E’ stato pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità il 67.esimo rapporto Covid che in questa edizione tratta specialmente delle varianti del virus e sull’azione che queste hanno sull’esito delle vaccinazioni. Questo rapporto viene redatto insieme all’Aifa e all’Inail ed è un utile guida per tutti i medici, operatori sanitari che sono impegnati nella campagna vaccinale. 

Evitiamo di far girare, specialmente sui social, notizie false e pericolose. La gente in questi giorni ha iniziato ad auto somministrarsi  farmaci quali aspirina e anticoagulanti dopo aver fatto l’AstraZeneca o anche prima kdi prenderlo… I danni iatrogeni di comportamenti sconsiderati possono essere fatali. 


1) La circolazione delle varianti richiede una modifica delle misure di prevenzione e protezione non farmacologiche (distanziamento fisico, mascherine, igiene delle mani) in ambito comunitario e assistenziale?

La risposta dell'Iss è no e sottolinea come non sia indicato modificare le misure di prevenzione e protezione basate sul distanziamento fisico, sull’uso delle mascherine e sull’igiene delle mani; al contrario, si ritiene necessaria una applicazione estremamente attenta e rigorosa di queste misure.
 
Anche se non vi sono attualmente evidenze scientifiche della necessità di un isolamento in stanza singola di pazienti con infezioni da varianti virali, tuttavia, in presenza di diagnosi sospetta o certa di infezione da varianti 501Y.V2 o P1 di SARS-CoV-2, o di nuove varianti non ancora significativamente diffuse nella popolazione, l’Iss suggerisce, laddove possibile, di adottare l’isolamento in stanza singola o strategie di cohorting di pazienti infetti da una stessa variante.
 
Sono state poi identificate alcune condizioni che si associano a un aumentato rischio di contagio e relativa infezione con una nuova variante virale:
- contatto con un caso confermato COVID-19 da variante sospetta/confermata;
- arrivo da zona o paese in cui sia nota la circolazione di nuove varianti;
- presenza di un cluster costituito da un caso iniziale di COVID-19 e numerosi casi secondari tali da suggerire un’aumentata trasmissione virale.
 
L'Iss sottolinea poi che le prime evidenze scientifiche sembrano mostrare una maggiore carica virale nelle vie aeree superiori delle persone infettate da queste nuove varianti, tuttavia, non è ancora noto per quanto tempo il virus persista in forma capace di cicli vitali in questi soggetti e pertanto è indispensabile rafforzare, attraverso campagne di comunicazione, il rispetto di tutte le misure di controllo non farmacologiche, oltre a evitare gli spazi chiusi e, nel caso di lavoratori, rispettare tutte le ulteriori misure di prevenzione eventualmente prescritte.
 
Relativamente al distanziamento fisico, non vi sono evidenze scientifiche che dimostrino la necessità di un incremento della distanza di sicurezza a seguito della comparsa delle nuove varianti virali. Tuttavia - sottoliena l'Iss - si ritiene che un metro rimanga la distanza minima da adottare e che sarebbe opportuno aumentare il distanziamento fisico fino a due metri, laddove possibile e specialmente in tutte le situazioni nelle quali venga rimossa la protezione respiratoria (come, ad esempio, in occasione del consumo di bevande e cibo).


2) Test diagnostici e varianti

L’Iss sottolinea che per garantire la diagnosi d’infezione sostenuta da varianti virali con mutazioni nella proteina spike, i test diagnostici molecolari real-time PCR devono essere multi-target.
 
Per i test diagnostici molecolari si raccomanda di utilizzare come sistema di diagnosi in real-time PCR un test multi-target ovvero capace di rilevare più geni del virus e non solo il gene spike (S) che potrebbe dare risultati negativi in caso di variante con delezione all’interno del gene S, quale la variante VOC 202012/01 (denominata anche B.1.1.7) identificata per la prima volta nel Regno Unito.


3) Misure di prevenzione e controllo farmacologiche (vaccinazione)

Sulla base dei dati delle procedure autorizzative, il vaccino Comirnaty della BioNtech/Pfizer protegge al meglio dalla malattia COVID-19 sintomatica a partire da circa una settimana dopo la somministrazione della seconda dose di vaccino, che deve essere somministrata a distanza di 3 settimane (21 giorni) dalla prima dose. Tuttavia, le evidenze mostrano una certa protezione anche dopo una decina di giorni dalla prima dose.
 
Per quanto riguarda il vaccino Moderna, la vaccinazione prevede due dosi a distanza di 4 settimane l’una dall’altra (28 giorni) e la protezione risulta ottimale a partire da due settimane dopo la seconda dose.
 
Infine, per quanto riguarda il vaccino prodotto da AstraZeneca, la protezione inizia circa 3 settimane dopo la somministrazione della prima dose e persiste fino alla dodicesima settimana, quando deve essere somministrata la seconda dose di vaccino.
 
Gli studi clinici condotti finora hanno permesso di dimostrare l’efficacia dei vaccini nella prevenzione delle forme clinicamente manifeste di COVID-19, anche se la protezione, come per molti altri vaccini, non è del 100%.
 
Inoltre, non è ancora noto quanto i vaccini proteggano le persone vaccinate anche dall’acquisizione dell’infezione. È possibile, infatti, che la vaccinazione non protegga altrettanto bene nei confronti della malattia asintomatica (infezione) e che, quindi, i soggetti vaccinati possano ancora acquisire SARS-CoV-2, non presentare sintomi e trasmettere l’infezione ad altri soggetti. Ciononostante, è noto che la capacità di trasmissione da parte di soggetti asintomatici è inferiore rispetto a quella di soggetti con sintomi, in particolare se di tipo respiratorio.
 
Al momento ci sono dati piuttosto frammentari sulla capacità neutralizzante nei confronti delle varianti da parte di sieri ottenuti dopo vaccinazione.
Studi preliminari in vitro condotti sulla risposta immunologica (umorale e cellulare) evocata dai due vaccini a mRNA, BioNtech/Pfizer e Moderna, hanno evidenziato una ridotta attività neutralizzante da parte del siero dei soggetti vaccinati nei confronti della variante sud-africana e della variante brasiliana.
 
Inoltre, secondo uno studio in preprint, l’efficacia del vaccino AstraZeneca risulterebbe bassa per prevenire forme di malattia di grado lieve o moderato nel contesto epidemico sud-africano, a dimostrare la capacità della variante di eludere parzialmente la risposta immunitaria evocata dal vaccino.
 
Non è ancora noto quale sia l’impatto delle varianti per la protezione nei confronti delle forme di malattia severa, con ospedalizzazione ed esito letale. L’Oms afferma che lo studio ha un campione troppo limitato per una valutazione sulla malattia severa ma che evidenze indirette mostrano una protezione contro questa forma; alla luce di ciò, l’Oms raccomanda attualmente l’uso del vaccino AZD1222 di AstraZeneca secondo la già stabilita roadmap nazionale di definizione delle priorità, anche se sono presenti varianti in un Paese.

Per nessuno dei vaccini in utilizzo è nota al momento la durata della protezione ottenuta con la vaccinazione. Gli studi che attualmente sono in corso forniranno in futuro utili informazioni a tale riguardo.


4)  I lavoratori vaccinati, inclusi gli operatori sanitari, devono mantenere l’uso dei DPI e dei dispositivi medici, l’igiene delle mani, il distanziamento fisico e le altre precauzioni sul luogo di lavoro?

Tutti i lavoratori, inclusi gli operatori sanitari, devono continuare a utilizzare rigorosamente i DPI, i dispositivi medici prescritti, l’igiene delle mani, il distanziamento fisico e le altre precauzioni secondo la valutazione del rischio, indipendentemente dallo stato di vaccinazione e aderire a eventuali programmi di screening dell’infezione.
 
È noto che i vaccini anti-COVID-19 riducono significativamente la probabilità di sviluppare la malattia clinicamente sintomatica. D’altro canto, si ribadisce che nessun vaccino anti-COVID-19 conferisce un livello di protezione del 100%, la durata della protezione vaccinale non è ancora stata stabilita, la risposta protettiva al vaccino può variare da individuo a individuo e, al momento, non è noto se i vaccini impediscano completamente la trasmissione di SARS-CoV-2 (infezioni asintomatiche). Quindi, seppur diminuito, non è possibile al momento escludere un rischio di contagio anche in coloro che sono stati vaccinati.
 
L’Oms, anche a causa della emergenza varianti, sottolinea l’importanza per chiunque, compresi coloro che hanno avuto l’infezione o che sono stati vaccinati, di aderire rigorosamente alle misure di prevenzione e controllo sanitarie e socio-comportamentali.
 
In conclusione, ogni lavoratore, inclusi gli operatori sanitari, anche se ha completato il ciclo vaccinale, per proteggere sé stesso, gli eventuali pazienti assistiti, i colleghi, nonché i contatti in ambito familiare e comunitario, dovrà continuare a mantenere le stesse misure di prevenzione, protezione e precauzione valide per i soggetti non vaccinati, in particolare osservare il distanziamento fisico (laddove possibile), indossare un’appropriata protezione respiratoria, igienizzarsi o lavarsi le mani secondo procedure consolidate.


5) Una persona vaccinata, al di fuori dell’ambiente di lavoro, deve continuare a rispettare le misure di prevenzione per la trasmissione del virus (distanziamento fisico, mascherine, igiene delle mani)?

Una persona vaccinata con una o due dosi deve continuare a osservare tutte le misure di prevenzione quali il distanziamento fisico, l’uso delle mascherine e l’igiene delle mani, poiché, come sopra riportato, non è ancora noto se la vaccinazione sia efficace anche nella prevenzione dell’acquisizione dell’infezione e/o della sua trasmissione ad altre persone.
 
Questo ancor più alla luce dell’attuale situazione epidemiologica che vede la comparsa e la circolazione di nuove varianti virali, che appaiono più diffusive rispetto al virus circolante nella prima fase della pandemia e per le quali la protezione vaccinale potrebbe essere inferiore a quella esercitata rispetto al ceppo virale originario.
 

6) Se una persona vaccinata con una o due dosi viene identificata come contatto stretto di un caso positivo, bisogna adottare le misure previste per i contatti stretti?

Se una persona viene in contatto stretto con un caso positivo per SARS-CoV-2, secondo le definizioni previste dalle Circolari del Ministero della Salute, questa deve essere considerata un contatto stretto anche se vaccinata, e devono, pertanto, essere adottate tutte le disposizioni prescritte dalle Autorità sanitarie. Si mantiene la deroga alla quarantena per il personale sanitario, con il rispetto delle misure di prevenzione e protezione dell’infezione, fino a un’eventuale positività ai test di monitoraggio per SARS-CoV-2 o alla comparsa di sintomatologia compatibile con COVID-19.
 
Per “contatto stretto” si intende l’esposizione ad alto rischio a un caso probabile o confermato. Tale condizione è definita, in linea generale, dalle seguenti situazioni:
- una persona che vive nella stessa casa di un caso COVID-19,
- una persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso COVID-19 (per esempio la stretta di mano),
- una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso COVID-19, a distanza minore di 2 metri e di almeno 15 minuti,
- una persona che si è trovata in un ambiente chiuso (es. aula, sala riunioni, sala d’attesa dell’ospedale) con un caso COVID-19 in assenza di DPI (es. FFP2, FFP3, guanti) e dispositivi medici appropriati (es. mascherine chirurgiche).
 
La vaccinazione anti-COVID-19 è efficace nella prevenzione della malattia sintomatica, ma la protezione non raggiunge mai il 100%. Inoltre, non è ancora noto se le persone vaccinate possano comunque acquisire l’infezione da SARS-CoV-2 ed eventualmente trasmetterla ad altri soggetti.
 
Infine, è verosimile che alcune varianti possano eludere la risposta immunitaria evocata dalla vaccinazione, e, quindi, infettare i soggetti vaccinati. Segnalazioni preliminari suggeriscono una ridotta attività neutralizzante degli anticorpi di campioni biologici ottenuti da soggetti vaccinati con i vaccini a mRNA nei confronti di alcune VOC, come quella Sudafricana, e un livello di efficacia basso del vaccino di AstraZeneca nel prevenire la malattia di grado lieve o moderato nel contesto epidemico sud-africano.
 
Pertanto, in base alle informazioni attualmente disponibili, una persona, anche se vaccinata anti-COVID-19, dopo un’esposizione definibile ad alto rischio e considerata “contatto stretto” di un caso COVID-19, deve adottare le stesse indicazioni preventive valide per una persona non sottoposta a vaccinazione.
 
A prescindere dal tipo di vaccino ricevuto, dal numero di dosi e dal tempo intercorso dalla vaccinazione, in generale, la persona vaccinata considerata “contatto stretto” deve osservare, purché sempre asintomatica, un periodo di quarantena di 10 giorni dall’ultima esposizione con un test antigenico o molecolare negativo effettuato in decima giornata o di 14 giorni dall’ultima esposizione al caso, come da indicazioni contenute nella Circolare n. 32850 del 12/10/2020

7) Quali casi sono da considerarsi fallimenti vaccinali?
Anche i soggetti vaccinati, seppur con rischio ridotto, possono andare incontro a infezione da SARS-CoV-2 poiché nessun vaccino è efficace al 100% e la risposta immunitaria alla vaccinazione può variare da soggetto a soggetto. Inoltre, la durata della protezione non è stata ancora definita.
 
Come per altre vaccinazioni anche per i vaccini COVID-19 la risposta immunitaria al vaccino può variare da soggetto a soggetto anche in base alle caratteristiche individuali della persona (es. età anagrafica) oppure a condizioni cliniche concomitanti (es. immunodeficienza, specifiche comorbosità).
 

Qui è possibile scaricare il rapporto iss completo  con ulteriori domande e risposte di notevole interesse:
drive.google.com/file/d/1n4rnhfXXEEluRnjvU7m6wpqALTcPMCk7/view?usp=sharing