Cronaca

Le mafie in Emilia Romagna. Intervista al giurista Vincenzo Musacchio

Domande degli studenti del Liceo Righi di Bologna. Incontro su piattaforma on-line.

Vincenzo Musacchio giurista e docente di diritto penale, è associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell'Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. E’ stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.


Le mafie ormai dominano al Nord, in Emilia Romagna, secondo lei, esiste un vero sistema criminale mafioso?
Il processo Aemilia contro la ndrangheta calabrese testimonia che siamo di fronte ad un vero e proprio sistema criminale che coinvolgerebbe imprenditori, liberi professionisti, politici, giornalisti e persino personale appartenente alle forze dell’ordine. Io ho vissuto tre anni a Bologna, negli anni novanta, e già allora sollevai il problema delle infiltrazioni mafiose in una Regione che allora era guardata come modello da seguire per l’ottimo tenore di vita dei suoi abitanti. Oggi, stando ai dati a nostra conoscenza, possiamo dire che l’Emilia Romagna è diventata “terra di mafia” nel senso pieno della sua espressione.

Come si è infiltrata la mafia in una Regione apparentemente sana?Come avviene in ogni parte dove le mafie decidono di insediarsi e di investire su quel territorio. La crisi economica apre un varco e la criminalità organizzata ne approfitta adeguandosi alle condizioni economiche e sociali del territorio. In Emilia Romagna ha investito i suoi immensi capitali in tutti i settori dell’economia regionale: dall’edilizia, al movimento terra, allo smaltimento dei rifiuti tossici e non. Poi è entrata in contatto con la politica e le istituzioni. Ha occupato immediatamente gli spazi vuoti della difficoltà di accesso al credito per le imprese. Ha messo su i suoi soliti sistemi di usura, estorsioni e truffe commerciali fino ad arrivare all’infiltrazione piena nel tessuto produttivo regionale. La nuova mafia al Nord arriva uomini in giacca e cravatta e porta con sé una montagna di denaro.

L’operazione Aemilia ha al centro la ricostruzione post sisma, com’è stato possibile per la criminalità aver messo le mani su questi appalti pubblici?La ricostruzione post terremoto è storicamente un boccone ghiotto per le mafie. Giovanni Falcone ci ha insegnato che la criminalità organizzata si insedia dove girano i soldi. Gli appalti per la ricostruzione e la messa in sicurezza di opere pubbliche, per il giro di affari che muovono, costituiscono di certo un’occasione da non perdere. Le mafie hanno agito in modo defilato, non operando mai direttamente nella zona interessata con le proprie imprese, ma si sono avvalse di teste di legno “ad hoc”. In Emilia Romagna ciò è stato possibile perché la criminalità organizzata era già presente ben prima del sisma e proprio per questo è arrivata addirittura prima dei soccorsi. La mafia si è accaparrata lo smaltimento delle macerie, poi gli appalti milionari per la realizzazione delle nuove opere pubbliche e per la ricostruzione privata.

Quando si è avuta la prima infiltrazione della criminalità  organizzata in Emilia Romagna?Non è importante il quando, ma il come. A mio parere al Nord le mafie sono arrivate a pieno titolo negli anni sessanta con l’emigrazione (della quale le mafie hanno approfittato) e i primi soggiorni obbligati. Da allora la fotografia della presenza mafiosa in Emilia Romagna ha visto arrivare i primi camorristi e i primi ndranghetisti. Per fare alcuni nomi più noti: gli Schiavone per la camorra e i Grande Aracri per la ndrangheta. Le prime indagini di tipo professionale purtroppo arriveranno quando a Bologna saranno strutturate la DDA (Direzione distrettuale antimafia) e la DIA (Direzione investigativa, ma nel frattempo le mafie si erano già infiltrate creando un sistema.

Lei a chi attribuirebbe la colpa?Non si tratta di colpa, ma di volontà dello Stato nel voler investire realmente nella lotta alle mafie. La criminalità organizzata arriva dove trova terreno fertile da parte della politica, dell’economia e del tessuto sociale. L’indifferenza e in alcuni casi la rinuncia delle istituzioni a svolgere fino in fondo il loro ruolo di controllo della legalità è certamente una delle cause di penetrazione delle mafie in un territorio.

Il vero grimaldello qual è stato secondo lei?È sempre lo stesso: le teste di legno, le gare al massimo ribasso e i subappalti. Sono l’accesso privilegiato della criminalità organizzata nell’economia legale di qualsiasi territorio, quindi, anche per l’Emilia Romagna, dove i tre quarti degli appalti sono poi affidati in subappalto. Non sottovaluterei il settore della Sanità pubblica e privata con le esternalizzazioni dei servizi. Terrei sotto la lente d’ingrandimento anche il settore turistico e immobiliare.

Il processo Aemilia secondo lei cosa rappresenta?Certamente un ottimo inizio per contrastare le nuove mafie. Per me non è un fulmine a ciel sereno. Stupisce solo chi in questi anni non ha voluto o saputo guardare gli innumerevoli mutamenti che evidenziavano l’arrivo delle mafie in Regione.

Come sta rispondendo la società civile?Non vivo la vostra realtà, quindi, non posso dare una risposta esaustiva nel merito, ma posso dire che occorre sempre tenera alta la guardia dai continui attacchi del crimine organizzato che oggi non hanno più la caratteristica della violenza, ma si palesano attraverso nuovi sistemi corruttivi fondati sulla complicità e la collusione. Conosco molti ragazzi che si impegnano in prima persona e alcuni giornalisti coraggiosi che sono costretti a vivere sotto scorta. Questi sono certamente ottimi anticorpi.

Cosa si potrebbe fare per uscire da questa morsa mortale delle mafie?L’obiettivo primario dovrebbe essere quello di tenere la criminalità organizzata fuori dagli appalti pubblici e prevenire ciò che potrebbe succedere in una situazione di crisi come quella derivante ad esempio da un terremoto, da un’alluvione o da una pandemia come quella che stiamo attraversando. Tutto questo però non è sufficiente, perché occorre bonificare quelle istituzioni corrotte e creare un tessuto sociale maggiormente reattivo nella lotta alle nuove mafie mercatistiche.

Autore SCUOLA DI LEGALITA DON PEPPE DIANA
Categoria Cronaca
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