Dopo che G7, Unione Europea e Australia hanno concordato che a partire dal 5 dicembre il prezzo al barile per il greggio russo trasportato via mare non avrebbe potuto superare il tetto massimo stabilito in 60 dollari, in risposta Vladimir Putin ha firmato oggi un decreto che impone che

"le forniture di petrolio e prodotti petroliferi russi a persone giuridiche e persone fisiche straniere sono vietate, a condizione che i contratti per tali forniture prevedano direttamente o indirettamente l'uso di un meccanismo che ne definisca i prezzi. Il divieto stabilito si applica senza limitazioni".

Il divieto di fornitura di petrolio al di sotto del prezzo massimo di 60 dollari entrerà in vigore a partire dal 1 febbraio 2023 e sarà valido, per ora, fino al 1 luglio 2023. Putin si è comunque riservato, in casi speciali, di poter annullare le misure indicate del decreto.

Il Ministero dell'Energia è stato incaricato di vigilare sul rispetto del divieto di fornitura e di pubblicare chiarimenti ufficiali sull'applicazione del decreto d'intesa con il Ministero delle Finanze. Anche il gruppo di lavoro interservizi sulle questioni relative alle attività nel settore dei combustibili e dell'energia monitorerà l'attuazione delle decisioni.
 
Come ha osservato la scorsa settimana il vice primo ministro Alexander Novak , Mosca ha messo in conto una parziale riduzione della produzione di greggio, a seguito delle misure di ritorsione imposte dall'occidente, tra i 500mila e i 700mila barili al giorno, pari al 5%-7% del totale.

Per il ministro delle Finanze russo, Anton Siluanov, il price cap sul petrolio potrebbe avere un impatto sul Pil facendo aumentare il dato già negativo del -2% previsto per il 2023.