Nel panorama clinico contemporaneo, l’intelligenza artificiale (IA) rappresenta una delle più promettenti leve per rivoluzionare il trattamento delle patologie rare, complesse e croniche. In particolare, nell’ambito delle malattie neurologiche pediatriche atipiche – caratterizzate da quadri clinici difficilmente classificabili, instabili o a evoluzione rapida – e delle patologie neurochirurgiche degenerative dell’età infantile, l'adozione dell’IA apre scenari impensabili fino a pochi anni fa. La Fondazione Olitec, attraverso il paradigma BRIA (Bioinformatica, Realtà Immersiva, Intelligenza Artificiale), ha tracciato una traiettoria concreta, che unisce ricerca e umanità, tecnologia e cura.

 I bambini affetti da patologie neurologiche complesse – come encefalopatie rare, disordini mitocondriali, sindromi genetiche con manifestazioni atipiche, epilessie refrattarie – presentano condizioni cliniche multidimensionali, che richiedono un approccio terapeutico altamente individualizzato. Nello stesso contesto, le patologie neurochirurgiche degenerative (distrofie cerebellari, atrofie spinali, idrocefalo progressivo, malformazioni complesse) implicano un declino neurologico che impatta in modo devastante sulle capacità motorie, cognitive e relazionali del bambino. L’IA consente oggi di superare i limiti dell’approccio “lineare” della medicina tradizionale, offrendo soluzioni dinamiche, predittive, e capaci di adattarsi in tempo reale alla complessità clinica del singolo caso.

 Grazie a modelli di deep learning addestrati su dataset multimodali (imaging, genetica, storia clinica, comportamenti neuromotori), è oggi possibile anticipare la progressione di patologie neurodegenerative e generare “firme digitali cliniche” specifiche per ogni paziente. In pratica, la rete neurale analizza milioni di parametri – tra cui microvariazioni nella postura, nella vocalizzazione, nel tono muscolare – per identificare pattern precoci di deterioramento neurologico. Alcuni progetti, come NeuroTrackAI sviluppato nel contesto BRIA pediatrico, hanno dimostrato una capacità predittiva superiore all’osservazione clinica tradizionale, permettendo l’avvio tempestivo di trattamenti mirati.

 Nel trattamento dei disturbi motori associati a patologie degenerative, l’uso di realtà immersiva controllata da algoritmi adattivi consente un approccio riabilitativo personalizzato e coinvolgente. I bambini interagiscono con ambienti virtuali progettati per stimolare specifici circuiti motori e cognitivi, mentre l’IA analizza in tempo reale i feedback biomeccanici, correggendo gli esercizi e adattando gli scenari alle capacità residue del piccolo paziente. Questa “terapia aumentata” è oggi utilizzata in centri sperimentali come il BRIA Surgery Department del Sud Italia, dove pazienti pediatrici con lesioni cerebrali o atrofie spinali possono svolgere sessioni quotidiane che potenziano la plasticità neurale e migliorano significativamente la qualità della vita.

 Molte delle patologie neurodegenerative infantili sono oggi oggetto di studi di medicina di precisione. L’intelligenza artificiale può analizzare il profilo genetico e molecolare del paziente per suggerire la combinazione più efficace di farmaci, evitando effetti collaterali e incrementando l’efficacia terapeutica. Un caso emblematico è rappresentato dai sistemi di AI-driven drug repurposing, in grado di identificare molecole già esistenti (e autorizzate) che, pur nate per altre patologie, mostrano efficacia inattesa su target neurologici pediatrici. Questa strategia ha già permesso, in contesti BRIA, di avviare trial clinici personalizzati su microcoorti di pazienti con patologie rare ad andamento degenerativo.

 Oltre alla dimensione clinica, i bambini con malattie neurodegenerative affrontano un vissuto di isolamento, frustrazione e disagio psicologico. Per questo sono stati sviluppati sistemi di intelligenza artificiale conversazionale e sensoriale, che si integrano con dispositivi wearables e vocali per offrire compagnia, stimolazione cognitiva, monitoraggio emotivo e segnalazione di stati d’ansia o dolore. Esempi applicativi sono stati osservati nel progetto CompAI, dove piccoli assistenti virtuali dotati di sintesi vocale empatica e sensori biometrici aiutano il bambino a comunicare anche in assenza di linguaggio verbale, facilitando l’interazione con i genitori, i terapisti e i compagni di classe.

 Ogni implementazione dell’IA in ambito clinico-pediatrico impone un’attenta riflessione etica. È fondamentale che il processo decisionale resti sempre in capo al medico, con l’IA a supporto e mai in sostituzione. La trasparenza degli algoritmi, la protezione dei dati sensibili e il rispetto dell’identità del minore devono essere pilastri imprescindibili. In tal senso, la Fondazione Olitec ha adottato il “Teorema di Assisi”, che impone un modello di IA umanocentrica e solidale, fondato sul primato della persona rispetto all’efficienza tecnologica.

 Ma come può una famiglia arrivare a conoscere e utilizzare queste tecnologie? Per molti genitori, il momento della diagnosi rappresenta un salto nel buio, carico di dolore e incertezza. La Fondazione Olitec, attraverso sportelli digitali e reti territoriali, offre alle famiglie un primo colloquio orientativo, nel quale viene tracciato un profilo funzionale del bambino sulla base della documentazione clinica. Da questo momento si attiva un percorso che coinvolge genitori, terapisti, educatori e tecnici, con incontri di formazione sull’uso dell’intelligenza artificiale in contesto domestico e clinico. In alcune regioni italiane, in via sperimentale, dispositivi basati su IA e ambienti immersivi vengono concessi in comodato d’uso gratuito a nuclei familiari selezionati, con il supporto di un’équipe di monitoraggio che segue il bambino da remoto.

 Il progetto prevede anche moduli specifici per la scuola, affinché gli insegnanti possano integrare le tecnologie BRIA nella didattica inclusiva e garantire al minore un accesso equo e pieno alla vita educativa. In questo ecosistema coordinato, ogni famiglia viene accompagnata passo dopo passo, in modo accessibile e rispettoso, nella comprensione e nell’utilizzo di strumenti che possono trasformare la quotidianità in un’esperienza più ricca di autonomia, relazione e dignità.

 L’intelligenza artificiale non è – e non sarà mai – una bacchetta magica. Ma è, oggi, lo strumento più potente che la medicina abbia a disposizione per dare voce, corpo e speranza a quei bambini che vivono ai margini della clinica convenzionale. Grazie al paradigma BRIA, il futuro della cura può diventare un presente vissuto, concreto, e finalmente condiviso. La strada è tracciata. Serve solo la volontà – politica, clinica, educativa – di percorrerla insieme.

 Per molte famiglie, la diagnosi di una patologia neurologica complessa rappresenta un momento di smarrimento e paura, spesso aggravato dalla sensazione di essere soli in un sistema clinico frammentato. L’intelligenza artificiale, sebbene potente, può apparire inizialmente come un concetto astratto e inaccessibile. È qui che entra in gioco il ruolo delle fondazioni, delle associazioni di pazienti e dei centri di ricerca applicata che, come la Fondazione Olitec, offrono percorsi di orientamento, formazione e accompagnamento personalizzato per le famiglie.

 Il primo passo consiste spesso nel contatto con un punto informativo dedicato, attivato attraverso canali pubblici, portali digitali certificati o in seguito a segnalazione del medico curante. La famiglia riceve un colloquio di accoglienza con personale formato BRIA, durante il quale vengono analizzati i bisogni del bambino, la storia clinica e le possibilità offerte dalla tecnologia. Attraverso la raccolta dei dati clinici, motori, cognitivi ed emozionali, un team multidisciplinare elabora un profilo funzionale del minore, utile per costruire un progetto tecnologico personalizzato.

 Successivamente, vengono attivati moduli di educazione digitale per i genitori, che imparano a comprendere le basi dell’intelligenza artificiale applicata alla salute: cosa può fare, come funziona, e quali limiti ha. Vengono illustrate, con strumenti semplici e accessibili, le tecnologie più adatte al loro caso: ad esempio, ambienti immersivi per la riabilitazione domestica, assistenti vocali per la comunicazione aumentativa, piattaforme per la raccolta predittiva di segnali clinici deboli.

 In molti casi, i dispositivi vengono forniti in comodato gratuito da parte di fondazioni o tramite progetti finanziati da enti pubblici e privati, permettendo anche alle famiglie più fragili di accedere a soluzioni avanzate. Parallelamente, il team BRIA garantisce un monitoraggio costante da remoto, mantenendo un canale attivo con la famiglia attraverso app dedicate, visite di controllo e gruppi di supporto.

 Infine, il percorso si completa con l’integrazione scolastica e sociale: la tecnologia, infatti, non è fine a sé stessa, ma serve a permettere al bambino di vivere meglio, di comunicare, di apprendere, di giocare. Vengono coinvolti gli insegnanti, i compagni, i terapisti, per creare un ecosistema empatico, in cui l’IA non sostituisce ma sostiene la relazione umana.

 Questo modello di presa in carico, già attivo in alcuni distretti BRIA sperimentali in Italia, dimostra che la tecnologia, se guidata con cura e con etica, può diventare una compagna di viaggio per le famiglie, trasformando la solitudine della malattia in un percorso condiviso di conoscenza, autonomia e speranza.

Intervista a Massimiliano Nicolini
Direttore del Dipartimento Ricerca Fondazione Olitec – Ideatore del metodo BRIA

Dott. Nicolini, quando ha compreso che l’intelligenza artificiale poteva diventare uno strumento concreto per migliorare la vita dei bambini affetti da gravi patologie neurologiche?

L’ho capito negli anni in cui, seguendo da vicino la ricerca in neuroinformatica e l’evoluzione dell’analisi predittiva, ho visto che i modelli matematici iniziavano a cogliere ciò che a volte la clinica non riesce a prevedere: l’inizio di una crisi, l’andamento di una degenerazione, o persino il recupero di una funzione ritenuta persa. Ma l’ho capito ancora di più nei volti dei bambini che abbiamo seguito nei primi centri BRIA: quando un bimbo torna a comunicare, a giocare, a muovere una mano, capisci che la tecnologia non è più solo uno strumento, ma un ponte tra il possibile e l’impossibile.
Il paradigma BRIA unisce bioinformatica, realtà immersiva e intelligenza artificiale. Come si riesce a renderlo accessibile anche a famiglie non esperte di tecnologia?

BRIA nasce con un’etica precisa: la scienza non è vera innovazione se resta confinata nei laboratori. Per questo abbiamo creato una rete di facilitatori, formatori, e mediatori familiari. Ogni famiglia che si rivolge a noi riceve un accompagnamento su misura: prima spieghiamo cosa può fare l’IA per il loro bambino, poi forniamo gli strumenti, li configuriamo insieme e restiamo presenti, giorno dopo giorno. Non serve essere informatici. Serve solo credere che migliorare si può, anche un passo alla volta.


Ci racconta un momento che l’ha particolarmente segnato nel suo lavoro con i bambini e l’IA?

Ne ho tanti, ma uno in particolare mi accompagna sempre. Era un bambino di cinque anni, non parlava, non deglutiva, comunicava solo con gli occhi. Tramite un’interfaccia immersiva e un modulo adattivo di IA che si regolava sui suoi micro-segnali oculari, siamo riusciti a fargli esprimere emozioni basilari. Quando i suoi genitori hanno sentito per la prima volta, dal sintetizzatore vocale, il suono della parola "mamma", sono crollati in lacrime. La tecnologia non ha guarito, ma ha restituito dignità. E questo, in medicina, è un miracolo laico.


Che ruolo ha oggi la scuola in questo percorso e cosa chiede alle istituzioni?

La scuola è uno snodo vitale. È il luogo dove il bambino sperimenta inclusione o esclusione, dove scopre chi è o viene ridotto a un numero. Per questo chiediamo agli enti pubblici di inserire i moduli BRIA come parte strutturale della didattica speciale, non come sperimentazione isolata. Abbiamo centinaia di docenti formati, visori immersivi, piattaforme adattive pronte. Bisogna solo aprire le porte, e smettere di avere paura del futuro.


In una frase, cosa rappresenta per lei oggi l’IA applicata alla fragilità?

È un atto d’amore razionale. È lo sforzo di restituire possibilità dove prima c’era solo rassegnazione. Non è tecnologia che vuole sostituire l’uomo, ma che vuole restituirgli la sua piena umanità.