«Come sostengono molti esperti, siamo in una fase di stagnazione secolare – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – e sebbene la ripresa si stia consolidando in tutta Europa, anche a seguito di una congiuntura internazionale favorevole, gli effetti positivi non stanno interessando tutte le aree territoriali e le classi sociali del nostro Paese. Il popolo delle partite Iva, ad esempio, continua ad arrancare; schiacciato come è da un carico fiscale eccessivo, da una burocrazia oppressiva e da una domanda interna che stenta a decollare.»

L’Ufficio studi della CGIA, in un rapporto pubblicato questo sabato, ci ricorda che dall’inizio del 2000 fino al 2017 la ricchezza nel nostro Paese (Pil) è cresciuta mediamente di appena lo 0,15 per cento ogni anno con le conseguenze riportate nella dichiarazione indicata all'inizio.

Mentre in Italia negli ultimi 17 anni il Pil è aumentato di soli 2,6 punti percentuali, in Francia l’incremento è stato del 21,7 per cento, in Germania del 23,7 per cento e in Spagna addirittura del 31,3 per cento. Tra i 19 paesi che hanno adottato la moneta unica solo il Portogallo (-1,2 punti percentuali), l’Italia (-5,4) e la Grecia (-25,2) devono ancora recuperare, in termini di Pil, la situazione ante crisi.

Nonostante ciò, l'Italia ha comunque mantenuto in ordine i propri conti pubblici: «Negli ultimi 17 anni – dichiara il Segretario della CGIA Renato Mason - solo in un anno, il 2009, il saldo primario, dato dalla differenza tra le entrate totali e la spesa pubblica totale al netto degli interessi sul debito pubblico, è stato negativo. In tutti gli altri anni, invece, è stato di segno positivo e, pertanto, la spesa primaria è stata inferiore alle entrate. A ulteriore dimostrazione che in questi ultimi decenni l’Italia ha mantenuto l’impegno di risanare i propri conti pubblici, nonostante gli effetti della crisi economica siano stati più pesanti qui da noi che altrove.»

Questo, però, ha inciso pesantemente sugli investimenti pubblici, motore di qualsiasi ripresa economica. Senza investimenti, non si creano posti di lavoro stabili e duraturi, il livello delle retribuzioni medie non cresce, la gente non spende e la ripresa si fa attendere.

Così, anche sul fronte della produzione industriale, lo score dell’Italia registrato in questi ultimi 17 anni è stato abbastanza deludente. Rispetto al 2000, l'Italia fa segnare un risultato negativo di 19,1 punti percentuali, con punte del -35,3 per cento nel tessile/abbigliamento e calzature, del -39,8 per cento nel settore dell’informatica e del -53,5 per cento nelle apparecchiature elettriche.

In Europa, nessun altro tra i paesi avanzati ha fatto peggio. Sebbene Spagna e Francia abbiano ottenuto dei risultati con scostamenti non molto diversi dal nostro, l'industria tedesca, tra il 2000 e il 2017, ha aumentato la propria produzione di quasi 30 punti percentuali.