Tic... tac... passano i minuti e sempre più si avvicina la scadenza del prossimo Consiglio dei Ministri che si svolgerà nella serata di giovedì in cui il governo dovrà aggiornare il Def, mettendo di fatto nero su bianco contenuti e cifre della prossima manovra finanziaria.

Il problema è che il ministro dell'Economia Tria, come ha detto mercoledì, in coscienza non ha intenzione di fare una manovra le cui coperture siano incerte. Questo però potrebbe impattare sulle promesse elettorali di Lega e 5 Stelle, tanto che Salvini e Di Maio da giorni stanno cercando di convincere Tria a cambiare parere... anche se inutilmente.

Di Maio pretende di portare il deficit intorno al 3%, richiamandosi alla Francia: sia a quello fatto in passato che a quello che adesso ha promesso di fare Macron, che ha dichiarato un 2,8% di misure in deficit. Per Di Maio, la richiesta di dimissioni di Tria non è sul tavolo, ma non è neppure nelle sue intenzioni far digerire ai propri elettori delle misure "annacquate" a partire dal tanto strombazzato reddito di cittadinanza... già di per sé deludente rispetto a quanto molti credevano.

Questa volta, rispetto ai 5 Stelle, molto più tranchant la Lega che, tramite il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari, questa mattina su Rai3 ad Agorà ha dichiarato che «se Tria non è più nel progetto, troveremo un altro Ministro dell’Economia», dimenticando o non sapendo che il Governo non ha la possibilità di defenestrare un ministro.

In ogni caso, la dichiarazione è indicativa dello stato di tensione in cui si trova la maggioranza, oltre dello stato della manovra visto che molti dei suoi contenuti dipendono dalla percentuale di deficit che il Governo indicherà.

In base agli ultimi aggiornamenti riportati da alcuni media a fine mattinata, il ministro Tria non intenderebbe però venir meno dalla sua idea iniziale di un deficit all'1,6%, annunciando anche che se questa soglia non dovesse essere accettata sarebbe pronto a dimettersi.

Da sottolineare che Lega e 5 Stelle, invece, non accettano una soglia inferiore al 2%.

Ma la questione non potrà essere solo politica. Il ministro dell'Economia è diventato una specie di argine cui si affidano l'Europa e i mercati. Nel caso in cui si dimettesse o venisse sfiduciato dal Governo, non è assurdo credere che le conseguenze, almeno quelle a breve, su borsa e BTP non potrebbero che essere negative... e molto.