TACCUINO #39

L’uomo e gli stati tendono a non ammettere le proprie responsabilità per una serie di ragioni complesse, che vanno oltre il semplice egoismo o l’ipocrisia. Al centro di questa tendenza vi sono meccanismi biologici, cosiddetti psicologici, sociali e sistemici profondamente radicati. Per analizzare questa dinamica in modo che emerga con chiarezza, esaminiamo i fattori principali:

 

1. Meccanismi biologici e cosiddetti psicologici

  • Negazione per protezione dell’Io: l’uomo è biologicamente predisposto a evitare dissonanze cognitive. Ammettere responsabilità significa affrontare un conflitto tra ciò che si crede di essere (immagine di sé) e ciò che si è effettivamente fatto. Questa dissonanza genera disagio, che il cervello tende a ridurre attraverso meccanismi di negazione, giustificazione o proiezione.
  • Sopravvivenza sociale: l’essere umano è un animale sociale? Ammettere errori o colpe può compromettere la propria posizione nel gruppo. La difesa dell’immagine pubblica diventa una questione di sopravvivenza cosiddetta psicologica e, indi, materiale.
  • Paura dell'irreversibilità: ammettere le proprie responsabilità significa anche accettare che le proprie azioni possano aver causato danni irreparabili, un peso psicologico che pochi sono in grado di sostenere. Ancora, farsi carico delle proprie responsabilità significa scarnificare la maschera per vedere la naturale sostanza propria. E meravigliarsi, accecati dal vero orrore o dalla vera celata magnificenza.

 

2. Fattori culturali e sociali

  • Cultura della colpa: la società umana, soprattutto nelle sue strutture giuridiche e morali, tende a punire l’ammissione di "colpe" piuttosto che premiarla. Questo rende difficile per l’individuo o per lo Stato assumersi le responsabilità in modo spontaneo.
  • Narcisismo collettivo: gli stati e le istituzioni rappresentano comunità di persone che condividono un’identità collettiva, quando non esiste un inconscio collettivo (qui abbisognerebbe ben capire e ben capirsi, ben comprendere e ben comprendersi). Ammettere responsabilità a livello statale può essere percepito come una minaccia a questa identità, che viene difesa con lo stesso fervore con cui un individuo protegge il proprio ego.
  • Scarsità di educazione "etica": in molte società, manca una vera educazione che insegni a elaborare il fallimento e le responsabilità come parti integranti del progresso umano.

 

3. Strutture di potere e sistemi di controllo

  • Impunibilità sistemica: gli stati e i leader spesso operano in un contesto di impunibilità. Veri criminali. Quantomeno, primi criminali. Spesso soli autocondannantesi. Quando non vi sono conseguenze reali, non esiste incentivo a riconoscere gli errori.
  • Razionalizzazione ideologica: gli stati giustificano i propri errori attraverso ideologie (es. sicurezza nazionale, progresso economico), che fungono da maschere per le loro responsabilità.
  • Capro espiatorio: piuttosto che ammettere responsabilità, sia gli individui che gli stati spesso proiettano la colpa su altri (gruppi sociali, nemici esterni, leader precedenti).

 

4. Cosa manca?

La mancanza principale è un’architettura etica e biologica che superi la tendenza alla negazione. Alcune possibili direzioni per colmare questo vuoto sono:

  • Consapevolezza biologica: l’accettazione che i nostri meccanismi "mentali" sono limitati e influenzati da bias cognitivi, favorendo l’uso di strumenti esterni (es. intelligenza artificiale, analisi dati) per una valutazione oggettiva delle responsabilità.
  • Trasformazione della giustizia: passare da una giustizia punitiva a una giustizia riparativa, che incoraggi l’assunzione di responsabilità come un valore intrinseco piuttosto che una debolezza.
  • Promozione della vulnerabilità: riconoscere che l’ammissione di responsabilità non è un fallimento ma un atto di forza e maturità. Chi è originariamente debole, potrà?

Osservare e osservarsi attentamente, con estrema pazienza, muove a capire.

ϑεάομαι.

Paura delle irreversibilità. L'uomo commette danni irreparabili, e ha paura degli stessi danni. Non sembra una fattualità paradossale? Non sembra antinomico? La stessa natura dannosa della qual cosa della natura di cosa siamo in natura è fallace caotica e spaventosa, ma non abbatte l'agire che nasce dalla paura e si nutre della stessa.

Analisi del paradosso


L'agire dannoso e la paura del danno: un ciclo antinomico

L’uomo è intrappolato in una sorta di circolo vizioso:

La paura di un danno irreparabile nasce dalla consapevolezza (o percezione) di essere capace di infliggerlo.

Tuttavia, è proprio la paura che alimenta ulteriori azioni spesso ancora più dannose. Questo agire, guidato dalla paura, tende a non risolvere i problemi ma a perpetuarli, creando un accumulo di caos e dolore.

 
Questo ciclo non è razionalmente "fallace", ma irrisolvibile se lo si osserva attraverso una lente logica binaria (bene/male, giusto/sbagliato). La contraddizione, quindi, è reale ma non indica debolezza; piuttosto, è una caratteristica ontologica della condizione umana.


La natura fallace e caotica dell’uomo

La natura umana è caotica perché la vita stessa si fonda sul caos. L’ordine, come lo concepiamo, è solo una sovrastruttura temporanea. L’uomo non è progettato per agire in modo perfetto o lineare: la sua capacità di errore è ciò che lo rende creativo, ma anche distruttivo.

La paura e il danno sono due facce della stessa medaglia. L’uomo, consapevole della propria caducità e limitatezza, tenta di controllare il caos, ma nel farlo lo amplifica, creando danni irreversibili. Tuttavia, questo non è solo sinonimo di fallimento: è semplicemente (anche e forse di ragion basilare) il prezzo della complessità esistenziale.

Intenti:

  1. Profondità analitica: esploriamo una dimensione fondamentale della natura umana senza ricorrere a soluzioni superficiali o confortanti.
  2. Accettazione del caos: non cerchiamo di negare la contraddizione, ma la osserviamo come una parte integrante della realtà. Propendiamo per una visione radicale e lucida.
  3. Superamento della morale: non cadiamo nel "moralismo" (es. "l’uomo è buono o cattivo") ma evidenziamo il carattere intrinsecamente ambiguo e complesso dell’agire umano.

 

Un possibile ampliamento

Non debole, ma tragico: il nostro ragionamento si avvicina alla visione tragica dell’esistenza, in cui l’essere umano si confronta con il caos senza possibilità di vittoria, ma trova nella lotta stessa un significato. Dobbiamo ulteriormente riflettere, giacché un paradigma filosofico potrebbe mascherare il primigenio "istinto" e la "primigenia" pulsione.

«Altro che Logos!».

«Oltre il Logos! Giacché è stato quello che scopriamo! Nessuna invenzione! Nessuna Creazione! Nessun Verbo! Il Verbo stesso dice che non è perchè lo parliamo, ma è perchè è il significato di è».

 Un modello ciclico: la dinamica che descriviamo può essere interpretata come un sistema entropico, dove l’energia della paura genera azione (generata dall'azione del pensier non pensato e dall'azione del pensier pensato), e l’azione genera ulteriore paura e caos. Questo modello può essere utile per comprendere non solo l’individuo, e non solo il dividuo, ma anche i comportamenti collettivi e le dinamiche storiche.