Intervista di Alessandro Rigoli all'Arch. Maurizio Ulisse (CTS ANPPE Vigili del Fuoco)
L’alluvione che ha colpito le Marche il mese scorso è l’ultimo in ordine di tempo degli eventi estremi ma sempre più frequenti che investono il nostro fragile territorio. La pioggia caduta in poche ore nell’anconetano tra le province di Pesaro-Urbino ed Ancona sono state quasi un terzo di quelle che in media dovrebbe cadere nell’arco di un anno. Piccoli torrenti trasformati in grandi fiumi con una furia devastante a portare via tutto quello che trovavano davanti. Piani di protezione civile inefficaci, allerte meteo spesso inascoltate e un piano regolatore edilizio non conforme al rispetto dei limiti che impone la natura. A metterci una toppa come consuetudine la grande macchina dei soccorsi che in poco tempo si è attivata per prestare soccorso alla popolazione. In prima linea i Vigili del fuoco al lavoro per mettere in sicurezza le aree colpite e aiutare le comunità locali. Sul lavoro effettuato e per lanciare un grido di allarme su cosa non va e come affrontare questi fenomeni ne parliamo con Maurizio Ulisse, componente del CTS di ANPPE Vigili del Fuoco, caposquadra esperto, Architetto con Master di 1° e 2° livello al Politecnico di Milano in tematiche di Protezione Civile.
Raccontami innanzitutto la tua esperienza per l’emergenza alluvionale. Cosa ti ha colpito?
Quello che mi ha colpito, devo dire, ancora una volta è il ripetersi degli eventi in maniera quasi metodica. A questi si contrappone una rassegnazione endemica nella popolazione coinvolta.
Cosa possono fare i Vigili del fuoco a livello territoriale? Oltre a prestare soccorso.
I Vigili del Fuoco, quale istituzione operante nelle fasi immediatamente successive all'evento, possono dare un contributo assolutamente indispensabile nelle fasi della pianificazione. Vi sono parametri che per la loro complessità, non possono limitarsi ad un mero contributo didattico. La didattica e quindi lo sviluppo di una scienza propedeutica alla pianificazione, deve tener conto di condizioni al contorno che si possono notare solo in queste fasi di impatto. Esempi sono, il comportamento non razionale delle persone coinvolte, i cambi di strategia imposti dagli eventi non ipotizzabili, in quanto infinitamente mutabili, imprevisti nella macchina dei soccorsi per scarsa preparazione operativa umana e meccanica. Sicuramente i Vigili del Fuoco attingendo anche e sopratutto dalle proprie risorse, potrebbero istituire un centro di ricerca e sviluppo per questi temi, come avviene per la prevenzione incendi. Tengo a precisare che le risorse interne sono fondamentali per il fattore esperienza.
Serve una pianificazione territoriale che può moderare le criticità.
Sicuramente! Il rischio come sappiamo è la convoluzione di una serie di parametri, tra i quali la vulnerabilità gioca un ruolo di primaria importanza in quanto direttamente dipendente dalle azioni umane. Gli addetti ai lavori sanno che la vulnerabilità esprime la correlazione non lineare esistente tra l'intensità di un evento stressore (es. terremoto,allluvioni,incendi...) ed il danno atteso: quindi ogni sistema ha una propria curva di vulnerabilità. Ed è proprio su questa che bisogna agire. A tal proposito giò dal 1997 ho iniziato una serie di studi che, valutando i singoli elementi, sono stati parametrizzati e pesati in merito alle loro caratteristiche scientifico/tecniche ed il loro comportamento in relazione ad esperienze passate. Quindi intervenendo ad esempio su infrastutture viarie, strategiche e civili, con quest'ottica avremmo una curva di vulnerabilità meno accentuata, a tutto vantaggio del rischio.
Come sono strutturati i piani di emergenza per i cittadini?
Un'altra nota dolente che in un certo senso è parte integrante della vulnerabilità è la relazione tra Piani di Emergenza e i Cittadini. Se da un lato alcune volte, abbiamo un documento anche strutturato fornito dalle amministrazioni, dall'altra uno degli attori principali, il cittadino, è spesso all'oscuro di tutto ciò. L'informazione e formazione sono fondamentali nella fase d'impatto e forniscono indicazioni su cosa e come fare. Altro elemento troppo spesso assente è un riferimento fisico sul territorio che possa indirizzare il cittadino, verso delle aree sicure preventivamente identificate con i criteri sopra descritti. Una cartellonistica studiata a regola che possa indirizzare il cittadino verso un luogo sicuro, che lo guidi appena uscito di casa fino al punto di raccolta, è essenziale.
I cittadini sono preparati in caso di allarme?
Io credo, dall'esperienza vissuta, che un buon 80% non sia preparato per i motivi della domanda precedente. Nella fase di impatto il cittadino, quasi sempre è da solo contro l'evento calamitoso. Nella fase d'impatto ed immediatamente successiva il cittadino quasi sempre vede che i fattori che lo accompagnano nella vita di tutti i giorni collassano per un tempo difficilmente determinabile che è conseguenza della magnitudo imposta dall'evento. Mi riferisco all'energia elettrica, comunicazioni telefoniche e di rete, approvigionamenti idrici, alimentari.Ecco perchè sono fermamente convinto che solo con una nuova educazione civica formata dal contributo dei cittadini in sinergia con le istituzioni, come ad esempio i Vigili del Fuoco e le loro esperienze e professionalità ampliata alla pianificazione, si possa essere preparati in caso di un’emergenza.
Le allerte meteo sembra che non funzionino come dovrebbe essere. Cosa c’è da rivedere?
I miei studi su questo tema sono ovviamente non approfonditi, ma mi permettono comunque di dire che la meteorologia deve essere ricalibrata per quello che concerne le soglie di allarme. Troppo spesso noto che alcuni parametri, che poi confluiscono in una valutazione di allarme, sono ormai da ricalibrare in funzione non solo degli eventi meteorologici in se per se, ma anche su parametri antropologici ormai superati in senso peggiorativo. Anche qui la pianificazione interdisciplinare è fondamentale per valutare gli scenari di allerta meteo che non possono più far capo, nella loro interezza, al solo meteorologo.
Urge quindi una pianificazione e uno studio per abbassare la vulnerabilità davanti ad un evento emergenziale
Credo che la pianificazione sia fondamentale per quello che riguarda i fattori antropologici. Al giorno d’oggi un PRG (Piano Regolatore Generale) e tutto quello che ne consegue a livello di urbanizzazione non può prescindere in primis da un Piano di Protezione Civile ben strutturato. Dobbiamo invertire la rotta e fare l'assoluto contrario di quello che è stato fatto fino ad oggi. Ora bisogna che prima si faccia il Piano di Protezione Civile Integrato e poi il PRG , in modo che gli elementi di spiccata criticità siano sottratti all'urbanizzazione e poi resi il meno vulnerabili possibile. Fino ad oggi il Piano di Protezione Civile è stato impostato, più che su un logico percorso, su un adattamento degli spazi lasciati dal PRG con ovvie conseguenze. In ultimo è necessario formare dei professionisti a tutto tondo che siano abili tanto nel tavolo di progettazione che nell’operatività, perchè l'emergenza si mostra in tutta la sua drammaticità sopratutto sul campo, lasciandoci di volta in volta degli insegnamenti dei quali troppo spesso non facciamo tesoro.