Martedì, nello Studio Ovale, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, aveva aperto  alla Cina facendo intendere che stava negoziando con Pechino una sostanziale riduzione dei dazi sulle importazioni. Trump aveva addirittura assicurato di esser stato "molto gentile" durante i negoziati e di non aver evocato l'origine della pandemia di Covid-19.

Dall'altra parte del Pacifico, però, i portavoce dei ministeri cinesi hanno detto di aver bollato le aperture trumpiane come insufficienti, tanto da non prenderle neppure in considerazione.

He Yadong, portavoce del Ministero del Commercio, ha ripreso il proverbio cinese già utilizzato in precedenza: "Chi ha legato la campana deve slacciarla". Traduzione: sono stati gli USA a imporre dazi unilaterali, quindi sono gli USA a doverli togliere. Per risolvere le divergenze, ha detto, servono dialogo paritario e rimozione totale di tutte le tariffe statunitensi.

Il Ministero degli Esteri ha voluto pure affondare il colpo bollando come "fake news" le presunte trattative quotidiane tra funzionari americani e cinesi – trattative di cui Trump aveva parlato senza fornire alcun dettaglio concreto.

Il cambio di tono di Trump arriva dopo settimane di mercati in subbuglio e crolli azionari. Per questo, aziende come Walmart, Target, Home Depot e Lowe's avrebbero fatto pressing sul presidente, lamentando incertezze e problemi causati dai dazi sulle loro catene di approvvigionamento. Alcune grandi banche d'investimento avvertono che i dazi americani al 145% e i dazi di ritorsione cinesi al 125% potrebbero spingere l'economia globale in recessione.

Da Washington arriva un'indicazione non ufficiale: gli attuali dazi del 145% potrebbero venir ridotti al 50–65%. Ma anche questa prospettiva non sarebbe sufficiente a convincere Pechino. Gli osservatori filo-governativi tendono a leggere l'offerta di Trump come un tentativo di sedare i mercati interni statunitensi, a seguito del rallentamento dell'economia.

Il presidente Xi Jinping – in viaggio nel Sud-est asiatico – non dà segni di timore o incertezza, con le esportazioni  che a marzo hanno registrato un +12,4%, anche se le ripercussioni negative dei dazi sulla Cina dovrebbero iniziare a vedersi soprattutto a partire da aprile.

Non tutti però in Cina sarebbero convinti che la strategia di "resistere finché l'America ceda" sia priva di rischi: mantenere dazi al 145% potrebbe causare la perdita di molti posti di lavoro,  aumentando così il malcontento sociale e mettendo a rischio la stalibilità stessa del Partito.

Ma per Pechino non sembrano esserci ripensamenti: se un accordo ci sarà, il quando, il dove e il come sarà alle condizioni della Cina.

Pertanto, chi speri in un accordo lampo resterà deluso. A questo punto, la guerra dei dazi tra Trump e Xi Jinping è una partita a poker, dove entrambi stanno bluffando. Resta da vedere chi, per primo, cederà al bluff rifiutando l'ennesimo rilancio.