Sono passati quasi 9 mesi dall’ultima liberazione riguardante un italiano rapito nel mondo o di cui si sono perse le tracce. Alessandro Sandrini, l’italiano rapito nel 2016 al confine fra Siria e Turchia, è tornato in Italia lo scorso maggio, liberato dal governo di Salvezza, gruppo antigovernativo della zona di Idlib e al termine di un’articolata e difficile azione condotta in sinergia tra: intelligence italiana, polizia giudiziaria ed unità di crisi del ministero degli Esteri.
Un esito abbastanza inaspettato, che ha riacceso la speranza gli altri 7 italiani rapiti nel mondo. Spetta alla Farnesina mantenere una linea di comunicazione con i rapitori per cercare di sbloccare situazioni come quella di Alessandro Santini. Un compito non semplice, come è possibile immaginare.
Tra i 7 connazionali di cui non si ha più notizia partiamo da Padre Paolo Dall’Oglio, rapito in Siria (a Raqqa) da più di 6 anni (verosimilmente dall’ISIS). Un rapimento diverso dagli altri, perché il religioso viveva in Siria da quasi 30 anni ed è il fondatore della comunità monastico cattolica – siriaca di Mar Musa (nord di Damasco). Espulso dalla Siria nel 2011 su ordine del regime di Bashar al Assad, vi aveva fatto rientro proprio nel 2013. A pochi giorni dal rapimento trapelarono notizie su una sua immediata uccisione e per diverso tempo le poche indiscrezioni al riguardo indirizzavano verso questo epilogo. Nel febbraio 2019, però, fonti curde (riportate dal Times) rassicuravano sul fatto che fosse ancora vivo e, pochi giorni dopo, veniva individuato in Baghouz (Siria) il luogo di permanenza. Per giorni si vociferava di una sua imminente liberazione, ma nulla è accaduto e, anzi, in tempi recenti si è tornata ad avvalorare la prima ipotesi, quella di un’immediata esecuzione dopo il rapimento per mano dei miliziani. La verità è che su Dall'Oglio non si ha nessuna prova sul fatto che sia vivo o morto.
Diversa la scomparsa di Raffaele Russo, Antonio Russo e Vincenzo Cimmino, svaniti nel nulla a Tecalitlàn, ad Ovest di Città del Messico dal 31 gennaio 2018. I tre napoletani inviarono un ultimo audio su WhatsApp ai familiari comunicando di essere stati arrestati dalla polizia e costretti a seguirla, dopo esser stati intercettati a falsificare attrezzature cinesi per rivenderle come prodotti di marchi prestigiosi. Dopo un anno e mezzo di indagini, depistaggi e false speranze, l’unica certezza è che per il loro rapimento sono stati incriminati quattro poliziotti, i quali hanno confessato ai magistrati messicani di avere venduto tutti e tre a una banda criminale di Tecalitlán. L’avvocato delle famiglie ha reso disponibile un’intercettazione riguardante un criminale messicano, “Jose Guadalupe Rodriguez Castillo”, detto “El Quince”, il quale, nella telefonata, chiederebbe lumi ad un altro malavitoso su cosa farne dei 3 italiani ostaggi. Ad oggi, al di là del processo in corso, il cui esito potrebbe portare a nuove rivelazioni, dei 3 si sa veramente poco.
Si sa poco anche di Luca Tacchetto. Del 30enne padovano si sono perse le tracce tra il 15 ed il 16 dicembre 2018. Era in viaggio di piacere e lavoro in Burkina Faso, con la fidanzata canadese Edith Blais. I due avrebbero in breve raggiunto il Togo per collaborare alla ricostruzione di un villaggio. Il governo del Paese africano, dissestato da guerriglie tra gruppi di terroristi islamici, ha, fin dai primi giorni, minimizzato l’episodio, rassicurando sugli standard di sicurezza garantiti dalle istituzioni. Le ultime notizie disponibili riportano dei due avvistati la sera del 15 dicembre con una coppia di francesi ed in procinto di vendere l’auto con cui erano partiti dall’Italia. Ai familiari avevano annunciato di voler visitare un parco nazionale il giorno successivo. Recentemente un portavoce del governo africano ha ipotizzato un incidente sopraggiunto proprio durante l’escursione o un rapimento ad opera di piccole bande isolate e disseminate nei territori delle escursioni. L’ultima notizia, a parte i rumors, è giunta dalla ONG Human Rights Watch, secondo la quale i 2 sarebbero stati rapiti e portati in Mali e si troverebbero trattenuti lì. Sono passati ulteriori mesi, ma nessun aggiornamento ufficiale è stato comunicato.
Nelle stesse aree è scomparso di un altro religioso, Padre Luigi Maccalli, cremonese di 57 anni, attivo in diversi paesi africani per conto della Società della Missioni. Il missionario è rimasto in contatto col nostro Paese fino al 18 settembre 2018, quando è stato rapito nella sua parrocchia a Bomoanga (Niger). Due uomini armati (presunti jihadisti) violarono la sua proprietà, intimandogli di seguirli. Attraversato il confine col Burkina Faso (circostanza confermata dalle istituzioni locali), non si è più saputo nulla della sorte del Padre. Il governo del Burkina Faso ha comunicato a Rainews che sarebbe poi stato riportato in Niger, ma non ha fornito alcuna prova al riguardo. La situazione resta avvolta nel mistero.
Come nel mistero è piombato il destino di Silvia Romano, volontaria milanese che aiutava i bambini orfani per conto della Onlus Africa Milele. La ragazza è stata sequestrata il 20 novembre 2018, da una spedizione armata a Chakama, piccolo villaggio del Kenya. Pochi giorni dopo la polizia locale arrestò uno dei rapitori, Abdulla Gabara Wario, ma la ragazza rimase in compagnia dei rapitori scampati all’arresto. Un altro rapitore, Moses Luwali Chembe, è stato catturato successivamente. La ricostruzione vorrebbe la ragazza viva ed in compagnia dei suoi rapitori fino a Natale scorso. Dopo sarebbe stata ceduta ad un’altra banda. La polizia di Malindi ha torchiato i due imputati ed è riuscita a ricostruire quanto accaduto a Silvia Romano, rapita con l’intento di essere ridotta in schiavitù e costringere l'ambasciata italiana a pagare un lauto riscatto per il rilascio. La volontaria, pochi giorni prima, aveva inoltrato una richiesta di denuncia per un sacerdote, responsabile di molestie verso alcune bambine della comunità. Ma il suo rapimento e la mancanza di dettagli impedirono di far partire la denuncia. Il riscatto, comunque, non è mai giunto e, anzi, gli inquirenti locali hanno criticato le autorità italiane per il poco lavoro svolto e la poca collaborazione in direzione del ritrovamento della ragazza.
7 casi diversi tra loro, con un denominatore comune: la difficoltà di comunicazione con queste aree e la sensazione che, senza iniziative ed operazioni in loco o mosse dei rapitori, il rilascio dei nostri connazionali, laddove ancora possibile, appare un’ipotesi alquanto remota.