Vincenzo Musacchio, giurista, criminologo e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Oltre ad essere ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra, nella sua carriera, il giurista è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ’80.


Professore lei è un penalista, per cui, la prima domanda è la seguente: che rapporto c’è tra la scelta consapevole del fine vita e il diritto penale?
Guardi la prima cosa che mi sento di rispondere è che il quesito referendario, che ho letto recentemente, pone in evidenza la quasi totale abrogazione dell’art. 579 del nostro codice penale. Ci sarebbe, di fatto, una depenalizzazione mascherata e la fattispecie incriminatrice passerebbe dall’attuale “omicidio del consenziente” alla nuova, denominata probabilmente “eutanasia attiva”. Ritengo che il punto da cui bisognava partire avrebbe dovuto essere la sentenza della Consulta 22 novembre 2019 n. 242. I giudici costituzionali nel suddetto provvedimento a mio giudizio sono stati irreprensibili. Nel noto processo a Marco Cappato per aiuto al suicidio del deejay Fabo, la Corte ha ritenuto parzialmente incostituzionale l’articolo 580 del codice penale nel caso in cui non contempli quattro circostanze in cui l’aiuto al suicidio andrebbe depenalizzato. Le quattro ipotesi sono: 1) persona sia affetta da patologie irreversibili; 2) provi sofferenza intollerabile; 3) sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale; 4) sia capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Diritto penale ed eutanasia legale dunque sono compatibili entro questi limiti che definirei tassativi anche nell’elaborazione di un’eventuale legge ad hoc. Avevamo la via maestra, bastava una legge del Parlamento e il discorso sarebbe stato chiuso. Nel nostro Paese invece la politica da qualche tempo non si assume le sue responsabilità tantomeno esercita le sue prerogative. Perciò ben venga il referendum che resta sempre un buon esercizio di democrazia in un momento in cui questo concetto comincia a latitare.

Perché la politica non decide mai su temi così importanti?Credo la domanda andrebbe posta ai politici. La mia opinione è che il politico italiano è sostanzialmente un “equilibrista circense” che per calcolo politico, economico, sociale, religioso resta immobile sulla corda per evitare di cadere consapevole che non arriverà mai alla meta finale  contando sul fatto che il pubblico si stanchi e abbandoni lo spettacolo. Egli sceglie e non sceglie, pensa e non pensa, dice e non dice, fa e non fa. È esattamente il contrario di ciò che dovrebbe essere un vero politico. A volte è per il “so” a volte per il “ni”, non si schiera mai apertamente, manicheo fino all’osso. Non tutti i politici ovviamente sono così. Un dato tuttavia è evidente oggi più che mai: c’è un netto distacco tra il popolo e i suoi rappresentanti.

Ci spiega meglio alcuni concetti? Per esempio cos’è l’eutanasia legale o attiva?Provo dirlo nel modo più elementare possibile. L’eutanasia attiva è l’uccisione indolore di un essere umano per spezzare le sofferenze di persona colpita da malattia mortale o anche soltanto inguaribile, pur non presentandosi la morte entro poco tempo. Lo scopo dovrebbe essere quello di attenuare o eliminare al massimo le sofferenze del paziente. Tale decisione è mediata dalla deliberata e consensuale abbreviazione della vita del sofferente, determinata, in via diretta, dall’intervento medico. In Italia, oggi è una pratica penalmente rilevante. Appartiene al più ampio ventaglio delle scelte (terapeutiche) di fine vita. Abbiamo, infatti, un’eutanasia attiva e una passiva. La prima prevede l’azione personale dello stesso malato di procurarsi la morte, aiutato dal sostegno decisivo ma ausiliario di un soggetto terzo (il medico prescrive e porge il prodotto letale). La seconda consiste nel diritto al rifiuto informato alle cure, anche se fossero salvavita e cioè il cd. suicidio medicalmente assistito (il medico prescrive e inietta direttamente il prodotto letale).

Il quesito referendario poggia sulle direttive della Consulta, oppure, va oltre?Secondo me va oltre. Premetto che sono favorevole a una legge che tenga come baricentro le direttive dettate dalla Consulta. Credo, tuttavia, il problema essenziale sia proprio il limite entro il quale fermarsi. Il problema sta tutto in quest’ambito. La sentenza della Corte Costituzionale crea una cornice rigida e quindi chiede al legislatore di intervenire proprio con tassatività e determinatezza (come deve essere in materia penale). Il quesito referendario a me pare depenalizzi in toto, rendendo lecito l’omicidio del consenziente. Su questo punto non sono d’accordo con i promotori del referendum, fermo restando che dovremmo comunque leggere la norma che sarà eventualmente elaborata post referendum.

Secondo quanto ha detto finora, che giudizio da al quesito referendario?Guardi i referendum in Italia lasciano il tempo che trovano. Sono un bell’esercizio di democrazia ma spesso sono svuotati del loro contenuto proprio dal legislatore. Si poteva fare certamente di meglio se la politica avesse svolto il proprio ruolo. Quello che conta realmente ripeto è ciò che sarà scritto dopo l’eventuale vittoria referendaria. Sono da sempre fautore del principio d’indisponibilità della vita che, però, a livello ordinamentale, non può ritenersi assoluta, soprattutto a fronte della considerazione che il diverso fenomeno del suicidio in senso stretto è qualificabile come un mero fatto, se non lecito, almeno tollerato, in quanto sostanzialmente ricompreso all’interno di uno spazio di cosiddetta “neutralità debole” tendenzialmente libero dalla regolamentazione giuridica. La materia va normata ma tenendo sempre in considerazione massima il fatto che l’uomo è il fine di un ordinamento giuridico e mai il mezzo, per cui, sono sempre contrario a qualsiasi azione o omissione che sfrutti l’essere umano per qualsiasi ragione. So che il “fine vita” rappresenti un tema molto delicato per un giurista giacché le leggi materiali spesso s’intersecano con quelle di ordine morale e religioso. La vita è un bene prezioso e lo è proprio perché è l’esplicazione dell’“io” di ciascun individuo. Quando questo “io” non è più esplicabile viene meno il soggetto stesso. In questo caso con i dovuti paletti un soggetto ha diritto di decidere di porre fine alla sua esistenza.

In conclusione, lei ha firmato per i referendum e come voterà?Credo che la risposta a queste due domande sia contenuta all’interno di questa intervista, per cui ritengo superflua la mia risposta.