Oramai è una vera e propria valanga. Superato lo scalone previdenziale introdotto dalla legge “Fornero”, le uscite di medici e dirigenti sanitari dal SSN stanno crescendo in modo esponenziale, senza distinzioni territoriali, al nord come al sud del nostro paese, dal Veneto alla Sicilia, solo per citare gli ultimi casi riportati dai media.

Il fenomeno del resto era atteso, come descritto dall’Anaao Assomed, nelle sue linee essenziali, già nel 2011. Le nostre, però, si stanno rilevando stime prudenziali con calcoli effettuati sul raggiungimento dei criteri previdenziali necessari per una pensione di anzianità secondo la legislazione vigente allora.

Oggi le cronache raccontano di medici che abbandonano il posto di lavoro anche prima dell’acquisizione dell’anzianità contributiva utile ai fini della quiescenza, a causa del drammatico peggioramento delle condizioni di lavoro, grazie a mutate disposizioni legislative o alle sirene di un mercato privato rilanciato dal moltiplicarsi di fondi sanitari di fatto sostitutivi delle prestazioni del SSN.

Vi sono, infatti, aspetti organizzativi che giocano contro la permanenza in servizio, come la bassa probabilità di raggiungere posizioni elevate di autonomia professionale (solo l’8% dei dirigenti medici diventa direttore di struttura complessa), l’invecchiamento della popolazione medica in assenza della applicazione delle raccomandazioni contrattuali di esonerare dai turni di guardia notturni i medici con più di 55 anni di età, le difficoltà crescenti di godere delle ferie annuali e perfino dei turni di riposo giornaliero e settimanale previsti dalla legislazione nazionale e dalle direttive europee.