“Abbiamo fatto studi interni e trovato che le fibre (plastiche) sono benefiche per la comunità di incrostazioni di specie marine”...
Quella riportata nel titolo è stata la risposta a firma di Todd Barber, chairman di Reef Ball Foundation, al nostro articolo dal titolo: Già dieci campioni di Reef Ball collocati in Veneto ed Emilia Romagna. Sicuri che ciò non possa costituire un problema? pubblicato su fai informazione il 5 marzo 2019.
Siamo increduli. Non immaginavamo che ci fosse ancora qualcuno che volesse chiudere gli occhi di fronte ad un’emergenza planetaria. Una situazione tragica che ha messo in evidenza la cruda realtà che dovremmo fronteggiare nei prossimi anni. “Nostri errori sono tornati a chiedere il conto. Un conto terribilmente salato che non sappiamo come pagare.”
La cosa disarmante è che Reef Ball Foundation si occupa ripopolamento ittico quindi di aumentare le risorse alieutiche tramite l’immersione in mare di strutture che a detta del fondatore sono costituite anche di filamenti plastici, ma che comunque la plastica non fa male anzi è benefica.
Le stesse forme di vita marina che si sviluppano sulle strutture di Barber sono quindi inquinate sin dalla nascita.
Prendiamo uno stralcio da uno studio interessantissimo presente sul web.
L'impatto delle microplastiche sugli ecosistemi marini.
Le microplastiche: microfonti...di macroinquinanti!
“Cause e conseguenze della dispersione delle microplastiche in mare e del bioaccumulo di sostanze inquinanti derivanti dalla loro ingestione”. Marevivo Factory e Università La Sapienza di Roma
https://marevivo.it/files/160505/microplastiche_doc_gruppo_ardizzone_def.pdf
“... I dati numerici finora sciorinati dovrebbero bastare a far comprendere la portata dell’inquinamento da microplastiche. Ma per comprendere pienamente questa tematica è necessario considerarne gli effetti sugli ecosistemi acquatici. In molti animali tali particelle creano danni fisici, come il soffocamento (tipicamente osservabile in molti invertebrati filtratori). Ma è solo l’inizio: è infatti di portata decisamente maggiore la tossicità che scaturisce dall'inquinamento da microplastiche, esponenzialmente incrementata da adsorbimento e bioaccumulo di sostanze inquinanti. Gli inquinanti organici persistenti che più frequentemente vengono assorbiti sono ad esempio gli ftalati, i PCB, le organoclorine e i metalli pesanti (Ashton et al., 2010; Seltenrich, 2015).
Questo processo fa sì che una piccola superficie quale quella di una microparticella possa concentrare grandi quantitativi di inquinanti, favorendone la dispersione in mare e diventano una vera e propria “bomba a orologeria”.
“Noi siamo quello che mangiamo”, diceva il tedesco Ludwig Andreas Feuerbach. Questo aforisma è pienamente contestualizzabile anche in ambiente marino: “i pesci sono quello che mangiano”...e dato che sovente ingeriscono microplastiche, per sillogismo “i pesci sono plastica tossica”. Considerando che si consumano, infatti, circa 23 chili di pesce per persona all’anno, che salgono a 25 chili in Italia, un valore pari a meno della metà del Portogallo che con 56 chili a testa è leader in Europa, gli effetti sulla salute umana sono facilmente intuibili (Coldiretti - Impresa Pesca, 2015). Per comprendere più adeguatamente come le microplastiche entrino nella catena trofica, bisogna parlare del bioaccumulo o biomagnificazione, ovvero quel processo che porta negli organismi che direttamente o indirettamente ingeriscono le micro particelle ad un aumento in maniera esponenziale dei livelli tossici man mano che si sale di livello (Fig. 6). Sono tantissime le specie affette da questa forma di inquinamento, dai filtratori, come i molluschi bivalvi (le classiche cozze e vongole che frequentemente arricchiscono i nostri pasti) e i crostacei cirripedi (balani), agli invertebrati detritivori, come oloturie, isopodi, anfipodi e policheti (in particolar modo Arenicola marina) (Ward et al., 2009; Ivar do Sul & Costa, 2014; Rochman, 2015). E’ quindi frequente che gli animali a vita bentonica accumulino direttamente microplastiche anche di cospicue dimensioni, mentre le particelle più piccole possono essere ingerite anche da organismi planctonici, come i copepodi e gli eufasiacei, ma ovviamente l'accumulo diretto è riscontrabile anche ai livelli più alti della catena trofica, come nella balenottera comune (Balaenoptera physalus), che accumula notevoli quantitativi di ftalati (in media circa 45 ng/g di grasso), o nello squalo elefante (Cetorhinus maximus) (Fossi et al., 2012, 2014; Fossi, 2013). E' implicito che il processo di biomagnificazione riguardi anche il trasferimento trofico in predatori attivi quali uccelli, rettili, mammiferi marini, pesci e cefalopodi...”
Lo studio continua con ulteriori approfondimenti. Risulta chiaro che Se vogliamo sopravvivere, dobbiamo cambiare strategia dobbiamo adattarci allo scenario che abbiamo di fronte. Dobbiamo preservare e conservare le catene trofiche e soprattutto restaurare i danni creati in cinquant’ anni. Non possiamo cercare scorciatoie, per non vedere l’agonia del pianeta. Il fenomeno è così grave che l’intera economia planetaria sta cambiando. In pochi anni termini come green economy, blue growth , sostenibilità o economia circolare sono diventati fondamentali e di uso quotidiano. Stà a noi affrontare il cambiamento. Stà a noi decidere. Possiamo quindi decidere di eliminare tutto ciò che va contro la sopravvivenza del pianeta e la nostra vita. Cominciamo a dire che abbiamo capito ciò che dice Todd Barber che Reef Ball utilizza tanta plastica . Sta a noi decidere. Questa libertà è nostra ed è l’unico strumento che abbiamo. Possiamo scegliere.
Foto: Questo albatros piedineri cerca di alimentarsi con una fibra di plastica sulle Isole Leeward, Hawaii. Fotografia di Frans Lanting, National Geographic