Abbiamo voluto sentire sul tema del fine vita il parere del Dottor Gregorio Scribano, esperto di comunicazione, opinionista politico e sensibile alle varie problematiche sociali del nostro tempo. Pioniere del giornalismo partecipativo in Italia, da anni si occupa di analizzare e commentare temi di rilevanza pubblica, promuovendo un dibattito consapevole e aperto sulle questioni etiche e politiche del nostro tempo. Il tema del fine vita, affrontato in questa intervista, rappresenta una delle questioni più dibattute nel panorama sociale e legislativo italiano, sollevando interrogativi profondi sui diritti individuali e sul ruolo dello Stato nelle scelte personali dei cittadini.
Dottor Scribano, la Regione Toscana ha recentemente approvato una proposta di legge che regolamenta il suicidio assistito. Qual è la sua opinione in merito?
La decisione della Regione Toscana rappresenta un passo significativo nel panorama legislativo italiano. Il suicidio assistito è un tema delicato che coinvolge etica, religione, medicina e diritto, ma soprattutto la libertà individuale della persona. Ritengo che sia necessario un quadro normativo nazionale che garantisca uniformità su tutto il territorio, evitando una regolamentazione a macchia di leopardo, in cui ogni regione stabilisce proprie regole. Il tema del fine vita è una questione troppo importante per essere gestita in modo frammentato, un dibattito complesso ma necessario.
Crede che l’Italia sia pronta per una legge nazionale sul fine vita?
Credo che la società italiana abbia maturato una consapevolezza maggiore rispetto al passato, e le sentenze della Corte Costituzionale hanno evidenziato la necessità di una normativa chiara. Il problema principale è il dibattito politico e culturale che ancora fatica a trovare un punto di equilibrio tra chi difende il diritto all’autodeterminazione e chi si oppone per motivi etici o religiosi. Tuttavia, una legge nazionale permetterebbe di regolamentare con criteri univoci una questione così cruciale, garantendo sia la libertà di scelta sia tutele adeguate per i pazienti vulnerabili.
Quali sarebbero i principi fondamentali che una legge nazionale dovrebbe garantire?
Una legge nazionale dovrebbe garantire il diritto alla scelta consapevole e autonoma, con criteri chiari per l’accesso al suicidio assistito. Dovrebbe prevedere un percorso ben definito di valutazione, con il coinvolgimento di medici, psicologi ed esperti di bioetica, per accertare la capacità di intendere e volere del paziente. Inoltre, occorrerebbe garantire la piena informazione su tutte le alternative, comprese le cure palliative e la sedazione palliativa profonda, per evitare che la scelta del paziente sia dettata dalla mancanza di alternative piuttosto che da una reale volontà.
C’è chi sostiene che una legge sul fine vita possa aprire la strada a decisioni arbitrarie o a pressioni sui soggetti più fragili. Cosa ne pensa?
Questa è una preoccupazione legittima e comprensibile. Proprio per questo è fondamentale che una legge nazionale stabilisca criteri rigorosi e procedure chiare. Non si tratta di lasciare libertà assoluta senza garanzie, ma di creare un sistema che protegga sia il diritto all’autodeterminazione sia le persone vulnerabili da pressioni esterne o da scelte affrettate. Un quadro normativo ben strutturato eviterebbe derive pericolose e garantirebbe che ogni decisione venga presa in modo lucido e consapevole.
Lei crede che il dibattito pubblico in Italia sia sufficientemente maturo su questo tema?
Credo che il dibattito sia ancora polarizzato. Tuttavia, rispetto a dieci o vent’anni fa, la sensibilità dell’opinione pubblica è cambiata e sempre più persone ritengono che le scelte di fine vita siano una questione personale e non imposta. Serve però maggiore informazione, per evitare che il dibattito venga ridotto a slogan ideologici e per far sì che la popolazione sia consapevole di tutte le implicazioni, mediche, etiche e giuridiche.
Dottor Scribano, perché il tema del fine vita suscita un dibattito così acceso nella società italiana?
Il fine vita tocca corde profondamente personali ed esistenziali, che intrecciano aspetti giuridici, etici, religiosi e medici. In Italia, il dibattito è reso ancora più complesso dalla forte influenza culturale della Chiesa cattolica e da un impianto legislativo che, pur garantendo il diritto a rifiutare le cure, non prevede esplicitamente la possibilità dell’eutanasia. La difficoltà principale sta nel bilanciamento tra il diritto individuale all’autodeterminazione e il principio della tutela della vita sancito dalla Costituzione.
Dal punto di vista giuridico, lo Stato dovrebbe avere l’autorità di decidere in materia di vita e di morte del singolo?
È una questione di estrema delicatezza. Da un lato, lo Stato ha il dovere di tutelare la vita e garantire il rispetto della dignità umana. Dall’altro, in uno Stato laico e democratico, il diritto all’autodeterminazione dovrebbe essere garantito anche nelle scelte riguardanti il proprio fine vita. La difficoltà legislativa nasce dal trovare un punto di equilibrio tra questi due principi fondamentali.
Uno degli aspetti più discussi è l’effetto che la legalizzazione dell’eutanasia potrebbe avere sulla società. Qual è la sua opinione in merito?
L’eventuale legalizzazione dell’eutanasia potrebbe portare ad un cambiamento culturale, influenzando la percezione della vita e della morte. C’è il rischio che si sviluppi una sorta di “normalizzazione” della morte assistita, con un possibile aumento dei casi non solo tra pazienti con malattie terminali, ma anche in situazioni di sofferenza psicologica. D’altra parte, in alcuni Paesi dove l’eutanasia è già regolamentata, si è visto come una normativa chiara e ben definita possa prevenire abusi e garantire una scelta consapevole e libera.
Qual è il suo parere sulle dichiarazioni anticipate di trattamento?
Le dichiarazioni anticipate di trattamento rappresentano uno strumento fondamentale per garantire il rispetto della volontà del paziente, soprattutto in situazioni in cui non sia più in grado di esprimersi. Tuttavia, la loro applicazione solleva interrogativi giuridici ed etici, soprattutto riguardo alla possibile conflittualità tra il diritto costituzionale al rifiuto delle terapie e il diritto alla vita. È necessario un quadro normativo chiaro che ne disciplini l’applicazione senza ambiguità.
Quale dovrebbe essere il ruolo del medico in questo contesto?
Il medico ha il dovere di curare e alleviare la sofferenza del paziente, rispettando la deontologia professionale e il rapporto fiduciario con il malato. Il dibattito sull’eutanasia coinvolge direttamente il ruolo del medico, ponendo domande sul limite tra cura e accompagnamento alla morte. È fondamentale che, qualunque sia l’evoluzione legislativa, la scelta del medico di aderire o meno a pratiche eutanasiche sia rispettata, nel rispetto della libertà di coscienza.
In conclusione, come dovrebbe evolversi il dibattito in Italia su questo tema?
Il dibattito deve rimanere aperto e rispettoso delle diverse sensibilità. È essenziale coinvolgere tutte le parti interessate: giuristi, medici, filosofi, esponenti religiosi e cittadini, per arrivare a una normativa che tenga conto sia della tutela della vita, sia del diritto individuale alla dignità e all’autodeterminazione. L’importante è evitare polarizzazioni e affrontare il tema con consapevolezza e responsabilità, affinché le decisioni prese riflettano davvero i valori di una società libera e democratica.
Però la questione non riguarda solo la legge, ma anche il modo in cui una società concepisce la dignità della vita e della morte. Da un lato, c’è la necessità di tutelare la vita e di garantire che nessuna decisione sia presa sotto coercizione o in situazioni di vulnerabilità estrema; dall’altro, vi è il diritto dell’individuo a non essere costretto a una sofferenza insopportabile e senza prospettive.
Il rispetto per le diverse sensibilità e il coinvolgimento di esperti di vari ambiti – giuridico, medico, filosofico, religioso e sociale – è essenziale per arrivare ad una normativa che sia giusta, chiara e applicabile nella realtà. Alla base di tutto, però, deve esserci la volontà dell’individuo, la possibilità di scegliere consapevolmente e con dignità, senza pressioni esterne, ma con il pieno supporto della società e dello Stato.