Un Tony Blair, in atteggiamento di sfida, ma con la voce spesso rotta dall'emozione, ha risposto in una conferenza stampa di due ore alle accuse che gli sono state mosse nel rapporto della commissione d'inchiesta guidata da John Chilcot.

L'ex-primo ministro si è detto profondamente e sinceramente dispiaciuto per il dolore provato dai familiari dei caduti ed ha affermato che quella di entrare in guerra è stata una delle decisioni più difficili che ha dovuto prendere durante i suoi dieci anni di governo. Tuttavia, ritiene che la sua sia stata la scelta giusta e che, proprio grazie a quella scelta, oggi il mondo sia migliore e più sicuro.

La sua fu una decisione presa in totale buona fede, basata su quelle che erano le informazioni dei servizi segreti dell'epoca in merito al possesso da parte di Saddam Hussein di armi di distruzione di massa, informazioni risultate solo successivamente prive di qualsiasi fondamento.

Il rapporto Chilcot, tuttavia, lamenta che si trattò di una decisione affrettata, in quanto non furono tentate tutte le possibili strade per giungere ad una soluzione pacifica, e alle informazioni dei servizi fu data una credibilità che già allora era evidente che non avevano.

Le ponderose conclusioni della commissione (ben 12 volumi) ci dicono anche che Tony Blair, molti mesi prima dell'invasione irachena, inviò un messaggio privato a George Bush, in cui erano già perfettamente chiare le sue intenzioni. Il messaggio diceva: "Sarò con te, in ogni caso".

Nel suo intervento, Blair ha riconosciuto di aver commesso alcuni errori. Innanzitutto, quello di non aver preso in considerazione possibili infiltrazioni in Iraq di elementi esterni, riferendosi alle migliaia di siriani entrati nel paese per unirsi ai ribelli, creando una situazione di totale ingovernabilità.

L'ex-leader laburista si è rammaricato anche del fatto che la risoluzione di entrare in guerra non sia stata mai messa formalmente all'ordine del giorno di una riunione del consiglio dei ministri, sebbene il tema sia stato oggetto di discussione per ben 26 volte.

Diversamente, secondo Blair, avrebbero dovuto essere gestiti anche i rapporti con gli Stati Uniti, soprattutto per quanto riguarda il periodo post-bellico, quando egli stesso prestò eccessiva fiducia alle assicurazioni che gli vennero fornite, a fronte di evidenti falle nella amministrazione dell'Iraq da parte statunitense.

Sebbene il rapporto Chilcot non abbia espresso un giudizio esplicito sulla legalità o meno dell'intervento in Iraq, il modo in cui questa fu valutata prima del conflitto è stato del tutto insoddisfacente. Come ha ammesso lo stesso Blair, sarebbe stato opportuno un parere formale scritto, indirizzato al governo, da parte di Lord Goldsmith, l'allora attorney general, una figura presente nell'ordinamento anglosassone, che svolge anche le funzioni di consulente legale dell'esecutivo.

Fra l'altro Peter Goldsmith, dopo aver inizialmente detto a Blair, che senza una seconda risoluzione dell'Onu, non ci sarebbero state le basi legali per una guerra, cambiò radicalmente opinione dopo il suo viaggio a Washington nel marzo 2003, in cui incontrò esponenti dell'amministrazione Bush.

L'attuale leader del partito laburista, del quale Blair fa ancora parte, Jeremy Corbin, che nel 2003 votò contro l'intervento, si è scusato per la disastrosa decisione di entrare in guerra presa dal suo partito, definendola il peggiore sbaglio in politica estera degli ultimi 60 anni.