La storia dimostra che tutte le dittature, tutte le forme autoritarie di governo sono passeggere. Solo i sistemi democratici non sono transitori. Qualunque siano i loro limiti, l’umanità non ha concepito niente di superiore.

Detta così è incontestabile ed anche un po’ scontata. Andrebbe chiarita meglio.

Non che appunto la democrazia sia priva di difetti. E’ forse la forma di governo meno efficiente nelle mani di una società immatura, però è l’unica che ne consenta l’evoluzione. Al prezzo del sacrificio dei privilegiati; che sembra cosa di poco momento, ma se ci aggiungiamo diritti uguali per tutti e doveri inderogabili, con la mia libertà che finisce dove comincia la tua, allora fa la differenza tra un mondo che gira per il verso giusto ed un altro dove si pretende la priorità dei propri comodi sulla salute pubblica e la ragione nel cannoneggiare il vicino.

Qualcuno potrebbe contestare che a parlar di diritti e di ragioni ci si muova su un etereo terreno minato; le motivazioni di un complottista o di un aggressore le trovi più in basso ed è di queste che bisogna occuparsi per capire come vanno le cose. Del primo francamente me ne infischio. Del secondo la folta schiera di improbabili avvocati ne ha portato avanti la giustificazione: a provocazione si risponde e se la rissa è inevitabile, colpisci per primo. Provocazioni invocate più che temute. A ben vedere non troppo diverse da quelle suscitate da un rifiuto ad una proposta galante che si trasforma in femminicidio.

Sarebbe successo ugualmente anche con la NATO confinata all’ex DDR?

Nel 1999 Putin eredita uno stato fallito ma ricchissimo di materie prime in grado da sole di risolvere la situazione. Tanto pane ma senza denti. Novello figliol prodigo dell’occidente si ritrova proiettato nel gotha politico mondiale lui che da funzionario statale era stato sottoposto a giudizio per via di una storia di commerci con l’estero a prezzo di favore in cambio di derrate alimentari. Roba da morti di fame. Come da morto di fame è la giovinezza nelle comuni sovietiche dove non era libero nemmeno l’amore, mentre la maturità da burocrate dietro una scrivania a relazionare la vita degli altri difficilmente sarebbe stata degna d’ispirazione per una spy story.

Ma il detto insegna: nel paese degli ubriachi chi si tocca il naso è sindaco. E dalle macerie dell’URSS emerge letteralmente un paese disgraziato di alcolizzati nel quale una testa abbastanza sobria può far carriera. Non credo di esagerare: una quindicina di anni fa feci un lungo giro dalle parti di Albania e Macedonia. Nel viaggio di ritorno da 35 ore per coprire i 600km che separano in linea d’aria Skopje da Bari, facemmo tappa a Durazzo per imbarcarci su un traghetto di quinta classe che convogliava emigranti giunti dall’est. Sulla banchisa i pullman si schieravano in ordine di distanza geografica dall’Europa istituzionalizzata, oltre che in ordine di assuefazione all’alcol. Dagli albanesi musulmani, teoricamente astemi, passando per i rumeni fino ad arrivare agli ucraini, quest’ultimi con al seguito ex bottiglie di San Benedetto da 2 litri riempite di liquore che giravano allegramente tra loro, compresi gli autisti alla guida delle carovane, il che spiegava anche la quantità di morti sulle strade dei loro paesi.
L’alcol sta alle dipendenze come il covid sta alle epidemie. Raggiunge tutti e se in quel momento ti trova debole sei fottuto.

A cavallo degli anni 2000 l’aspettativa di vita in Russia per gli uomini si ferma a 59 anni. Quando si tratta di bere i russi sono invero poco ortodossi, non solo birra e vodka in quantità industriale, ma anche, in mancanza di meglio, acqua di colonia, disinfettanti e tinture. Quasi metà dei morti in età presenile è colpa diretta o indiretta dell’alcol. Mettiamoci anche quelli per ipotermia dopo essersi accasciati all’aperto per la sbronza. E quelli morti ammazzati nelle celle per ubriachi, le vytrezviteli. Basti pensare che in media un russo sopra i 15 anni si scolava 15 litri abbondanti di alcol puro all’anno.

Vladimir osserva e capisce che è cosa non buona e poco giusta. Così come per niente buono è il tasso di natalità degno di un consesso di eunuchi.
Sa che un paese per essere prospero ha bisogno di nuove leve possibilmente astemie oltre che vogliose di sfondare e di prestiti studenteschi sotto forma di investimenti dall’estero onde riempire il gap lasciato dalla obsolescente industria sovietica.

Nell’estate del 2003 vola a Londra, cena in frac con la regina Elisabetta II. Sorseggia vodka con 700 banchieri e pezzi grossi similari. E riceve promesse da 6 miliardi di dollari.“La nostra priorità è l’integrazione della Russia nell’economia europea e mondiale… un grande investimento per rafforzare la stabilità dell’Europa”.
Bravo Vlady. Per limitare il consumo di alcolici prende esempio dalla fiscalità italiana in tema di benzina introducendo accise in grado di scoraggiare la voglia di farsi il pieno. Per indurre a far figli mette su un pacchetto di misure che va sotto il nome di “Capitale per la Maternità e per la Famiglia” (MatCap). 5.000 euro per il primo figlio e 7.000 per il secondo al cambio pre-invasione. Che commisurati al reddito medio pro capite degli ultimi anni sarebbe come se in Italia ti bonificassero tra 15 e 20.000 euro o giù di lì.

L’incidenza delle malattie cardiovascolari crolla, la vita degli uomini si allunga di dieci anni e la rinnovata efficienza circolatoria si fa sentire anche in camera da letto. Ed i frutti di tale ardore nascono e crescono in una nazione dove si mangia da McDonald, si compra la cameretta da Ikea e si postano video su Youtube assieme ai compagni dell’Erasmus. Non che ciò rappresenti la misura della felicità, ma per quella della busta paga forse è un indizio. Il tutto senza intoppi fino al 2014 e l’occupazione in Crimea, quando natalità e PIL accusano il colpo. Per quelli che “le sanzioni non servono a nulla”. 

A metà anni 90 quando Vlady era ancora un semplice deputato rilasciando una intervista diceva:“A volte ci sembra che se ci fosse l’uomo forte con una mano ferma per portare l’ordine, vivremmo tutti meglio, più comodamente e al sicuro. Ma in realtà, questo conforto sarebbe di breve durata. Questa mano ferma comincerebbe presto a strangolarci tutti”.

Qualche anno dopo parlava alla BBC con David Frost poco prima del suo mandato d’esordio convincendo l’interlocutore che era difficile per lui considerare la Nato come un nemico. “La Russia fa parte della cultura europea. E non riesco a immaginare il mio paese isolato dall’Europa e da quello che spesso chiamiamo mondo civile”.
Dal suo insediamento del 31 dicembre 1999, il secolo scorso, sono passati più di 20 anni nei quali accumula potere e soldi. Tanti soldi. Prima che il rally delle borse americane (sostenuto dalla FED messa nelle condizioni di farlo, tra le altre cose, proprio dai prezzi contenuti dell’energia) moltiplicasse le ricchezze dei magnati delle FAANG, si narrava che Putin rivaleggiasse con questi.

Le buone intenzioni e l’idea che il benessere deve essere qualcosa di condiviso cominciano a svanire quando si avvicina la fine del primo mandato.
Allo stesso modo in cui un uomo che ha una compagna che non lo ama sa che sarà presto tradito, Vlady sapeva che prima o poi sarebbe stato lui l’uomo forte a tradire ed ingannare il suo stesso popolo. Ed in quanto tale a privilegiare le esigenze dello stato piuttosto che della sua gente.
Del resto si dice anche che l’occasione fa l’uomo ladro ed in un sistema con scarsi contrappesi la tentazione di continuare la propria opera passando sopra i limiti imposti è tanta; solo che la Storia costruttiva ha bisogno dei suoi tempi, segue lunghe e noiose vie e nonostante siano le uniche a portare i veri benefici, i risultati in termini di potenza della bandiera se li godono quelli che occuperanno le poltrone molto più avanti. Inaccettabile.

In tal caso una volta riempito il portafoglio per riempirsi anche di orgoglio e vanità è necessario saltare la coda. Quella dei milioni di russi ancora in fila per una condizione migliore. Che fosse in primis una questione di orgoglio lo dice George Robertson, uno dei predecessori di Stoltenberg:“Quando ci inviterai a entrare a far parte della Nato?” gli domandò Vlady in uno degli incontri. ”Beh, non invitiamo le persone a unirsi, sono loro che si candidano”.

Al che il segretario dell’alleanza si sentì rispondere: “Cioè dovremmo metterci in fila al pari dei paesi che non contano nulla?”
Tra le giustificazioni degli improbabili avvocati non ho trovato il mancato rispetto per l’aristocratico decaduto. Ma in un mondo in cui il rispetto lo danno gli scambi commerciali e finanziari pretendere di far valere i quarti di nobiltà non funziona neanche nelle leghe calcistiche.

E come detto, una volta che la cosa pubblica diventa “cosa tua”, quello che conta è farsi il nome e scalare il ranking e se per farlo devi barattare i camici bianchi con gli elmetti verdi poco male che poi malattie da disagio sociale come HIV e TBC imperversino quasi ti trovassi in uno staterello centrafricano e tu, Vlady, fossi il capo di un governo da golpe militare…

Non è un problema di NATO ai confini, è un problema di peso economico e del troppo tempo per metter su i chili necessari per passare di categoria ed essere invitato alle cene di gala post evento. Poco male che i posti siano solo per i soliti noti e tutti gli altri a casa debbano comunque accontentarsi del panino in riva al mare. A quel punto l’unico modo per combattere ad armi pari è prendere in mano una spranga e minacciare di spaccare teste per un posto a tavola.

Allora forse un senso comincia ad intravedersi.

Per secoli il controllo dell’Ucraina, della penisola di Crimea e l’accesso al Mar Nero sono stati considerati vitali per sicurezza ed interessi russi.
La geografia ampia e piatta della Russia ha fornito poco in termini di resistenza agli aspiranti invasori da entrambe le porte terrestri, da Asia ed Europa, da guerre antiche fino a quelle del secolo scorso, al costo del sacrificio di milioni e milioni di persone. In una logica di rapporti di forza invece che collaborativi, l’esibizione della potenza militare è fondamentale.

Se la geografia russa può aiutarci a spiegare il perché della recente aggressione, la demografia russa può aiutarci a capire i tempi. Nel 2021 la popolazione è diminuita di 1.000.000 di unità (un milione). Il motivo per cui la Russia ha bisogno di espandere i suoi confini ha a che fare con le risorse naturali dei territori occupati, le città portuali, i confini montuosi quale barriera naturale e l’integrazione di popolazioni che non sono in declino demografico (emblematica la signora ucraina forse neanche quarantenne con al seguito i dieci figli in fuga al confine con la Polonia).

In questo modo una guerra d’aggressione diventa una lotta per la sopravvivenza ed è quello che gran parte dei russi viene indotto a percepire: è la sconfitta che comporterebbe la perdita del progresso economico raggiunto, seppur non ancora decisivo per tutta la popolazione, e non l’essere entrati in guerra.

Credere che Putin sia folle e che in Russia pensino tutti lo stesso del loro leader, ignora questo punto di vista. Putin conosce invero i limiti della sua forza e non a caso il 2 giugno 2020 ha rinnovato l’estensione dell’uso del nucleare anche in caso di minaccia convenzionale che mettesse a rischio la sopravvivenza delle istituzioni russe (https://www.armscontrol.org/act/2020-07/news/russia-releases-nuclear-deterrence-policy). Un utilizzo più che altro dimostrativo e ridotto, ma al quale l’occidente deve essere pronto a rispondere solo col totale isolamento e non con l’escalation.

Quando ci chiediamo come finirà, sono le parole dello stesso Putin a dare una risposta:
“La storia dimostra che tutte le dittature, tutte le forme autoritarie di governo sono passeggere. Solo i sistemi democratici non sono transitori. Qualunque siano i loro limiti, l’umanità non ha concepito niente di superiore”.
E per chi da dittatore si macchia di crimini troppo efferati per essere nascosti agli occhi della gente ci sono solo due finali: o in galera
o ammazzato.