È stato l'incendio di un condominio, avvenuto giovedì sera, a scatenare 24 ore dopo la protesta di piazza a Urumqi, capitale dello Xinjiang (la regione degli uiguri nel nord ovest della Cina), dove migliaia di persone sono scese in piazza per chiedere la fine del lockdown imposto dalle autorità in molte aree del Paese, a seguito di una recrudescenza dei contagi da Covid.

Secondo alcune testimonianze, alle persone morte a causa dell'incendio (10 secondo i media ufficiali, mentre sui social il numero sale a 44) sarebbe stato impedito di uscire dai propri appartamenti a causa del lockdown. Per tale motivo sarebbero morte per soffocamento o ustioni. Sotto accusa anche i soccorsi che, anche in questo caso, sarebbero stati ostacolati dalle restrizioni anti-Covid.

Così, nella serata di venerdì moltissime persone hanno iniziato ad assembrarsi per le strade di Urumqi ed in alcuni casi confrontarsi anche con le forze dell'ordine.

Una notizia da sottolineare e riportare, perché in Cina le proteste di massa sono rarissime, e quanto accaduto conferma il crescente dissenso pubblico nei confronti della strategia anti-Covid voluta da Pechino.

Tra l'altro, proteste si sono registrate anche nella capitale, sebbene in misura più limitata, mentre partecipate e violente nei giorni scorsi quelle registrate a Zhengzhou to Guangzhou.

La scelta del governo cinese, unica se paragonata a quella di altre principali economie mondiali, è in parte dovuta ai livelli di vaccinazione relativamente bassi nel Paese e allo sforzo per proteggere gli anziani. Ma nonostante le rigide restrizioni, il numero di casi Covid in Cina negli ultimi sette giorni ha raggiunto livelli record, mai registrati in precedenza dall'inizio della pandemia.