Sabato 27 marzo, in diretta streaming dal duomo di Novara, il vescovo Franco Giulio ha presieduto la Veglia delle Palme 2021, dal titolo “Figli delle Stelle”. Momento di incontro – seppur a distanza a causa delle norme Covid – con i giovani della diocesi e un’occasione per proporre a tutti, attraverso la figura di Dante, il messaggio di Speranza per l’uomo che il Risorto porta con sé.
Di seguito il testo integrale con le parole del vescovo.
Figli delle Stelle: le tre finali della divina commedia
Esordio
“Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle” (Gn 15,5). Quest’espressione che ricorda un incontro di quattro mila anni fa, ha avuto uno strano destino: più gli uomini e le donne hanno guardato il cielo, più le stelle sono aumentate. I nostri strumenti attuali ci consentono di vedere il firmamento ancora più in profondità, pur in confronto ai cieli stellati dell’antichità che, senza l’inquinamento luminoso, risplendevano nella loro molteplicità stellare. Le stelle sono andate crescendo di numero, lo sguardo ha aguzzato la sua vista. Pensate quante se ne vedono oggi con i telescopi! Questa sera vorrei farvi compiere brevemente il percorso che sale alle stelle, ricordando ciò che ha detto Lucilla Giagnoni: proprio nel divino poema di Dante, la parola “stelle” chiude le tre Cantiche. Sono andato, dunque, a riprendere le terzine che sigillano le tre cantiche, all’ultimo canto di ciascuna di esse. I tre versetti finali delle Cantiche terminano con la parola “stelle”, mi ha colpito però che siano sorretti ciascuno da un verbo diverso. Infatti, il primo versetto alla fine dell’Inferno dice:
“E quindi uscimmo a riveder le stelle” (Inferno, XXXIV, 139).
E, forse, quello più famoso: il verbo è uscire.
Il secondo versetto, alla fine del Purgatorio, dice:
“puro e disposto a salire a le stelle”. (Purgatorio, XXXIII, 145)
Il secondo verbo è salire.
Il terzo è già stato evocato, alla fine del Paradiso, recita cosi:
“l’amor che move il Sole e l’altre stelle”. (Paradiso, XXXIII, 145)
E il verbo è muovere.
Pertanto c’è un uscire, un salire e un lasciarsi muovere, un lasciarsi attrarre che ci porta verso l’alto. E il motore, quel motore a cui il più alto pensiero dell’uomo aveva dato la denominazione di motore immobile, è divenuto invece l’amore che muove il cielo e l’altre stelle, che muove il cosmo, che fa girare tutto l’universo, anzi muove il multiverso!
Questa sera vorrei, dunque, aiutarvi brevemente a percorrere questi tre verbi in cui l’affinamento dello sguardo – “guarda in cielo” – corrisponde al moltiplicarsi delle stelle che invece di potersi contare, sfuggono alla nostra presa, e, come ci è stato detto, hanno bisogno al contrario del nostro cammino di affidamento, del nostro andare incontro.
Uscire
Il primo passo è dato dall’attraversamento dell’Inferno. Ascoltate come il poeta Dante descrive nelle ultime due terzine, che terminano col verso che vi ho appena ricordato, l’uscita dai gironi infernali in cui si ammassa e si condensa il male dell’uomo. In questi due anni l’abbiamo sperimentato, talvolta chiusi nelle nostre camere, talvolta con le persone che ci hanno lasciato senza poter essere salutate, senza essere abbracciate e compiante, talaltra con le difficoltà registrate dentro le nostre famiglie e talaltra infine per la mancanza del lavoro…
Così dice il poeta:
“Lo duca [Virgilio] e io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
e sanza cura aver d’alcun riposo,
salimmo su, el primo e io secondo,
tanto ch’i’ vidi de le cose belle
che porta ’l ciel, per un pertugio tondo”. (Inferno, XXXIV, 133-138)
Ecco il primo passo: anche a noi è chiesto di guardare attraverso questo pertugio tondo, la ferita di quest’anno, in cui abbiamo attraversato un po’ i gironi infernali della mancanza e dell’incertezza. Pensiamo a quei giovani che hanno vissuto il passaggio dai quattordici ai sedici anni, oppure dai diciotto ai vent’anni, o anche quelli che stavano cercando lavoro e che hanno vissuto questo tempo sospeso. All’inizio è stato un tempo quasi ripiegato su se stessi e poi un tempo rimandato, rinviato, un tempo di attesa, qualche volta di depressione e persino di rabbia.
“e quindi uscimmo a riveder le stelle”. (ibid. 139)
Attraverso il primo passo, invito questa sera a guardare dentro ciascuno di noi, per vedere come dobbiamo uscire: attraverso questo pertugio tondo, bellissima immagine! Forse ci vorranno ancora alcuni mesi, però siamo pronti per uscire, per lasciare, per impa- rare anche da questo attraversamento del male. Chi l’avrebbe detto che nei primi vent’anni del XXI secolo saremmo andati incontro a un’esperienza di questo genere? Vi confesso che mai l’avrei pensato! Potevo forse immaginare a una crisi economica come quella del 2008, continuata poi fino agli anni 2010 e 2012, ma non a questo buco nero!
Salire
Il secondo passo è alla fine della seconda Cantica: il Purgatorio. È bellissimo quel che dice il poeta nelle terzine finali:
S’io avessi, lettor, più lungo spazio
da scrivere, i’ pur cantere’ in parte
lo dolce ber che mai non m’avria sazio;
ma perche piene son tutte le carte
ordite a questa cantica seconda,
non mi lascia piu ir lo fren de l’arte.
Io ritornai da la santissima onda
rifatto sì come piante novelle
rinovellate di novella fronda, (Purgatorio, XXXIII, 136-144)
Attraverso il percorso di purificazione del Purgatorio, il poeta passa e impara da questa purificazione – sì come piante novelle rinovellate di novella fronda (udite l’onomatopea della “rinascita”) – e poi il versetto finale:
puro e disposto a salire a le stelle. (Ibid. 145)
Possiamo dire che ci stiamo preparando, ed è il compito di questi mesi, proprio sulla soglia del tempo di purificazione, ed essere ognuno come canta il Poeta: “puro e disposto”, puro e capace di affidarsi. Provate, ciascuno di voi questa sera a chiudervi un momento nella vostra camera e a interrogarvi, prima di andare a letto, quale zavorra si può e si deve lasciare. Magari ciò che ha appesantito la vita, in questi anni dell’adolescenza, della prima giovinezza, oppure della gioventù più avanzata: cosa ha impedito di trovare un centro nella nostra vita: puro e disposto a salire a le stelle? Attraverso il Purgatorio, un tempo di purificazione. È interessante: l’immagine che viene evocata è quella dell’acqua che purifica, di cui non possiamo quasi mai essere sazi. Dice infatti Dante:
“lo dolce ber che mai non m’avria sazio”.
Allora questo è il secondo passo che dobbiamo fare, illustrato dal verbo salire, dal verbo andare in alto. Per vedere le stelle, per andare in alto, occorre lasciare a casa le cose che non contano, toglierle dal nostro zaino. Se usciremo da questi anni (2021-2022), avendo anche per questo secolo, per questo mondo, per questa società lasciato perdere le mille cose che non contano, lo potremo fare concentrandoci sulle poche necessarie. Quante volte vi ho detto che la nostra generazione rispetto alla vostra è quella che aveva ricevuto pochi ingredienti per fare la torta della vita, mentre la vostra generazione ne ha fin troppi: è piena di possibilità che la stordiscono e deve cercare di abbandonare quelle che rendono la vita pesante, zavorrata, non commestibile.
Lasciarsi muovere
I primi due momenti, i primi due passi, l’uno tenebroso e ascoso nei gironi infernali, l’altro purificante e capace di far cambiare lo sguardo e l’orizzonte, ci sono concessi per arrivare al terzo passo, quello del Paradiso. Qui solo una terzina è sufficiente per capire la conclusione della terza Cantica. Seguitemi:
“A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ’l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa, (Paradiso, XXXIII, 142-144).
Alla mia alta immaginazione mancarono le forze, il potere di comprendere e amare: lo sforzo dell’uomo si ferma, o meglio si lascia attirare dal venire di Dio. Infatti, dice Dante, già volgeva il mio desiderio e la mia volontà, come una ruota che è mossa in modo sincrono verso l’alto… e poi esplode il versetto finale, forse è il verso più bello che suggella tutta la Divina Commedia.
l’amor che move il sole e l’altre stelle”. (ibid. 145)
l’Amore divino, che muove il sole e le altre stelle!
Noi possiamo fare i passaggi della nostra vita, possiamo osare tutte le salite della nostra esistenza, solo se sappiamo che già ogni passo, ogni sforzo è preceduto, attratto da questo magnete, da questa calamita universale che ci attira. Essa ha un nome, ma non e il motore immobile, bensì è l’Amor che muove, è l’Amore che attrae, che è il centro gravitazionale del mondo, anzi del cosmo e dell’universo. Non possiamo avere una vita – prima che una religione e ancor prima che una fede – non possiamo avere un’esistenza che sia solo mossa dal piacere o dal dovere. Noi possiamo avere una vita piena solo se èattratta dall’amore! Per dovere o per piacere si fanno molte cose, ma esse non riempiono il cuore dell’uomo. Solamente se ci lasciamo attrarre dall’Amore che muove tutto l’universo, il sole e l’altre stelle, allora riusciremo ad andare anche noi verso la luce, anzi verso la vita stessa di Dio.
Exodus
Vi auguro, dunque, che questa Pasqua sia davvero una Pasqua di Risurrezione. Proprio oggi ho inviato gli auguri pasquali a tutti i sacerdoti e alle persone che conosco – auguri che poi saranno pubblicati – prendendo alcuni versetti dal venticinquesimo canto del Paradiso che qualche sera fa in televisione ha mirabilmente declamato l’attore Roberto Benigni, in cui viene illustrata la speranza cristiana. Ve ne faccio dono come augurio: Dante per definire la speranza, la cosa più indefinibile che esista, usa un’espressione del grande novarese Pier Lombardo e dice che la speranza è un attender certo della beatitudine futura. All’inizio la nostra amica aveva detto che non le interessa una beatitudine futura la cui gioia non riempia già il presente qui in terra. Certo, la beatitudine futura è il compimento della gioia presente, non la sua alternativa.
Pier Lombardo dice che la speranza è un attender certo della beatitudine, Dante parla di gloria futura, la quale viene dalla grazia di Dio e dall’operare dell’uomo. La beatitudine è il coronamento dall’alleanza “generativa” del dono di Dio, della sua grazia, con dell’agire operoso dell’uomo: precedente merto! Vi auguro che sia cosi. Se c’è un difetto – e ce l’ha detto con parole taglienti, quasi chirurgiche, stasera Lucilla Giagnoni – è che quest’anno abbiamo ascoltato tanti numeri, ma non siamo stati capaci di scaldare i cuori con la speranza, con questo attendere certo: la beatitudine che riempie il nostro cuore della grazia di Dio e ci fa camminare in modo operoso e attivo.
Auguri per quest’anno 2021, quello della ripartenza!
Fonte: diocesinovara.it