La prima domanda da porsi in merito alla legge elettorale su cui mercoledì è iniziata la discussione generale al Senato, prima delle votazioni che la porteranno alla sua approvazione, è semplice: a che cosa serve?
La risposta altrettanto semplice che si può dare è solo questa: ad eleggere Camera e Senato. Infatti, tale legge è solo un espediente tecnico che consente di avere un testo "congruente" tra le due camere per l'elezione di deputati e senatori.
La nuova legge elettorale, però, dal punto di vista dell'elettore, non è altro che l'ennesima occasione persa perché non ha nessuna delle due caratteristiche che, anche singolarmente, si devono pretendere da una legge elettorale: governabilità e rappresentatività.
Partiamo dal primo aspetto, la governabilità. In una Repubblca parlamentare pretendere che, terminato lo scrutinio dei voti, si sappia chi governi è alquanto irrealistico, a meno che alle elezioni non si presentino due soggetti che siano in grado di rappresentare ciascuno, più o meno, la metà degli elettori. In Italia non è mai accaduto, neppure ai tempi della cosiddetta prima repubblica.
E nella seconda repubblica è stato lo stesso, nonostante i partiti abbiano anche potuto presentarsi in coalizione tra loro. Solo una legge elettorale giudicata incostituzionale (anche nella sua riproposizione sotto altro nome, Italicum) ha permesso di conoscere quale fosse la coalizione che avrebbe governato subito dopo le elezioni. Ma abbiamo visto come è andata a finire. Anche in quel caso le coalizioni si sono spaccate, oltre al fatto non certo irrilevante dell'incostituzionalità del "premio di maggioranza" su cui tutto si basava.
Allora non ci rimane che prendere in esame l'altro aspetto, quello della rappresentatività. Se esistono i collegi uninominali, l'elettore può scegliere chi votare oppure sa qual è il senatore e il deputato che, una volta eletti, lo rappresenteranno nelle due aule. A loro volta il senatore e il deputato, se in un collegio vogliono farsi rieleggere anche per il mandato successivo dimostrando pure di essere in grado di portare voti al proprio partito, devono frequentare assiduamente il collegio di appartenenza e dimostrare ai loro elettori quello che hanno fatto e se hanno mantenuto o meno le loro promesse.
Per tale motivo, è ovvio, che il parlamentare esercita maggior potere nei confronti del governo che, per forza di cose, deve agire anche tenendo conto del voto di Camera e Senato che non potrà sempre esser dato per scontato. La rappresentatività garantita dal collegio uninominale innesca una forma di controllo implicita tra elettore, eletto e governo che è a garanzia del buon funzionamento delle istituzioni e della vita politica.
Un sistema elettorale simile può tranquillamente esere preso a prestito dalla Gran Bretagna o, meglio ancora, dalla Francia che ha il doppio turno che può indirizzare anche verso una certa governabilità. Non c'è bisogno neppure di inventarsi nulla di nuovo.
E per quanto riguarda il problema non secondario di formare delle alleanze di governo anche tra forze politiche non vicine tra loro? Anche in questo caso ci viene in aiuto quello che accade all'estero. Prendiamo ad esempio la Germania. Finite le elezioni, le forze politiche che decidono di trovarsi d'accordo per formare un governo stilano un programma dettagliato che possa essere il più vicino possibile a quello presentato da ognuna ai propri elettori - qualche compromesso è pur sempre indispensabile - e si va a governare seguendo quanto pattuito e reso noto pubblicamente, in ogni sua parte.
È tanto difficile riproporre tali esempi di normalità anche in Italia? Evidentemente sì, come dimostra la legge elettorale che si sta approvando in via definitiva al Senato. Perché accade questo? Perché un parlamento di nominati che non hanno per nulla o quasi un rapporto diretto con gli elettori, quando siederanno in Parlamento faranno quello che il segretario di partito dirà loro di fare votando tutto e l'esatto contrario di quanto promesso durante la campagna elettorale, per esser certi che al prossimo mandato sia garantita loro una poltrona.
Lo stesso vale per i governi che verranno composti in base alle necessità del momento e che faranno tutto quello che c'è da fare per soddisfare gli interessi dei politici, quelli degli industriali e quelli della finanza... naturalmente per senso di responsabilità.
Gli unici i cui interessi non saranno tutelati ma che, se sono fortunati, saranno ricompensati con qualche bonus, sono proprio gli elettori, quelli che in linea teorica dovrebbero essere i padroni della baracca, ma che nella realtà contano meno della serva di Abramo. Tutto questo, inoltre, avviene con il tacito assenso del presidente della Repubblica che, o perché responsabile o perché galantuomo, consente che tutto ciò accada.
E questo risponde alla seconda considerazione espressa nel titolo dell'articolo, nonostante ci sia ancora qualcuno che definisce tutto questo con il termine democrazia. Sinceramente, siamo ben oltre il ridicolo, oltre che ben oltre il livello di sopportazione.