Tra menzogne e bugie, lo scontro tra Di Maio e Repubblica (oltre che con Corriere e Messaggero)
La politica, come pragmaticamente ebbe a dire il socialista Rino Formica, è merda e sangue. Una definizione poco "politicamente" corretta, ma assolutamente veritiera. Quindi, sulla base di tale affermazione, ai più verrebbe da dire che la politica è roba da adulti.
Niente di più sbagliato. La politica, paradossalmente, per costruire la propria reputazione basata sulla merda e sul sangue utilizza le piccinerie, il detto e non detto, le interpretazioni, le ricostruzioni, le frasi riportate ed altre stupidaggini simili che sono caratteristiche del mondo dell'infanzia.
Una considerazione campata in aria? Macché è l'esatta descrizione della querelle che ancora oggi vede impegnati alcuni quotidiani italiani contro il Movimento 5 Stelle. Quale sarebbe l'oggetto del contendere? Che il 5 Stelle, vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio avrebbe mentito, in una intervista di domenica scorsa rilasciata a Lucia Annunziata, nell'affermare di aver voluto cacciare Marra. Secondo Messaggero, Corriere e Repubblica, Di Maio ha agito proprio in senso opposto. Lo dimostrerebbero alcuni messaggi scambiati via smartphone.
Già il voler dimostrare che un politico abbia detto o meno una bugia c'è di che strabuzzare gli occhi. Infatti, un politico bugiardo è la normalità - almeno per l'Italia - non un'anomalia! Ma che poi questa bugia fosse relativa a supportare o meno una persona che si diceva sgradita in pubblico, ma che era gradita in privato, fa veramente restare a bocca aperta. Che senso ha costruirci un caso? E poi perché farla tanto lunga quando un segretario del PD ed ex premier ha inondato l'Italia di bugie e contraddizioni per tre lunghi anni, senza soluzione di continuità? In quel caso, Messaggero, Corriere e Repubblica non hanno avuto nulla da ridire. Invece, se è un 5 Stelle a dire una bugia, apriti cielo!
Ma a parte questo. Siamo certi che Di Maio abbia realmente detto una bugia? Prendiamo ciò che ha scritto il giornalista Carlo Bonini su Repubblica per capire la sua ricosdtruzione dei fatti.
Scrive Marra alla Raggi: "Vorrei anche ricordarti che ho manifestato la mia disponibilità a riprendere l'aspettativa sin dal giorno in cui ho incontrato il vice presidente Di Maio a cui manifestai la mia disponibilità a presentare l'istanza qualora non fossi stato in grado di convincerlo, carte alla mano, sulla mia assoluta correttezza morale e professionale. L'incontro, come sai, andò molto bene, tanto che lui mi disse di farmi dare da te i suoi numeri personali. Cosa che per correttezza non ho mai fatto. Pensavo che quell'incontro potesse rappresentare un punto di svolta. Evidentemente mi sbagliavo".
Secondo Bonini, il testo è chiaro. L'incontro del 6 luglio tra Marra e Di Maio era stato tutt'altro che la sgradevole occasione per un licenziamento (come vorrebbe l'avventurosa ricostruzione del vicepresidente della Camera). E non solo perché questa fu la percezione di Marra. Ma perché che così fossero andate le cose è la stessa Raggi a saperlo. Non fosse altro perché è difficile immaginare Di Maio che nel "cacciare" un dirigente capitolino lo invita contestualmente a farsi dare i propri numeri personali dalla sindaca. A che scopo, se non quello di dimostrargli piena fiducia e massimo accesso confidenziale?
Ma qualche dubbio Bonini se lo fa venire, perché deve spiegare la frase finale «Pensavo che quell'incontro potesse rappresentare un punto di svolta. Evidentemente mi sbagliavo.»
Certo, si potrebbe dire: Marra, in quei messaggi, millanta. Racconta cose non vere dell'incontro del 6 luglio. Accredita, pro domo sua, una versione dei fatti dove la parola dell'uno (Di Maio) vale quanto quella dell'altro (Marra). E, dunque, sarebbe arbitrario, o comunque opinabile, caricare Di Maio di un ruolo politico di "protezione" di cui non esisterebbe la prova regina. Anzi, lo sconforto di Marra potrebbe essere la prova che proprio Di Maio lo avesse mollato. E, tuttavia, è la seconda chat in possesso di Repubblica che fa piazza pulita anche di questa (generosa) ipotesi.
Anche questo di un'evidenza solare. Dove alle parole può essere difficilmente dato un significato alternativo a ciò che documentano.
Quello riportatro successivamente è il messaggio inviato da Virginia Raggi che rimane nella memoria dello smartphone di Marra, che verrà sequestrato al momento dell'arresto.
Scrive Di Maio alla Raggi: "Quanto alle ragioni di Marra, lui non si senta umiliato. E' un servitore dello Stato. Sui miei, il Movimento fa accertamenti ogni mese. L'importante è non trovare nulla". "Un servitore dello Stato", cioè uno dei miei.
Non male per un tipo che, a suo dire, aveva "cacciato" il 6 luglio.
Sinceramente c'è da restare di stucco! Non solo, come detto in precedenza, riguardo alla questione in sé, ma anche in rapporto alla forzatura che si vuol dare nell'interpretazione dei messaggi che, tanta è la loro evidenza, parlano da soli. Perché volerne stravolgere il significato? L'unica spiegazione logica è che Repubblica, come anche gli altri quotidiani, si siano trasformati in quotidiani di partito e agiscano in funzione di una propaganda a prescindere contro i 5 Stelle.
Il solito blog di Beppe Grillo, coglie la palla al balzo e sfrutta i presunti scoop di Messaggero, Corriere e Repubblica come un assist per segnare un punto a proprio favore, annunciando cause gudiziarie e risarcimenti per diffamazione (#GiornalismoKiller, la misura è colma).
Luigi Di Maio ha pubblicato un video su facebook, riportato di seguito, in cui motiva la strategia dei tre quotidiani come disegno per distogliere l'attenzione dal congresso del PD che si è svolto ieri, in cui Renzi, a suo dire, è stato preso a fischi e pernacchie.
Da parte sua, Repubblica replica confermando la propria tesi, ma mostra più di un tentennamento quando, per finire, si aggrappa alla solita fune del giornalista che fa il suo lavoro e non può e non deve essere contraddetto perché sarebbe "propaganda delirante e pericolosa, che diffonderebbe nel Paese un clima di odio verso la stampa ed esporrebbe Carlo Bonini e gli altri colleghi a reazioni incontrollate."
Insomma, secondo Repubblica, i giornalisti sono liberi di scrivere ciò che credono, anche nel caso sia l'esatto contrario della realtà!