Finché c’è vita, c’è la corrente. (D. Silvestri)

Venezuela… il solo nome evoca l’acqua. Gli esploratori spagnoli chiamarono così il paese sud americano proprio perché le lagune costiere ricordarono loro la Serenissima, adagiata sul mare in cui si riflettono calli, campielli, chiese e palazzi di una città unica.

Acqua, l’acqua tanto scioccamente detestata da molti, non appena assume la forma di pioggia; l’’acqua “humile et casta et pura”, come la celebrò Giovanni (alias Francesco) d’Assisi nel “Cantico delle creature”; l’acqua, la cui penuria sta causando in Venezuela una crisi senza precedenti. L’energia elettrica nello stato di cui fu presidente Chavez, è prodotta per lo più con le centrali idroelettriche, ma una siccità epocale, ha drasticamente ridotto il livello degli invasi sicché frequenti sono i black out. Senza elettricità, nel nostro mondo tecnologico, tutto prima o poi si ferma: si fermano le industrie, le attività agricole, le forniture, i servizi, le infrastrutture… Così l’attuale governo di Maduro deve fronteggiare una crisi politica, economica (caduta verticale del prezzo del greggio, inflazione al 180 per cento nel 2015!) e sociale spaventosa. La produzione di energia è l’anello debole della catena: una volta spezzato questo anello, tutto va in malora.

Che cosa ha portato il Venezuela sull’orlo del baratro, la nazione che fino a pochi anni or sono, attraeva Italiani in cerca di una vita migliore? La risposta è una sola: la geoingegneria bellica. Infatti la presunta crescita delle temperature globali dovrebbe portare ad un incremento delle precipitazioni che, invece, stanno diminuendo un po’ in tutto il pianeta a causa dell’intenso uso delle scie igroscopiche.