Nella prima parte abbiamo individuato tre delle maggiori condotte negative che caratterizzano le persone, vedendo che originano tutte dalla stessa sorgente: l’ambiente sociale. Non sono qualità innate dell’essere umano.

La società va dunque riformata profondamente. E’ necessario, se non vogliamo accrescere esponenzialmente gli elementi improduttivi e nocivi alla società stessa; è facile, perché vedremo che le soluzioni ci sono e la loro attuabilità risulterebbe anche molto naturale; è complicato, perché occorre vincere le resistenze di una piccola (ma potentissima) parte del sistema che riesce comunque a prosperare, mentre il resto naviga nel mare in tempesta e senza tregua, nel riparare le continue falle che si aprono nello scafo.

Del resto la resistenza non potrà durare in eterno, e prolungherà solo la sua agonia, insieme alla sofferenza delle maggioranze che la scontano in quelle condotte fisicamente e psicologicamente distruttive, ribadiamole: cattiveria, ignoranza, malvivenza, e tutto ciò che vi ruota attorno determinando uno stile di vita insano ed esplosivo.

Quindi la platea che sarebbe in salvo non lo è poi così tanto, o per tanto tempo ancora. E’ divenuto davvero necessario e impellente pensare alle riforme.

Quali sono queste riforme necessarie?

Sono anzitutto strutturali. Il nostro paese, e in generale l’occidente, si è solo preoccupato di vivacchiare con riforme apparenti e certamente non strutturali; una sorta di regolazione fine (fine tuning, direbbero gli inglesi) di parti del sistema così com’è stato progettato a partire dal XIX secolo, dagli anni della rivoluzione industriale. Economia, sanità, scuola, giustizia, previdenza, assistenza sociale, tasse, funzionamento delle istituzioni, hanno visto momenti di esplosiva consistenza in un lasso di tempo molto breve, per poi “implodere” tra depotenziamento, decentramento, federalismo, contenimento della spesa, liberalizzazione, privatizzazione, parametri europei, equilibrio di bilancio, in un circolo vizioso e infinito che ne ha ridimensionato ogni entusiastico progetto sociale, sfociando periodicamente nella cosiddetta austerity.

La politica è schiacciata dai requisiti stringenti del capitalismo liberal-edonista (CLE), e non può fare miracoli. Parliamoci chiaro.

Questa forma capitalistica, che per brevità ho siglato in CLE, è stata ripresa da infiniti intellettuali ed economisti contemporanei e del recente passato. Ritengo che l’autore più influente e scorrevole per le masse sia stato comunque Zygmunt Bauman, il quale ne ha parlato in tutte le forme: dal suo “capitalismo parassitario” all’ancora più pregnante teoria della “società liquida”.

L’impronta “edonistica” più tristemente autorevole risale senz’altro all’epoca del presidente americano Ronald Reagan. Fu proprio negli anni ‘80 che venne coniato il termine “edonismo reaganiano”, che rispolverò l’antichissima filosofia edonistica cirenaica, avviando la globalizzazione di questa modernità liquida. A un certo punto fù Umberto Eco a trovare le parole giuste per sintetizzare questa nuova deriva del capitalismo senza freni:

«[...] emerge un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada ma antagonista di ciascuno, da cui guardarsi. Questo "soggettivismo" ha minato le basi della modernità, l'ha resa fragile: una situazione in cui, mancando ogni punto di riferimento, tutto si dissolve in una sorta di liquidità. Si perde la certezza del diritto (la magistratura è sentita come nemica), e le uniche soluzioni per l'individuo senza punti di riferimento sono da un lato l'apparire a tutti i costi, l'apparire come valore [...] e il consumismo. Però si tratta di un consumismo che non mira al possesso di oggetti di desiderio in cui appagarsi, ma che li rende subito obsoleti, e il singolo passa da un consumo all'altro in una sorta di bulimia senza scopo.» (U. Eco, in suo articolo del 2015 su l’Espresso)

Rahel Jaeggi, titolare della cattedra di filosofia pratica e sociale presso l’università di Berlino, nonché prolifica autrice di molti testi sul capitalismo, nel suo libro “Forme di vita e capitalismo” (ed. Rosenberg & Sellier, 2016) compie un’opera di ammirevole logica argomentativa nell’esplorare le tre criticità principali del capitalismo: quella funzionale, quella morale e quella etica (cap. 3, pagg. 91-118) ponendosi come “avvocato del diavolo”. La sostanziale relatività delle tre critiche separate e, soprattutto, slegate dalla componente normativa (e quindi politica) che dovrebbe governare il capitalismo, consentirebbero solo di rilevare il male relativo del capitalismo. Conclusioni più asettiche di quelle a cui addivennero Hegel e Marx, ai quali l’autrice fa spesso richiamo.

Osservando, poi, le critiche in maniera unitaria e interdipendente, nonché considerando la necessità di normare il capitalismo in un processo di riforma continua che si rivela costantemente disfunzionale (prima critica analizzata da Jaeggi: soggetto a crisi costanti e disintegrazione della società civile, ovvero rilevabile come moralmente scandaloso) e indubbiamente contrario alla morale e all’etica, le conclusioni diverrebbero più nette disegnando il seguente scenario finale:

  • Il capitalismo normato come forma di vita ideale è totalmente fallimentare, poiché disfunzionale e eticamente inaccettabile.

In tal senso abbiamo anche salutato il “relativismo culturale” che anche nella narrativa di Jaeggi si abbandonava a un certo punto della sua analisi.

Ad ogni modo, occorre essere sempre possibilisti e vedere se il capitalismo, in alcune sue forme asettiche ed anche epurate da ogni contaminazione edonista, possa comunque trovare spazio in un contesto normativo che deve essere necessariamente orientato alla pienezza psichica e spirituale della vita. Svuotandolo, dunque, dalle dipendenze esclusivamente materiali che rendono la vita stessa dura, superficiale, inutile, povera, e caratterizzata da quelle condotte umane e deleterie già discusse.

Discutere del futuro del capitalismo, o CLE, non è tuttavia interesse di questo mio filone tematico, essendo ininfluente chiedersi se tale sistema possa continuare a esistere in seno alle eventuali riforme necessarie. E’ il presente quello che interessa e che attualmente caratterizza questo sistema come quell’ostacolo che rende complicata ogni riforma. Per questo è stato necessario farne cenno identificandolo nel sistema che resiste e non si vuole piegare a nessuna alternativa, perché chi lo promuove e difende è cosciente di quelle plusvalenze che potrebbero essere messe in discussione (apporto lavorativo) e dei limiti al capitale stesso che potrebbero doversi accettare.

E hanno ragione a preoccuparsi, se vogliamo costruire una società più etica, equa e risolvere le disfunzionalità delle condotte antisociali che si moltiplicheranno sempre di più.

Chiudiamo così questa seconda parte, dandoci appuntamento alle prossime riflessioni per esaminare i tanti altri argomenti che ci intratterranno sul tema.

Continua nella terza parte...

📸 base foto:  DALL-E (IA), su imput “Riforme e società stile Banksy”, 24/04/2023