Nel pieno del conflitto tra Russia e Ucraina risuonano ancora oggi le parole di Papa Francesco: “Bisogna negoziare e chiudere il conflitto”. Una posizione di buonsenso, di equilibrio, che avrebbe dovuto rappresentare una linea guida per una diplomazia realmente orientata alla pace. Eppure, la reazione fu sorda e sprezzante: l’Ucraina respinse con veemenza l’invito al negoziato, mentre l’Europa rimase muta, priva di una posizione comune e di un indirizzo strategico. Ma questo non è un caso isolato, ma il simbolo di un’Europa sempre più inconsistente, incapace di incidere sulla scena internazionale e condannata a subire le conseguenze delle proprie indecisioni.
L’Europa, una torre di Babele senza visione. Il conflitto ucraino ha reso evidente la frammentazione politica e strategica dell’Unione Europea. Troppi galli a cantare, troppi interessi divergenti, nessuna volontà di agire in modo unitario. Mentre gli Stati Uniti dettano le regole del gioco e impongono la loro agenda, l’Europa si accoda, priva di una reale autonomia decisionale. Il risultato è una politica estera incerta, contraddittoria, incapace di produrre soluzioni concrete. Zelensky continua a rifiutare qualsiasi apertura al negoziato, alimentando un conflitto che distrugge il suo stesso popolo, e l’Europa si limita a fornire aiuti economici e militari, senza mai porsi la domanda essenziale: qual è la via per una pace giusta e duratura?
Un’Unione che ha smarrito la sua anima. L’Europa di oggi non è quella che i suoi padri fondatori avevano immaginato. L’idea di un continente unito per garantire la pace e il benessere dei suoi popoli sembra essere stata sostituita da un tecnocratismo senz’anima, che privilegia gli interessi delle élite economiche e finanziarie a discapito della volontà popolare. Si tratta di una degenerazione che affonda le sue radici nella progressiva desacralizzazione della società europea. Un’Europa che rifiuta le sue radici cristiane è un’Europa priva di identità, vulnerabile di fronte alle crisi e incapace di costruire un futuro solido. Il rigetto del riferimento cristiano nel Preambolo della Costituzione Europea ne è l’esempio più emblematico: una civiltà che nega le proprie fondamenta è destinata a sgretolarsi.
Una crisi che minaccia l’intero Occidente. L’aggravarsi della guerra in Ucraina e il coinvolgimento dell’Occidente, che sembrava inizialmente compatto nel suo sostegno a Kiev, stanno ora generando profonde spaccature. Il cambio di potere negli Stati Uniti ha evidenziato le divergenze tra Washington e l’Europa. Mentre il Presidente Trump considera l’Ucraina un onere finanziario e politico superfluo, l’Unione Europea insiste nel supporto a Kiev, temendo che una sua sconfitta si traduca in un colpo mortale per la propria credibilità. Questa ostinazione, però, ha un prezzo: il costo economico delle sanzioni, il rischio di un allargamento del conflitto, il malcontento crescente tra i cittadini europei, che pagano le conseguenze di una politica estera priva di una strategia chiara.
Dopo aver investito ingenti risorse per sostenere Kiev, l’UE si trova ora in un vicolo cieco: proseguire sulla stessa strada rischia di esacerbare le tensioni, ma tornare indietro appare un’umiliazione politica inaccettabile per le sue élite. Tuttavia, la vera minaccia non è la fine del conflitto, bensì il prosieguo di una strategia miope, che continua a ignorare i veri interessi delle popolazioni europee. L’Europa ha bisogno di un cambiamento radicale, di una politica che rimetta al centro la pace e il benessere dei suoi cittadini, non le ambizioni di un sistema burocratico che si nutre delle proprie contraddizioni.
Ritrovare la rotta: un’Europa dei popoli, non delle élite. La crisi ucraina rappresenta l’ennesimo campanello d’allarme: o l’Europa riscopre il senso della propria missione storica, fondata sui valori del Cristianesimo e della tradizione greco-romana, o rischia di diventare irrilevante. Nessuna struttura politica ed economica può supplire alla mancanza di una vera unità culturale e spirituale. Il male dell’Europa, oggi, è un male dell’anima: senza un ritorno alle proprie radici, senza un risveglio dei valori che ne hanno fatto la culla della civiltà occidentale, il suo declino sarà inevitabile.
È tempo di scelte coraggiose, di una politica che guardi al futuro senza rinnegare il passato, che metta al centro l’uomo e non il profitto, che persegua la pace e non la guerra. Se l’Europa vuole sopravvivere, deve tornare ad essere quella comunità di popoli uniti da una visione comune e da un destino condiviso. Diversamente, il sogno europeo rischia di trasformarsi in un incubo di divisione e instabilità.