Tre persone sono state fermate nella notte nell'ambito dell'inchiesta della Procura di Verbania sull'incidente della funivia Stresa-Mottarone, nel quale sono morte 14 persone. Si tratta di Luigi Nerini, proprietario della società che gestisce l'impianto, l’ingegnere direttore del servizio e un altro dipendente, capo servizio. Gli inquirenti hanno accertato che "la cabina precipitata presentava il sistema di emergenza dei freni manomesso".


Gravi indizi di colpevolezza, gesto consapevole
Gli interrogatori ai dipendenti delle Ferrovie del Mottarone si sono conclusi verso le 4. Sono emersi "gravi indizi di colpevolezza", i quali hanno commesso "un gesto materialmente consapevole dettato da ragioni economiche. L’impianto avrebbe dovuto restare fermo". A riferirlo è il procuratore della Repubblica di Verbania, Olimpia Bossi, spiegando che sulla cabina precipitata è stata inserito il cosiddetto "forchettone", ovvero il dispositivo che consente di disattivare il freno, e non è stato più rimosso.

Freno manomesso per evitare il blocco della funivia
Secondo i pm il divaricatore che tiene distanti le ganasce dei freni, che dovrebbero bloccare il cavo portante in caso di rottura del cavo trainante, non è stato rimosso al fine di "evitare disservizi e blocchi della funivia. Il sistema presentava delle anomalie e avrebbe necessitato un intervento più radicale con un blocco se non prolungato consistente".

Cambiata anche l’ipotesi di reato: all'omicidio colposo si è aggiunto l’articolo 437 del codice penale, che punisce con una condanna fino a dieci anni la rimozione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, aggravate se da quel fatto deriva un disastro. Nelle prossime ore a carico dei tre fermati sarà chiesta la convalida del fermo e l'applicazione di una misura cautelare.

Sviluppo molto grave e inquietante
I tre fermi disposti nella notte sono "uno sviluppo consequenziale, molto grave e inquietante, agli accertamenti che abbiamo svolto", ha sottolineato il procuratore Olimpica Bossi. "Nella convinzione che mai si sarebbe potuto verificare una rottura del cavo si è corso il rischio che ha purtroppo poi determinato l'esito fatale", ha aggiunto.
Sulla funivia due interventi, ma non risolutivi
Inseguito ai disservizi rilevati sulla funivia del Mottarone, "ci sono stati due interventi. Quello del 3 maggio è uno dei due che sono stati richiesti, ma evidentemente non sono stati risolutivi", hanno precisato dalla Procura.

Già diversi viaggi con quelle anomalie
Entrata in funzione da circa un mese, dopo lo stop a causa della pandemia, la funivia del Mottarone "era da più giorni che viaggiava in quel modo e aveva fatto diversi viaggi", ha affermato ancora Olimpia Bossi. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, dalla ripresa del servizio l'impianto presentava delle "anomalie". Problemi presenti "anche prima, quando la funivia veniva attivata solo per manutenzione o servizi che non comportavano il trasporto dei passeggeri". Poi, quando le misure anti-Covid sono state allentate e si è tornati alle attività normali, "questi incidenti si sono verificati con cadenza se non quotidiana comunque molto frequente. Erano stati richiesti ed effettuati interventi tecnici per rimediare ai disservizi, ma non erano stati risolutivi. Così si è pensato di rimediare".

Gli inquirenti hanno accertato che "la cabina presentava il sistema di emergenza dei freni manomesso". I tre hanno ammesso le proprie responsabilità.

C'era un problema, non volevano fermare il servizio
I fermati durante gli interrogatori hanno "ammesso" le proprie responsabilità. Lo afferma il comandante provinciale dei carabinieri di Verbania, tenente colonnello Alberto Cicognani. "Il freno non è stato attivato volontariamente? Sì, sì, lo hanno ammesso",dice l'ufficiale dell'Arma ai microfoni di Buongiorno Regione, su Rai Tre. "C'erano malfunzionamenti nella funivia, è stata chiamata la manutenzione, che non ha risolto il problema, o lo ha risolto solo in parte. Per evitare ulteriori interruzioni del servizio, hanno scelto di lasciare la 'forchetta', che impedisce al freno d'emergenza di entrare in funzione".  "L'altra cabina non aveva il forchettone" - La rottura del cavo "è stata l'innesco della tragedia. Ora si tratta di approfondire quanto accennato sui freni, abbiamo bisogno dell'intervento dei tecnici". Secondo la Procura di Verbania, domenica l'altra cabina non aveva il forchettone, "ma verificheremo se l'apposizione era stata fatta anche su quella. Bisogna anche capire se la presenza di un solo 'forchettone' o due avrebbe avuto effetto analogo"
Valutiamo le posizioni di altre persone
La Procura di Verbania si è riservata inoltre "di valutare eventuali posizioni di altre persone". A partire da mercoledì "cercheremo di verificare, con riscontri di carattere più specifico, quello che ci è stato riferito", ha affermato Bossi. Il procuratore ha poi parlato di "un quadro fortemente indiziario" nei confronti dei fermati, ovvero le persone che avevano, "dal punto di vista giuridico ed economico, la possibilità di intervenire. Coloro che prendevano le decisioni".

Il Corriere della Sera scrive:

Per quasi un mese la cabina della funivia del Mottarone è stata una roulette russa per chi ci ha viaggiato.
Da quando l’impianto è ripartito il 26 aprile dopo il blocco per le norme anti-Covid, i freni di emergenza erano stati disattivati inserendo almeno un «forchettone» per evitare che l’impianto continuasse a bloccarsi a causa di una serie di anomalie che facevano scattare i sistemi di sicurezza.

E quando domenica mattina la fune di trazione si è spezzata all’arrivo nella stazione di monte, la cabina, libera dall’unico vincolo, è diventata un proiettile, ha ripercorso a ritroso gli ultimi 300 metri che aveva fatto a una velocità di oltre 100 km all’ora che l’ha fatta sganciare dalla fune portante e precipitare, schiantandosi a terra e uccidendo 14 dei 15 passeggeri.

Sono questi i risultati agghiaccianti e fino a ieri impensabili raggiunti dagli investigatori in appena 48 ore di indagini che hanno portato al fermo del titolare delle Ferrovia del Mottarone Luigi Nerini, Gabriele Tadini, direttore del servizio ed Enrico Perocchio, capo operativo.

Sono le 3,57 della mattina, il cielo già albeggia sulla sponda piemontese del lago Maggiore quando la procuratrice Olimpia Bossi e il sostituto Laura Carrera lasciano la stazione dei Carabinieri di Verbania dopo la raffica di interrogatori cominciata 12 ore prima e conclusasi con i fermi dei primi tre indagati accusati di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose gravissime nei confronti di un bambino (unico sopravvissuto) e di rimozione od omissione dolosa di cautele aggravata dal disastro. Leggi l'articolo completo, a firma di Giuseppe Guastella, inviato a Stresa, sul sito di Corriere (link nelle Story / 📸 Ansa)

Fonte iniziale e foto: TGCOM24

Aggiornamento ore 11.25: Corriere della Sera