Esteri

Quando ti affacci sull’abisso. La banalità del male e l’irresponsabilità morale e giuridica delle scelte politiche

Balzac scrisse: “Dietro ogni grande fortuna c’è il crimine” mai come oggi tale frase riflette la crudele realtà infatti l’attuale ripartizione della ricchezza è un crimine in sé.

John Perkins è stato un “sicario dell’economia” lavorava per una società di alto livello che forniva consulenze che permettevano alle corporation americane che tutt’ora operano nei paesi stranieri del Sud America, Medio Oriente, Africa di ottenere i finanziamenti dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale (FMI)  per realizzare opere pubbliche per lo più inutili alla maggioranza della popolazione e costosissime che negli anni ’90 hanno provocato dei disastri incalcolabili e spinto nel baratro del fallimento numerosi paesi emergenti ricchi di materie prime essenziali per le economie occidentali.

Prima di tutto occorre inquadrare correttamente gli strumenti utilizzati dalle multinazionali per raggiungere le finalità che avevano messo in agenda dalla fine del secondo conflitto mondiale. Sia la Banca Mondiale che il FMI sono due organismi economici americani, in particolare la prima fu istituita nel 1944 con l’obiettivo di aiutare la ricostruzione dei paesi distrutti dalla guerra ma presto manifestò la sua vera missione quella di dimostrare la superiorità del sistema capitalistico rispetto a quello sovietico per questo l’apertura di Gorbaciov all’Occidente fu salutata come una sconfitta per l’Unione Sovietica.   

Perkins afferma: “Per rafforzare questo ruolo, i suoi dipendenti intrattenevano stretti rapporti con i principali sostenitori del capitalismo, le società multinazionali. Questo permise a me e a molti sicari dell’economia di organizzare una truffa di molte migliaia di miliardi di dollari. Convogliavamo i fondi della Banca e di altre organizzazioni affini verso progetti che apparentemente andavano a vantaggio dei poveri, ma di cui in realtà beneficiavano pochi ricchi.  individuavamo un paese in via di sviluppo che possedeva risorse ambite dalle nostre corporation (come il petrolio) facevamo in modo che ottenesse un prestito enorme e poi dirottavamo parte di quel denaro verso nostre società di progettazione e costruzione e nelle tasche di un numero esiguo di collaboratori del paese in questione. Venivano realizzati progetti infrastrutturali come centrali elettriche, aeroporti e poli industriali che però erano di scarsa utilità ai poveri, i quali non erano allacciati alla rete elettrica, non prendevano mai l’aereo e mancavano delle competenze per trovare lavoro nei poli industriali.A un certo punto noi sicari dell’economia (SDE) tornavamo nel paese indebitato a rivendicare ciò che ci era dovuto: petrolio a buon mercato, voti all’ONU per questioni delicate o truppe a sostegno del nostro esercito in qualche parte del mondo, come l’Iraq.Nei miei discorsi avverto spesso l’esigenza di ricordare a chi mi ascolta un punto che a me pare ovvio ma è spesso frainteso da molti, che cioè la Banca Mondiale non è affatto una banca mondiale bensì una banca statunitense. Lo stesso vale per il suo gemello, l’FMI.Dei 24 membri dei loro consigli di amministrazione, 8 rappresentano singoli paesi: Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Gran Bretagna, Arabia Saudita, Russia e Cina. Il resto dei 184 paese membri condividono gli altri 16 consiglieri. Gli Stati Uniti controllano il 17% dei voti all’FMI e il 16% alla Banca Mondiale; il Giappone è il secondo con il 6% circa all’FMI e l’8% alla Banca Mondiale, seguito da Germania, Gran Bretagna e Francia ciascuna con circa il 5%. Gli Stati Uniti hanno potere di veto sulle decisioni importanti ed è il presidente statunitense a nominare il presidente della Banca Mondiale”.

Disinteressarci della politica estera americana è un grave errore perché ne siamo condizionati pesantemente. Se ben guardiamo la struttura di potere delle corporatocrazia essa ricalca il modello dell’antico impero romano: finti alleati e sudditi, l’espoliazione delle ricchezze interne e il pagamento dei tributi. I meccanismi sono stati “modernizzati” ma la sostanza è quella. La base di potere della corporatocrazia sono le multinazionali che operano in tutto il mondo determinando i destini di molti paesi compreso il nostro.

Perkins per definire questa pesante influenza non positiva sull’intero globo dice: “Se osserviamo un planisfero vediamo i contorni di poco meno di duecento paesi. Molti di quei confini sono stati delineati dalle potenze coloniali e la maggior parte di quei paesi hanno un impatto minimo sui propri vicini. Da un punto di vista geopolitico questo modello è arcaico; la realtà del nostro mondo moderno sarebbe meglio rappresentata da enormi nubi che circondano il pianeta, ciascuna a simboleggiare una multinazionale. Queste potenti entità influiscono su ogni singolo paese.  I loro tentacoli raggiungono le foreste pluviali più impervie e i deserti più remoti.La corporatocrazia fa mostra di promuovere la democrazia e la trasparenza tra le nazioni del mondo, eppure le sue corporation sono dittature imperialistiche in cui un numero esiguo di persone prende tutte le decisioni e miete gran parte dei profitti.Nel nostro processo elettorale – il fulcro stesso della democrazia – la maggioranza di noi può votare soltanto i candidati che hanno ricevuto i necessari finanziamenti; perciò siamo costretti a scegliere tra quanti sono in obbligo con le corporation e con gli uomini che le possiedono. Contrariamente ai nostri ideali quest’impero si fonda sull’avidità, la segretezza e un eccesivo materialismo. L’aspetto positivo è che le corporation si sono dimostrate estremamente efficienti nel gestire le risorse, ispirare la creatività collettiva e diffondere reti di comunicazione e di distribuzione negli angoli più remoti del pianeta. Grazie a queste ultime disponiamo di tutto quello che ci serve per garantire che quelle 24.000 persone non muoiono di fame ogni giorno. Possediamo le conoscenze, la tecnologia e i sistemi necessari per rendere il nostro pianeta stabile, sostenibile, equo e pacifico”.

Perkins ci offre un punto di vista eccellente per ribaltare la situazione: trasformare questa macchina distruttiva in uno strumento di rinascita del pianeta e di tutela della vita di tutte le sue creature. Dipende tutto da noi!

Continua: “La chiave per far si che ciò accada, per creare un mondo che i nostri figli siano orgogliosi di ereditare, sta nella trasformazione della base di potere della corporatocrazia, nel modo in cui si definiscono, fissano i propri obiettivi, sviluppano metodi di gestione e stabiliscono criteri per la selezione dei loro massimi dirigenti.Le corporation dipendono totalmente da noi. Siamo noi esseri umani a fornirgli il cervello e i muscoli. Siamo noi i loro mercati. Siamo noi che acquistiamo i loro prodotti e finanziamo i loro progetti. Siamo riusciti magnificamente a trasformare le corporation ogni volta che ne abbiamo avuto la volontà, per esempio bonificando i fiumi inquinati, riducendo i danni allo strato di ozono e abolendo la discriminazione. Ora dobbiamo imparare dai nostri successi e progredire ulteriormente”.

Il sogno americano è stato tradito divenendo un incubo per milioni di esseri umani in tutto il mondo, occorre che la società statunitense cambi il sogno! Il potere economico concentrato nelle mani di pochi ha sempre costituito un grave pericolo per tutti i popoli, le varie ideologie che nascondono e giustificano tale anomalia sono solo delle maschere che vanno strappate via con la forza della verità, della coscienza civile, dell’autoconoscenza e piena assunzione di responsabilità personale da parte di ciascuno di noi.

È prezioso conoscere la verità offerta da chi l’ha vissuta direttamente e ha il coraggio di parlare con chiarezza e onestà di quanto sta accadendo a ciascuno di noi direttamente o indirettamente perché esiste un vincolo invisibile ma forte che ci lega tutti, nessuno escluso.

Lo stesso Perkins – che ha raccolto numerosissime testimonianze tra persone che hanno svolto il suo stesso “mestiere di sicario”, funzionari di corporation, della Banca Mondiale e del FMI, politici, professionisti, giornalisti, economisti e semplici vittime di tale indegno sistema – a tal riguardo si esprime così: “Per circa duecento anni gli Stati Uniti sono stati un esempio di democrazia e giustizia. La nostra Dichiarazione d’Indipendenza e la nostra Costituzione hanno ispirato i movimenti di liberazione di tutti i continenti Abbiamo guidato gli sforzi volti a creare istituzioni globali che rispecchiassero i nostri ideali. Nel XX secolo la nostra leadership nei movimenti che promuovevano la democrazia e la giustizia si è rafforzata: siamo stati determinanti nella creazione della Corte di Giustizia Internazionale Permanente dell’Aia e della Lega delle Nazioni, come pure nella stesura della Carta delle Nazioni Unite, della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e di molte convenzioni dell’ONU.Dopo la fine della seconda guerra mondiale, però, la nostra posizione di guida si è indebolita, perché il modello che presentavamo al mondo era minato da una corporatocrazia ben decisa a costruire un impero. Quand’ero un volontario dei Peace Corps ero consapevole che i cittadini dell’Equador e delle nazioni vicine, erano indignati per la nostra brutalità e sconcertati dalle palesi contraddizioni della nostra politica (estera). Sostenevamo di difendere la democrazia in posti come il Vietnam, ma allo stesso tempo destituivamo o assassinavamo presidenti eletti democraticamente. Gli studenti delle scuole superiori di tutta l’America Latina capivano che eravamo stati noi a rovesciare Allende in Cile, Mossadeq in Iran, Arbenz in Guatemala, Goulart in Brasile e Qasim in Iraq mentre i nostri studenti ne erano all’oscuro. Le politiche di Washington inviavano al mondo un messaggio sconcertante. Le nostre azioni contraddicevano i nostri ideali più sacri”.

Personalmente sono d’accordo con Perkins per quanto riguarda i contenuti dei vari trattati posti in essere per tutelare i diritti civili, i valori democratici, la tutala dei confini ecc. ma la società americana presenta delle contraddizioni profonde al suo interno, è una società non a misura d’uomo, nessuno parla del genocidio consumato a danno della popolazione indiana i cui superstiti sono relegati nelle riserve: li hanno decimati per appropriarsi dei loro territori. L’enorme e persistente problema raziale nei confronti degli afro-americani, le sacche di povertà; l’istruzione scolastica pubblica che non riesce a competere con quella privata; tutte le guerre combattute e perse costate denaro e vite dei giovani americani che hanno portato vantaggi solo alle multinazionali, ma al di là delle numerose contraddizioni rimane un lavoro positivo che può essere la base per un cambiamento radicale futuro migliorativo per tutti.

Continua: “Una delle strategie seguite dalla corporatocrazia per esercitare il suo dominio fu quella di conferire potere a governi autocratici dell’America Latina negli anni settanta. Questi governi sperimentavano politiche economiche che andavano a tutto vantaggio degli investitori e delle multinazionali statunitensi e alla fine provocavano il crollo dell’economia locale: recessione, inflazione, disoccupazione e un tasso di crescita economica negativa. Washington elogiava i leader corrotti che portavano le loro nazioni alla bancarotta accumulando al contempo ingenti patrimoni personali. A peggiorare le cose, gli Stati Uniti sostenevano i dittatori di destra e i loro squadroni della morte in Guatemala, El Salvador e Nicaragua.Negli anni ottanta, un’ondata di riforme democratiche interessò l’intero continente. I governi appena eletti si rivolsero agli “esperti” dell’FMI e della Banca Mondiale in cerca di soluzioni ai loro problemi. Persuasi ad adottare i SAP, introdussero misure impopolari che andavano dalla privatizzazione delle aziende di servizi pubblici ai tagli dei servizi sociali. Accettarono prestiti scandalosamente cospicui che venivano impiegati per sviluppare progetti infrastrutturali che fin troppo spesso servivano soltanto ai ceti superiori e lasciavano il paese sommerso dai debiti.I risultati furono disastrosi. Gli indicatori economici erano in caduta libera. Milioni di persone una volta salutate come membri del ceto medio persero il lavoro e andarono ad ingrossare le file degli indigenti. Mentre i cittadini vedevano ridursi le loro pensioni, l’assistenza sanitaria e la pubblica istruzione, si accorgevano anche che i loro politici, acquistavano immobili in Florida, anziché investire nelle imprese locali.I movimenti comunisti degli anni Cinquanta e Sessanta non avevano mai preso piede, ad eccezione di Cuba; tuttavia il continente fu attraversato adesso da una nuova ondata di risentimento verso la corporatocrazia e i suoi collaboratori latinoamericani corrotti.La prima amministrazione Bush prese una decisione che avrebbe avuto un impatto negativo duraturo sui rapporti tra gli Stati Uniti e l’America Latina. Il presidente ordinò alle forze armate di invadere Panama. Fu un attacco unilaterale non provocato volto a destituire un governo che si rifiutava di fare marcia indietro sul trattato per il Canale di Panama. L’invasione provocò la morte di oltre duemila civili innocenti e scatenò la paura in tutti i paesi del sud del Rio Grande; una paura che ben presto si trasformò in rabbia”.

Perkins abbandonò il suo incarico di sicario e cambiò rotta scrivendo un libro sulla sua esperienza nel campo degli investimenti-capestro del FMI e della Banca Mondiale a favore delle multinazionali americane, divenuto un attivista anti corporatocrazia, durante un suo viaggio che lo condusse ad incontrare dei gruppi indigeni per offrire il suo aiuto per salvare dalla  distruzione la giungla, un anziano shuar gli si avvicinò e gli disse che era la sua cultura e non la loro la causa dei loro problemi.

 Il vecchio saggio aggiunse: “Il mondo è come lo sogni. La tua gente ha sognato enormi fabbriche, edifici imponenti, tante auto quante sono le gocce di pioggia in questo fiume. Ora cominciate a capire che il vostro sogno è un incubo”.  

Gli chiese cosa poteva fare per aiutarli.“È semplice. Basta cambiare il sogno…   Non dovete far altro che piantare un seme diverso, insegnare ai vostri figli a sognare sogni nuovi”.    

(continua...)

Autore Lucia Pomponi
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