Articolo di Gabriele Catozzi

E’ sempre difficile capire quanto ci sia di volontario e quanto di automatico nei complessi processi dell’agire umano, tanto che anche gli analisti, i filosofi e gli antropologi più esperti, interpretano spesso in vari modi un unico atteggiamento.

Prendiamo “Sisifo” come esempio, poiché l’assunto di ogni essere umano è riscontrabile nelle azioni di questo mitologico personaggio, nelle vendette, negli scambi di favori, nei ricatti e nell’infedeltà di una storia che ha origine a Corinto, nell’antica Grecia e che vede protagonisti, oltre a Sisifo, anche personaggi del calibro di Zeus e di suo fratello Ade, solo per citare i più conosciuti.  Ma Sisifo è un umano, non può sfidare gli dei dell’Olimpo senza pagarne conseguenze e pertanto viene punito con una eterna fatica. Ma questa condanna, che sostanzialmente Zeus infligge simbolicamente a tutti gli esseri umani, non viene scontata sempre allo stesso modo sterile e passivo, a volte, il masso che faticosamente viene trasportato in cima al monte con moto perpetuo, diventa un raccoglitore di esperienze che in ogni risalita si arricchisce, pur senza ambire ad un alleggerimento del carico; è l’accettazione di un ruolo umano che tanto bene ci ha spiegato lo scrittore “franco – algerino” Albert Camus, nella sua interpretazione del mito, ovvero la responsabilità dell’agire e dell’azione nel percorso di vita. Ma il presupposto che trasforma il masso in raccoglitore è l’assunzione di consapovolezza, e ciò richiede uno sforzo che è ancora maggiore di quello attuato per trasportare il macigno stesso.

Particolarmente attuale è l’analisi degli atteggiamenti tramite il riferimento a Sisifo: Assistiamo a grandi masse di popolazione concentrate nell’inutile sforzo, che non desiderano altro che rimanere sorde e cieche per minimizzare la fatica. I bombardamenti russi in Ucraina sono stati portati all’attenzione del “Sisifo comune”, ma ci sono guerre in corso da anni ( Ucraina, Siria, Yemen, Palestina, Birmania, Somalia, Burkina Faso, Libia, Mali, Nigeria, Congo, Sudan, Mozambico, Camerun) che, non rivestendo lo stesso interesse mediatico, passano inosservate e non destano nessun sdegno. La metafora spiega perché, al passivo portatore non tange nulla che non lo distolga dal suo inutile compito, va tutto bene purché non lo si distragga dalla sua fatica, unico motivo giustificatore della propria esistenza.

L’altro Sisifo, quello dissidente, che al percorso di vita associa uno scopo, seppur superiore alle proprie possibilità di conoscenza e lo fa con consapevolezza, non può aggiungere negatività, ingiustizie, prevaricazioni varie al proprio peso, non lo farà mai. Osserva con melanconia le inutili rappresentazioni che il suo simile attua passivamente per distrarsi: Dalle iniezioni di sostanze sperimentali che il tiranno gli impone, fino alla privazione di ogni diritto. Il tiranno aumenta il peso del masso ed egli lo ringrazia per non averlo aumentato troppo. Così è da sempre e così sempre sarà. Ma per dovere di cronaca è doveroso precisare che il ruolo di Sisifo, non viene assegnato alla nascita di ogni essere umano per pena da scontare da “Zeus”; in realtà, l’imposizione è dettata da “divinità” che non hanno nulla a che vedere con gli olimpi dei del monte più alto della Grecia, si tratta di esseri molto più meschini, vili affaristi, massoni scuri ed abietti, collusi mafiosi senza onore, parlamentari disonesti che tradiscono ed ingannano chi ha affidato loro un compito pur di mantenere il vile soldo di un salario rubato.

Per finire il discorso va detto che esistono altre possibilità a disposizione di Sisifo: rimandare il “macigno” interamente allo “Zeus” di turno.