In una nota di Tony Blair a George Bush, i piani per un nuovo ordine mondiale post-Iraq
Dopo la pubblicazione delle conclusioni della commissione d'inchiesta sulla guerra in Iraq in un corposo rapporto di 12 volumi, noto come rapporto Chilcot, è iniziata in Gran Bretagna l'analisi dei documenti che sono stati contestualmente desecretati, in particolare degli scambi epistolari fra Tony Blair e George Bush.
Fra questi un interesse particolare lo ha destato un nota di 11 pagine di Blair diretta al presidente degli Stati Uniti, del 26 marzo 2003, dal titolo "L'obiettivo fondamentale" (The fundamental goal).
Atteggiandosi a stratega di larghe vedute, appena sei giorni dopo che le truppe anglo-americane avevano messo piede sul suolo iracheno, il primo ministro britannico cominciava a tratteggiare il profilo di quello che avrebbe dovuto essere l'equilibrio mondiale all'indomani della vittoria della coalizione.
Naturalmente, nella ridefinizione del nuovo quadro politico globale sono gli Stati Uniti, secondo Blair, a giocare il ruolo di protagonisti, come ben chiarisce la frase "you can define international politics". Blair darà una mano, ma il documento lascia intendere che il suo sarà un ruolo subordinato. La nostra ambizione è grande, afferma estendendo al suo interlocutore quelle che sono le sue aspirazioni.
La missione è quella dell'esportazione della democrazia, anche se quanto accaduto successivamente con la primavera araba ci ha mostrato che l'abbattimento dei regimi dittatoriali nel mondo arabo ha dato un contributo all'inasprimento del terrorismo.
Nel documento a Bush, Blair ci rivela anche che la vera ragione della guerra in Iraq è il rovesciamento di Saddam Hussein. Una rivelazione importante che avvalora quanto sostenuto dall'allora vice premier John Prescott riguardo all'illegalità dei conflitti miranti ad un cambiamento di regime, senza una esplicita risoluzione della Nazioni Unite.
Come al solito, ormai in politica si è preso l'abitudine di addurre un problema di comunicazione, quando gli altri non si allineano sulle nostri posizioni, anziché ipotizzare che in realtà quanti non concordano con noi possano anche avere delle argomentazioni più valide delle nostre.
Qui Blair pecca un po' di ingenuità, pensando che la gente ancora non abbia conosciuto il vero Bush. In realtà, è vero l'esatto contrario. Proprio perché avevano capito con chi avevano a che fare che Francia e Germania non fecero parte della coalizione in Iraq.
Secondo Blair, uno dei problemi da affrontare è quello di riportare dalla parte degli Usa quanti si erano opposti al conflitto o, comunque, avevano deciso di non partecipare. Meglio iniziare dalla Germania, dove si è trattato della decisione personale di un leader politico, l'allora cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder, e non di una scelta strategica. Un riavvicinamento alla Germania servirebbe da grimaldello per riportare tutta l'Europa e soprattutto la Francia dalla parte degli Stati Uniti.
La Gran Bretagna potrà dare una mano a rimuovere quei residui di gollismo, responsabili, sempre secondo Blair, del fatto che i francesi non abbiano fatto parte della coalizione dei volenterosi.
E' l'economia che potrebbe indurre Francia e Germania a mettere da parte il loro pur moderato anti-americansimo. Con la richiesta di rimuovere tutte le tariffe doganali e le norme che regolano le importazioni negli Usa, Blair pone le basi di quello che oggi è diventato il TTIP, l'accordo commerciale fra Usa e UE per la creazione di un mercato unico.
A questo punto, Blair stila quella che secondo lui dovrà essere l'agenda dei prossimi mesi/anni, per la creazione di un nuovo equilibrio mondiale. Sono cinque punti: la pace in medio-oriente, lotta al terrorismo e alle armi di distruzione di massa, l'appoggio alle politiche del WTO (World Trade Organization) per la creazione di un mercato globale, lotta alla povertà e la necessità di affrontare il problema del cambiamento climatico.
Nel riallacciare i rapporti con Francia e Germania, bisogna stare attenti a non urtare la sensibilità di quei paesi dell'Europa orientale che hanno dato il appoggio alla guerra in Iraq, in particolare Romania e Bulgaria. Se ne potrebbe avere ancora bisogno.
Siria, Libia e Iran sono le situazioni che preoccupano di più nello scacchiere medio-orientale. Si leggono qui già i primi accenni di quelli che saranno effettivamente negli anni seguenti alcuni dei temi al centro della diplomazia mondiale.
Per quanto riguarda il mondo arabo, Blair imputa l'instabilità ad un mancanza di democrazia e ad un pericoloso miscuglio di religione e politica. La soluzione proposta è una strategia a lungo/medio termine per portare in questi paesi libertà e democrazia. Come abbiamo visto, dopo la primavera araba, l'esito è stato diverso.
Nessun riferimento all'Italia. Difficile stabilirne il motivo. Forse non costituiva un problema dato che Berlusconi fu tra i primi e i più entusiasti a schierarsi con Bush o forse il nostro paese non aveva un peso tale da poter incidere nelle scelte future.