Lunedì il Presidente della Repubblica era a Milano per l'anniversario dei 150 anni della morte di Alessandro Manzoni.

Al suo arrivo, il Capo dello Stato ha deposto una corona al monumento funebre dello scrittore, sepolto al Famedio del Cimitero Monumentale.

Nel pomeriggio Mattarella è intervenuto alla cerimonia a Casa Manzoni, presenti Giuseppe Sala, Attilio Fontana, Angelo Stella (presidente della Fondazione Centro nazionale Studi manzoniani) e Giovanni Bazoli (presidente onorario della Fondazione Centro nazionale Studi manzoniani). Nell'occasione l'attrice Eleonora Giovanardi, dai Promessi Sposi, ha letto l'episodio dell'incontro tra fra' Cristoforo e don Rodrigo, utilizzato dal presidente della Repubblica come base su cui ha costruito il suo discorso, di cui di seguito si riporta la parte conclusiva:

"... Nulla, per l'autore dei Promessi Sposi, è più nefasto delle teorie politiche astratte che immolano sull'altare della ragion di Stato i diritti di uomini o di intere popolazioni. Nulla, per lui, è più sacro della vita umana. La verità deve prevalere sulla menzogna, la tolleranza sull'odio, la pietà sulla violenza, la morale sul calcolo di convenienza.A differenza di molti suoi contemporanei, che vagheggiavano improbabili ritorni a ere classiche e pre-cristiane, scrive che non bisogna provare alcuna nostalgia per “la barbarie degli antichi”, un'epoca caratterizzata da guerre di conquista, stermini, distruzioni, sopraffazioni, riduzione in schiavitù.Non c'è alcun quietismo, alcuna rassegnazione: Manzoni sostiene i moti di indipendenza nazionale, incoraggia i venti di libertà che spirano in Italia e in tante altre parti del mondo – non a caso nella Pentecoste ricorda America Latina, Irlanda, Libano e Haiti – giungendo, davanti alle aggressioni e alle ingiustizie, a teorizzare la legittimità della resistenza.Ma - nella sua visione - è la persona, in quanto figlia di Dio, e non la stirpe, l'appartenenza a un gruppo etnico o a una comunità nazionale, a essere destinataria di diritti universali, di tutela e protezione. È l'uomo in quanto tale, non solo in quanto appartenente a una nazione, in quanto cittadino, a essere portatore di dignità e di diritti.Colpisce quanto ricordato da Margherita Provana di Collegno, assidua frequentatrice di Manzoni, a proposito del triste fenomeno della schiavitù: Manzoni le confidò, infatti, che “benché l'America abbia il Governo più libero ed il Re di Napoli il più tirannico, pure, se gli avessero fatto scegliere di rinascere, o americano, o napoletano, avrebbe preferito di nascere napoletano, perché nulla esiste di peggio della mostruosa schiavitù.”Nell'idea manzoniana di libertà, giustizia, eguaglianza, solidarietà si può scorgere una anticipazione della visione di fondo della Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo del 1948.Una carta fondamentale, nata dopo gli orrori della Seconda Guerra mondiale, che individua la persona umana in sé, senza alcuna differenza, come soggetto portatore di diritti, sbarrando così la strada a nefaste concezioni di supremazia basate sulla razza, sull'appartenenza, e, in definitiva, sulla sopraffazione, sulla persecuzione, sulla prevalenza del più forte. Concetti e assunti che – come ben sappiamo - sono espressamente posti alla base della nostra Costituzione repubblicana.      Dai diritti dell'uomo la concezione manzoniana si allarga a quella del diritto internazionale e dei rapporti tra gli Stati, dove si ritrova una critica lucida e serrata al nazionalismo esasperato. Perché la moralità, la fraternità e la giustizia devono prevalere sugli odi, sugli egoismi, sulle inutili e controproducenti rivalità.Scrive Manzoni in un frammento delle Osservazioni sulla Morale Cattolica, pubblicato postumo: “Bisogna sentire e ripetere che la somiglianza che ci dà l'essere d'uomo è ben più forte che la diversità di nazione; che il Vangelo ci ha fatto conoscere che abbiamo un cuore grande abbastanza per amar tutti gli uomini; che gli sforzi di una nazione contro l'altra (…) son sempre piccioli, perché fondati sulla passione e non sulla ragione e sulla verità; sono inutili, perché non ottengono stabilmente nemmeno il fine che si propongono quelli che li fanno; sono impolitici, perché producono (…) l'indebolimento e il pervertimento dei popoli”.Manzoni si spinge anche oltre, prefigurando la illiceità di accordi internazionali ratificati sulla testa dei popoli e degli Stati: in una lettera al genero Giovan Battista Giorgini, del marzo 1861, parla esplicitamente della “ingiustizia e la nullità morale di trattati stipulati da alcuni sugli affari d'altri, senza sentirli e con il solo titolo della forza, e dell'inaudita e iniquissima teoria che attribuiva a quegli alcuni … il diritto di costituire un diritto sopra gli altri.”Per concludere, vorrei segnalare un ultimo aspetto che mi sembra di particolare attualità.Sono state scritte pagine illuminanti sulla sua vicinanza, sull'empatia, sulla condivisione nei confronti delle masse popolari, che per la prima volta diventano protagoniste di un romanzo. Utilizzando una terminologia moderna, di oggi, possiamo parlare di un Manzoni certamente “popolare”, ma non “populista”.Il legame controverso che Manzoni stabilisce tra potere e opinione pubblica, tra giustizia e sentimenti diffusi, ci induce a riflettere - sia pure in tempi incommensurabilmente distanti - sui pericoli che oggi corrono le società democratiche di fronte alla diffusione del distorto e aggressivo uso dei social media, dell'accentramento dei mezzi di comunicazione nelle mani di pochi, della disinformazione organizzata e dei tentativi di sistematica manipolazione della realtà.E, anche, sulla tendenza, registrabile in tutto il mondo, di classi dirigenti di assecondare la propria base elettorale o di consenso e i suoi mutevoli umori, registrati di giorno in giorno tramite i sondaggi, piuttosto che dedicarsi a costruire politiche di ampio respiro, capaci di resistere agli anni e di definire, in tal modo, il futuro.Già nei Promessi Sposi, nei capitoli dedicati alla peste, Manzoni scriveva icasticamente a proposito di questi rischi: “Il buon senso c'era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune”.La “Storia della Colonna infame” - un capolavoro di letteratura civile, compreso e rivalutato soltanto a partire dal secolo scorso - ci ammonisce di quanto siano perniciosi gli umori delle folle anonime, i pregiudizi, gli stereotipi; e di quali rischi si corrano quando i detentori del potere - politico, legislativo, giudiziario - si adoperino per compiacerli a ogni costo, cercando soltanto un consenso effimero. Un combinato micidiale, che invece di produrre giustizia, ordine e prosperità - che è il compito precipuo di chi è chiamato a dirigere - produce tragedie, lutti e rovine".

Che Mattarella abbia pronunciato queste parole con un secondo fine o meno non è possibile dirlo ma, oggettivamente, sono il perfetto ritratto di come oggi la maggioranza di destra-centro ha costruito e continua a costruire il proprio consenso politico. Un ritratto a cui si aggiunge anche una critica assolutamente negativa, tanto da definire tali politiche promotrici di "tragedie, lutti e rovine".

Sicuramente a Meloni e Salvini (e ai loro "sottoposti" e "seguaci") saranno fischiate le orecchie e, nel caso abbiano letto o ascoltato le parole del capo dello Stato, purché siano in grado di comprenderle (soprattutto nel caso di Salvini non è così certo) è molto probabile che non le abbiano gradite. 

Ma oltre a ricordarci quanto Manzoni sia stato grande in passato, oggi Mattarella dovrebbe però iniziare a mettere in pratica ciò di cui si è, giustamente, detto tanto ammirato. Come? Smettendo di firmare decreti e leggi di questa maggioranza pensati solo ad assecondare "gli umori delle folle anonime, i pregiudizi, gli stereotipi ... per compiacerli a ogni costo, cercando soltanto un consenso effimero", in modo da evitare che "invece di produrre giustizia, ordine e prosperità - che è il compito precipuo di chi è chiamato a dirigere - producano tragedie, lutti e rovine".

È chieder troppo?