Dopo la destituzione del dittatore Omar Hasan al-BAshir, avvenuta l'11 aprile scorso ad opera delle Forze Armate sudanesi, in tanti hanno sperato nel cambiamento, in un passaggio di consegne che mettesse fine a trent'anni di guerre e crimini contro l'umanità.

Chi conosce bene la realtà sudanese, tuttavia, non poteva fare a meno di notare che proprio i militari hanno da sempre sostenuto l'ex presidente e spesso ne sono stati la mano armata al fianco delle temute milizie paramilitari più direttamente legate allo stesso al-Bashir. 

Così non si sono illuse le masse di professionisti e studenti che hanno mantenuto i sit-in davanti al Quartier Generale di Khartoum, nel tentativo di monitorare la transizione verso una guida civile del Paese. 

Ancora oggi non si sono fermate, infatti, le proteste pacifiche delle associazioni sudanesi, che hanno sospeso i colloqui con i vertici delle Forze Armate, accusate di temporeggiare nel tentativo di disperdere le forze civili e ridurre l'attenzione dei media internazionali. I vertici militari promettono però una transizione verso un governo democratico, in attesa, forse, del vertice dell'Unione Africana che si terrà domani 24 aprile al Cairo.

Egitto, Sudafrica e Rwanda, infatti, seguono con preoccupazione gli eventi nel Paese, strategico per le risorse petrolifere e per la gestione del flusso migratorio (nel 2016 anche il governo italiano strinse accordi di rimpatrio con il presidente sudanese, sebbene vi pendesse un mandato di arresto internazionale per crimini contro l'umanità).

Nelle strade, intanto, lontano dai potenti, si moltiplicano le iniziative di protesta, come i numerosi graffiti che appaiono lungo le mura della capitale, dalle riproduzioni di Banksy  ai più originali disegni locali, come quello dell'artista Ammar Jammaa con il suo ragazzo "Sabeenaha" ("che non si muove, che rimane sul posto"), qui riprodotto.

(di Mauro Annarumma per Italians for Darfur Onlus)