10 anni fa, il 3 ottobre 2013, un peschereccio libico partito dal porto di Misurata, poco dopo le 6.30 del mattino, andò in avaria a circa mezzo miglio dalle coste di Lampedusa, vicino all'isola dei Conigli. L'imbarcazione era stracolma di persone e si rovesciò. I superstiti hanno raccontato di un fuoco acceso sulla barca (forse per attirare l'attenzione di altre imbarcazioni) e di molti migranti che si erano gettati in mare. Poi, anche per il panico e il sovraffollamento, la barca si avvitò su ste stessa e colò a picco. Si stimò che a bordo vi fossero 512 migranti, soprattutto eritrei e etiopi. I morti accertati furono 368, fra cui 83 donne e 9 bambini: 194 vennero trovati subito con le prime operazioni di ricerca, altri solo nei giorni successivi quando venne raggiunto il peschereccio finito sul fondo del mare. I superstiti furono 155.

L'Italia intera, allora, si indignò gridando "mai più". E venne pure istituita, nel 2016, la Giornata della Memoria e dell'Accoglienza per ricordare quel naufragio. Eppure, in questi 10 anni il Mediterraneo ha continuato a essere un cimitero, e politiche italiane ed europee hanno mostrato il loro fallimento nella gestione dei flussi migratori, stringendo accordi con paesi come la Libia e la Tunisia, nei quali le persone migranti subiscono torture e altre violazioni dei diritti umani., mentre la solidarietà viene adesso addirittura criminalizzata.

Le istituzioni di questa ricorrenza ufficiale non ne hanno neppure fatto cenno. Questo è quanto hanno detto le opposizioni:

Nicola Fratoianni per AVS:

"Mai più. È quello che tutti ripetevano come un mantra i giorni dopo quel 3 ottobre quando si contarono a centinaia i morti a largo di Lampedusa. Non sapevamo, 10 anni fa, che quel dolore si sarebbe ripetuto ancora e ancora, in quell'enorme cimitero che è diventato il Mediterraneo centrale. Da allora, secondo l'Onu, sono annegate 28mila persone, da Lampedusa a Cutro.La risposta allora ci fu, la missione umanitaria e militare Mare Nostrum, che per un anno pattugliò il Mediterraneo centrale. Da allora il Mediterraneo è un deserto di umanità, dove le persone che fuggono sono abbandonate a se stesse e alle onde. Senza soccorsi, senza pietà.Non è impossibile evitare le morti nel Mediterraneo, basta volerlo: subito una missione di ricerca e soccorso, canali di accesso legali e gratuiti, abolire una volta per sempre l'obbrobrio della legge Bossi-Fini.Mai più, dicevano dopo la strage di Lampedusa. Mai più, hanno detto dopo la strage di Cutro. Dopo un decennio di immobilismo e disumanità abbiano almeno la decenza di tacere".

Partito Democratico:

Dieci anni fa il naufragio di Lampedusa. Una tragedia senza precedenti: 368 vittime accertate, almeno 20 dispersi. Il #Mediterraneo che si trasforma in un cimitero per centinaia di persone, per lo più in fuga da Eritrea e Etiopia.L'Italia non si voltò dall'altra parte. Da quella strage nacque “Mare Nostrum”, una missione di soccorso in mare che ha avuto la funzione di evitare morti, di soccorrere le persone. Questo significa essere il più grande Stato del Mediterraneo, consapevoli del ruolo storico del nostro Paese.Oggi nessuno del Governo sarà a Lampedusa. È il cinismo che vince sulla pietà. Quelle 368 vittime, evidentemente, non fanno più notizia.Serve ricostituire una Mare Nostrum europea, servono canali di accesso regolari e controllati, bisogna ristabilire il principio che le vite in mare si salvano, sempre. Lo dobbiamo alle vittime di Lampedusa, di Cutro e di ogni naufragio. Perché la solidarietà non ceda mai il passo alla barbarie.Matteo Ricci, Sindaco di Pesaro, a Lampedusa per commemorare le vittime: "Dieci anni fa il naufragio di Lampedusa. Una delle più grandi tragedie del Mediterraneo, dove persero la vita 368 persone. Uomini, donne, bambini, scappati dal loro Paese in cerca di un futuro migliore. La stessa molla che spinse i nostri nonni ad emigrare all'estero tanti anni fa, perché oggi come allora la speranza e la disperazione sono più forti di qualsiasi propaganda". - Matteo Ricci, Sindaco di Pesaro, a Lampedusa per commemorare le vittime.

E le ong? Questo è ciò che ha scritto Mediterranea Savings Humans:

A 10 anni dalla Strage di Lampedusa, dove 368 persone persero la vita a pochi metri dalle coste italiane, molto è cambiato nel mondo, ma nel Mediterraneo centrale continuano a morire (oltre 2000 solo dall’inizio del 2023) a causa delle politiche securitarie e neocoloniali dell’Occidente e, in particolare, dell’Unione Europea e i suo Stati membri.L’indignazione, la rabbia e la necessità di non rimanere indifferenti di fronte a ciò che stava accadendo nel Mediterraneo ci hanno spinto, 5 anni dopo quella terribile strage, a mettere in mare la Mare Jonio, partita per la sua prima missione la notte tra il 3 e 4 ottobre dal porto di Augusta.Da quel molo siciliano, continuiamo ad agire spinti da quei sentimenti e quegli ideali che ci portano ad essere in Ucraina, in Marocco e presto nel Mediterraneo centrale, ma anche nelle piazze italiane ed europee (Milano, Napoli, Bologna, Venezia, Bruxelles) per contestare leggi razziste e disumane, ma anche a costruire percorsi di solidarietà e complicità con l’umanità in cammino.Da quel giorno, siamo cresciutǝ, siamo di più con tante persone che si sono unite al nostro percorso.Siamo sempre là dove bisogna stare.Per ricordare la Strage di Lampedusa, vi proponiamo il testo di padre Mussie Zerai, esponente della diaspora eritrea (luogo da cui provenivano gran parte delle vittime) e tra lǝ fondatorǝ di Alarm Phone.
Lampedusa, 10 anni dopo la strage del 3 ottobre 2013.
Dieci anni fa la tragedia di Lampedusa: 368 giovani vite stroncate a poche centinaia di metri dalla spiaggia, quando la libertà e un futuro migliore sembravano a un passo.Il decimo anniversario di questa tragedia arriva proprio quando il clima politico e la prassi erigonol'ennesima barriera di morte di fronte a migliaia di rifugiati e migranti, come quei ragazzi travolti in quella grigia alba del 3 ottobre 2013. Non sappiamo se membri di questo governo e di questa maggioranza, o, più in generale, se altri protagonisti della politica degli ultimi anni, intendano promuovere o addirittura partecipare a cerimonie ed eventi in ricordo di quanto accaduto. Ma se è vero, come è vero, che il modo migliore per onorare i morti è salvare i vivi e rispettare la loro libertà e dignità, allora non avrà senso partecipare a momenti di raccoglimento e riflessione, che la data del 3 ottobre richiama, con chi da anni costruisce muri e distrugge ponti, ignorando il grido di aiuto che si leva da tutto il Sud del mondo. Se anche loro vogliono "ricordare Lampedusa", che lo facciano da soli. Che lo facciano da soli. Perché in questi dieci anni hanno cancellato, distrutto o distorto quel grande slancio di solidarietà e di pietà umana suscitato dalla strage nelle coscienze di milioni di persone in tutto il mondo.Cosa rimane, infatti, dello "spirito" e degli impegni di allora? Nulla. Si è regrediti a un cinismo e a un'indifferenza ancora peggiori del clima politico precedente a quel terribile 3 ottobre. E, addirittura, nonostante le inchieste della magistratura, non si è ancora riusciti a capire come sia stato possibile che 368 persone abbiano trovato la morte a soli 800 metri da Lampedusa, a meno di due chilometri da un porto stipato di unità militari veloci e ben equipaggiate in grado di arrivare sul posto in pochi minuti.L'enormità della tragedia ha richiamato l'attenzione, a causa dell'enorme impatto di 368 vite perse, su due punti in particolare: la catastrofe umanitaria di milioni di profughi che cercano salvezza attraverso il Mediterraneo; il dramma dell'Eritrea, soggiogata dalla dittatura di Isaias Afewerki, perché tutti quei morti erano eritrei.Al primo "punto" si è risposto con Mare Nostrum, con il mandato alla Marina Militare italiana di pattugliare il Mediterraneo fino al limite delle acque territoriali libiche, per prestare soccorso alle imbarcazioni di migranti in difficoltà e per prevenire ed evitare altre stragi come quella di Lampedusa. Quell'operazione fu un vanto per la nostra Marina, con migliaia di vite salvate. Dieci anni dopo, non solo non ne è rimasto nulla, ma sembra quasi che gran parte dell'ambiente politico la consideri uno spreco o addirittura un aiuto ai trafficanti.Resta il fatto che esattamente dodici mesi dopo, nel novembre 2014, Mare Nostrum è stata "cancellata", moltiplicando - proprio come aveva previsto la Marina Militare - i naufragi e le vittime, tra cui quelle morte nell'immensa tragedia del 15 aprile 2015, con circa 800 vittime, il più alto numero di morti mai registrato in un naufragio nel Mediterraneo. E, al posto di quell'operazione salvifica, sono state via via introdotte norme e restrizioni che nemmeno l'aumento delle vittime è riuscita a fermare, fino al punto di esternalizzare i confini della Fortezza Europa sempre più a sud, verso l'Africa e il Medio Oriente, attraverso tutta una serie di trattati internazionali, per bloccare i profughi in mezzo al Sahara, "lontano dai riflettori", prima ancora che possano arrivare a imbarcarsi sulla sponda meridionale del Mediterraneo. È quello che hanno creato e stanno creando accordi come il Processo di Khartoum (fotocopia del precedente Processo di Rabat), gli Accordi di Malta, il trattato con la Turchia, il patto di respingimento con il Sudan, il ricatto all'Afghanistan (costretto a "riprendersi" 80.000 rifugiati), il memorandum firmato con la Libia nel febbraio 2017 e le ultime misure di questo governo. Per non parlare della criminalizzazione delle ONG, alle quali dobbiamo circa il 40% delle migliaia di vite salvate, ma che sono state costrette a sospendere le loro attività, arrivando persino a fare pressione su Panama per revocare la bandiera di navigazione dell’Aquarius. Oggi vediamo le navi SAR costrette a navigare per innumerevoli miglia per raggiungere i porti assegnati lontani dai luoghi dei soccorsi. Il porto più vicino e sicuro previsto dal diritto marittimo internazionale è ormai lettera morta. Le tragedie si sono susseguite negli ultimi dieci anni come niente fosse, il cinismo ha soppiantato l'umanitarismo.Per quanto riguarda i profughi eritrei, il secondo punto mostra come si sia passati dalla solidarietà alla derisione o addirittura al disprezzo, fino a chiamarli - nelle parole di autorevoli esponenti dell'attuale maggioranza di governo - "profughi in vacanza" o "migranti che fanno la bella vita", negando la realtà della dittatura di Asmara. È un processo che è iniziato subito, già all'indomani della tragedia, quando alla cerimonia funebre per le vittime, ad Agrigento, il governo ha invitato a Roma l'ambasciatore eritreo, l'uomo che rappresenta ed è la voce in Italia proprio di quel regime che ha costretto quei 368 giovani a fuggire dal Paese. Poteva sembrare una "gaffe". Invece, si è rivelata l'inizio di un percorso di progressivo avvicinamento e rivalutazione di Isaias Afewerki, il dittatore che ha ridotto in schiavitù il suo popolo, permettendogli di uscire dall'isolamento internazionale, associandolo al Processo di Khartoum e ad altri accordi, inviandogli centinaia di milioni di euro di finanziamenti, eleggendolo di fatto gendarme anti-immigrazione per conto dell'Italia e dell'Europa.Sia per quanto riguarda i migranti in generale che per quanto riguarda l'Eritrea, a dieci anni dalla tragedia di quel 3 ottobre 2013, rimane il sapore amaro del tradimento.- Tradita la memoria delle 368 giovani vittime e di tutti i loro familiari e amici.- Tradite le migliaia di giovani che con il loro stesso viaggio denunciano la feroce e terribile realtà del regime di Asmara, che rimane una dittatura anche dopo la firma della pace con l'Etiopia nella lunghissima guerra di confine iniziata nel 1998.- Tradito il grido di dolore che dall'Africa e dal Medio Oriente sale verso l'Italia e l'Europa da parte di un intero popolo di migranti costretti a lasciare la propria terra: una fuga per la vita che spesso nasce da situazioni create dalla politica e dagli interessi economici e geostrategici degli stessi Stati del Nord globale che oggi alzano barriere. Tradito, questo grido di dolore, proprio nel momento in cui si finge di non vedere una realtà evidenteOvunque si voglia ricordare la tragedia di Lampedusa in questi giorni, sull'isola stessa o altrove, non avrà senso farlo se non si vuole trasformare questo triste anniversario in un punto di partenza per cambiare radicalmente la politica condotta negli ultimi cinque anni nei confronti di migranti e rifugiati. Gli "ultimi della terra".