocca di fronte all'espanasionismo ebraico nei territori occupati.

Nel 2009, quando Obama è entrato in carica al primo mandato da presidente, gli insediamenti israeliani contavano 297mila persone nel West Bank e 193mila a Gerusalemme Est. Alla fine del 2014, in base ai dati raccolti dall'organizzazione Peace Now, nel West Bank c'erano 386mila israeliani e 208mila a Gerusalemme Est. Un ulteriore sensibile incremento vi è stato nei primi 9 mesi del 2016.

Israele, utilizzando la copertura statunitense, aveva messo in atto una politica che a parole diceva di accettare il dialogo con i palestinesi per l'opzione dei due Stati, ma nei fatti operava solo per allargare i propri confini con degli insediamenti che adesso l'ONU si rifiuta di riconoscere giuridicamente.

Ma ad Israele non conoscono la possibilità di aver sbagliato e, come risposta a quanto avvenuto lo scorso fine settimana, ecco che mercoledì il comune di Gerusalemme approverà la costruzione di 618 nuove abitazioni a Gerusalemme Est, ricordando che queste sono solo il primo passo di un piano ben più ampio che ha in programma un totale di 5600 unità abitative.

Inoltre, Netanyahu teme altre sorprese dall'amministrazione Obama in relazione alla conferenza multilaterale di pace di Parigi del 15 gennaio 2017, organizzata da Hollande per rilanciare i negoziati di pace tra israeliani e palestinesi, ma alla quale Israele non intende partecipare, definendola un incontro di antisemiti, in base alle parole del ministro della difesa Lieberman che, non soddisfatto, l'ha paragonata anche al processo Dreyfus, con la differenza che invece di un solo ebreo oggi sul banco degli imputati c’è l’intero Stato ebraico.

Naturalmente, tutto questo non sarà sufficiente, per molti, per ammettere dove riesodono le responabilità dell'interruzione dei negoziati di pace in medioriente. In fondo, Israele ha fondato il proprio espansionismo sulla shoah e sulla politica del chiagni e fotti.

Il fatto che la comunità internazionale, finalmente, decida di denunciarne le colpe è per Israele un serio problema, che potrebbe incrinare le foglie di fico dietro cui si è riparato per tutti questi anni.