"L'Italia non è in linea con le nostre raccomandazioni. ... Abbiamo chiesto all'Italia di intraprendere deviazioni e di rimettersi in linea. Le discussioni continuano con l'Italia. Ovviamente spetta al Parlamento italiano decidere quali sono i prossimi passi in avanti. ... Speriamo di poterli vedere quanto prima".
Queste alcune delle affermazioni fatte ieri al World Economic Forum di Davos da Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione Ue che con Gentiloni condivide le responsabilità della gestione delle questioni economiche.
È vero, Dombrovskis, in fin dei conti, non ha detto niente di nuovo. Ma il fatto di averlo detto deve aver infastidito e non poco Roma, e così, a stretto giro è arrivata la precisazione di un portavoce di Bruxelles:
"La posizione della Commissione sulla manovra è quella di novembre, non è cambiata".
Lo scorso novembre la manovra finanziaria dell'Italia è stata messa sotto osservazione, con l'Italia che è stata rimandata... non a settembre, ma a giugno, dopo le elezioni europee, quando Gentiloni e Dombrovskis indicheranno al governo i correttivi da fare. E in quell'occasione, peseranno anche le decisioni politiche in relazione alle alleanze su quale tipo di maggioranza, in base al risultato delle urne, dovrà governare l'Ue... con la von der Leyen che sembra intenzionata a ricoprire un secondo mandato e per ottenerlo sta facendo intendere in ogni occasione di esser favorevole anche alla possibilità di guidare una coalizione di cui facciano parte i conservatori del gruppo che comprende anche FdI di Giorgia Meloni (ECR).
Anche il ministro del MEF, Giorgetti, è intervenuto sulle dichiarazioni di Dombrovskis, affermando che è
"tutto come previsto: nonostante l'eredità dell'impatto negativo di energia e Superbonus, andiamo avanti con sano realismo".
Ma tutto a posto non è. La manovra 2024, oltretutto in deficit, si basa su un rialzo del Pil che è giudicato irrealistico anche da Bankitalia e pertanto dovrà essere rivista. E, guarda caso, il governo Meloni ha annunciato che venderà parte del "patrimonio di famiglia", azioni dei principali asset pubblici del Paese in un'operazione che Giorgetti definisce di "razionalizzazione", ma che banalmente serve solo a far cassa, rinunciando però in futuro ai lauti dividendi che aziende come ENI hanno sempre puntualmente distribuito.
E il far cassa servirà anche in previsione della prossima manovra che, con il patto di stabilità accettato da Meloni, vede l'Italia dover coprire un deficit che in molti indicano sopra i 10 miliardi.
Per quanto tempo riuscirà la propaganda meloniana a mascherare mancanze e difficoltà dell'attuale esecutivo con colpe da attribuire ai precedenti governi?