Qualcuno si è mai chiesto chi fosse Carlo Poma? Era un medico solidale e antagonista. Vissuto forse ai tempi del ’68 o delle manifestazioni no-global? Niente affatto. “Carlo Poma nacque il 7 dicembre 1823 a Mantova, da Leopoldo e da Anna, entrambi appartenenti a famiglie della ricca borghesia…Convinto sostenitore della missione sociale del medico, Carlo fu probabilmente in  contatto sin dagli anni dell’università con ambienti della democrazia risorgimentale… 
Condannato a morte per alto tradimento, si vide confermata la pena dalla decisione di Radetzky. …fu impiccato il 7 dicembre 1852…di Maurizio Bertolotti, Un grande amore per la libertà, Mantova Salute, numero 26, dicembre 2015.- asst-mantova.it

Ciò brevemente premesso, e assodato che Poma non è l’unico martire ideologico cui è intitolata una strada, non buttiamoci subito su destini fatali e maledizioni. Ci limitiamo a notare, però, che in quella via serpeggia, periodicamente, una vitalità inquietante. Vi ebbe sede una cellula del Partito d’Azione, con tutte le traversie patite dagli appartenenti al versante liberale della Resistenza, forse meno conosciuto, più intellettuale e meno barricadero di quello celebrato nei libri di storia, da media, cinema e saghe. In quel quartiere di famiglie benestanti, conosciuto popolarmente come Prati, ha sede anche il palazzo di giustizia denominato “ Il palazzaccio”. Tra i tanti stili architettonici che convivono in zona troviamo anche quello “fascista” del complesso labirintico dove affaccia il portone numero 2, divenuto famoso per l’omicidio di Simonetta Cesaroni, il 7 agosto 1990: che, però, non fu il primo in quel condominio plurimo, né l’ultima morte enigmatica legata a quel corso.

Il 21 ottobre 1984 Renata Moscatelli, una pensionata sessantottenne, di facoltose condizioni, nubile e religiosissima, dopo la messa domenicale si chiuse nel suo blindatissimo appartamento al primo piano, per non uscirne viva. Fu trovata dall’unica sorella, che, non avendola più sentita, fece forzare la porta da un fabbro. I resoconti, sempre un poco oscillanti, parlano di una bottiglia rotta collegabile a una contusione sulla testa della donna, un soffocamento con rottura dell’osso ioide e lo smontaggio delle cornici di quadri e fotografie. Non si rilevarono segni di effrazione su porta e finestre.

Ne seguirono indagini? Poco o nulla, in verità. Si accennò a malumori tra sorelle per questioni economiche, al nipote nobile, funzionario in una famosa banca estera, a un sacerdote amico di Renata, il quale l’avrebbe sentita al telefono poco prima per la richiesta di alloggio a un tale Mardocci, di lei provvisorio ospite, tizio che avrebbe poi disdetto personalmente, e sempre al telefono, la strana istanza: strana poiché la Moscatelli, benché dedita a una qualche attività di volontariato in ambito parrocchiale, non risultava particolarmente incline all’accoglienza, anzi, tutti la ricordavano salutare appena, una figura vecchio stampo ( figlia di un alto ufficiale dei Carabinieri), un po’ arcigna e chiesastica. Caso chiuso, freddo e mai riscaldato.

Arriviamo così al fatidico, sempre rinverdito in cronaca, omicidio di Simonetta Cesaroni, di cui già ci occupammo. C’è ancora qualcosa da dire al riguardo? A parte la vana ricerca del colpevole, inchiesta che però non batte chiodo dall’assoluzione, divenuta definitiva nel 2014, dell’allora “fidanzatino” di lei, pizzicato dopo quindici anni su basi fragilissime e un processo che sgomenta, parrebbe sia stato detto tutto: ma il boccone è ghiotto e vi si sono buttati in molti, fino ai giorni nostri, al 2020. 

Hai voglia a dire che gli inquirenti hanno indagato a raffica, nulla trovando né sul portiere ( non l’unico della corte interna all’edificio) Pietrino Vanacore, inizialmente sospettato e scagionato, suicidatosi bizzarramente in mare, nel 2010, prima di testimoniare al dibattimento; né sul nipote un po’ instabile dell’architetto che aveva progettato il comprensorio e lì abitava all’epoca, accudito proprio da Vanacore, peraltro; né in ambito lavorativo, anche se va notato che colleghi e dirigenti dell’Aiag, società per la quale lavorava la Cesaroni, svicolarono abbastanza stranamente dall’indagine e forse si sarebbe dovuto insistere su un certo giro di telefonate tra tutta quella gente o le chat primordiali a cui pare che la vittima fosse già dedita. Al massimo, oggi, riusciamo a riflettere in merito all’accanimento sul pube della giovane, lesione che la accomuna, vagamente, alle vittime femminili del “mostro di Firenze” e alla cantante Lolita ( vero nome Graziella Franchini), della quale pure abbiamo trattato, assassinata in Calabria nel 1986, ancora oggi non si sa da chi.

Non finisce qui, però, la strana agitazione di via Poma. Nel 2009, colui che i media definirono un famoso avvocato capitolino, al centro di scottanti casi della capitale, Massimo Buffoni, cinquantenne, sposato con un figlio piccolo, si sarebbe suicidato nel suo studio situato al civico 4 della strada, dopo aver scritto un biglietto d’addio. Forse: perché non abbiamo più saputo nulla in merito.

Nel 2019 un altro avvocato, Domenico Gentile, ultrasettantenne ma ancora in attività, tira un colpo con la sua calibro 38 alla moglie Patrizia, quasi coetanea e madre dei suoi figli, e si uccide a propria volta, si sussurra per problemi economici. La tragedia è avvenuta nell’abitazione dei due, sulla Cassia, ma lo studio del legale era in via Poma 4.

I suicidi non possono impegnare troppo i detective, le vecchie signore uccise non suscitano pruriginose illazioni, e dunque speriamo sia finita qui, o bisognerà cambiare di nome a quella via: anche se vi saranno state storie liete e risuonar di allegre risate, essa già troppo è echeggiata nelle nostre orecchie per foschi motivi, di talché pare quasi che il suo suono stimoli sempre nuovi libri sulla giovane Simonetta, pomposi tomi per passerelle che a nulla portano. Ma siamo pronti a ricrederci.