Nata nel luglio 1889, la Festa del Primo Maggio verrà abolita dal fascismo nel 1923, per poi tornare all'indomani della Liberazione (nel 1945). "Se la celebrazione diviene ogni anno più grandiosa nel mondo - diceva Giuseppe Di Vittorio - è perché il suo significato esprime le aspirazioni più profonde e più vive dell'uomo".

Il Primo Maggio nasce nel luglio 1889. È il congresso della Seconda Internazionale riunitosi dal 14 al 20 luglio a Parigi a lanciare l'idea di una grande manifestazione che "sarà organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore e di mandare a effetto le altre risoluzioni del Congresso".

La festa, ratificata ufficialmente a Bruxelles nell'agosto 1891 (II Congresso dell'Internazionale), è osservata e praticata già nel 1890 con manifestazioni a livello nazionale e locale. Un appuntamento al quale il movimento dei lavoratori si prepara con sempre minore improvvisazione e maggiore consapevolezza. È una festa che preoccupa i fascisti: Mussolini decide di abolirla nel 1923, preferendo un'autarchica Festa del lavoro italiano, da celebrare il 21 aprile in coincidenza con il Natale di Roma.

Il tentativo di rieducare le classe lavoratrice al culto dei valori imperiali però fallisce. "Al di là delle adesioni formali, delle parate e delle cerimonie ufficiali, il regime non riesce a fare breccia nella coscienza delle masse operaie", scrive lo storico Giuseppe Sircana: "Il Primo maggio, soppresso, mantiene e anzi rafforza la sua carica 'sovversiva', divenendo occasione per esprimere in forme diverse - dal garofano rosso all'occhiello alle scritte sui muri, dalla diffusione di volantini alle bevute in osteria - la fedeltà a un'idea".

 All'indomani della Liberazione, il Primo Maggio 1945, giovani che non hanno memoria della Festa del lavoro e anziani si ritrovano, insieme, nelle piazze di tutta Italia. "Ho assistito in seguito, nel corso di più di dieci anni, a centinaia di manifestazioni delle quali Di Vittorio fu oratore ufficiale, ma quel Primo Maggio resterà tuttavia, per me, indimenticabile", racconta Anita Contini, seconda moglie di Giuseppe Di Vittorio: "Piazza del Popolo non fu mai così bella, mi sembra, come quella mattina di sole: lunghi cortei di lavoratori, le bandiere bianche, rosse e tricolori alte nel vento, giungevano da ogni quartiere della città, accompagnati dalle bande dei tranvieri e dei ferrovieri".Anita Contini ricorda "la banda di Madonna della Strada che avanzava tra grandi applausi, preceduta da un'immagine religiosa. Tutti portavano abiti lisi e i volti apparivano segnati dalle lunghe privazioni, e tuttavia un'intima gioia, una fiducia in sé, uno slancio di speranza, sembrava animare e spingere la folla. Risuonavano i canti e grida di evviva. Gruppi di giovani, seduti per terra in cerchio, cantavano inni partigiani. Le ragazze distribuivano coccarde tricolori e garofani rossi. Dalla folla saliva verso il palco dei dirigenti sindacali un'ondata di affetto".

"Questa data - afferma Oreste Lizzadri nella riunione del Comitato direttivo della Cgil dell'11-12 aprile 1945 - dovrà essere l'esaltazione dell'unità sindacale; dovranno essere fatte delle manifestazioni da parte delle Camere del lavoro: i partiti non interverranno, come tali, in quanto il Primo Maggio sarà la celebrazione della festa del lavoro, e così come tale è solo la Cgil che deve esserne la promotrice".

In omaggio all'unità sindacale, Giulio Pastore annuncerà la decisione dei lavoratori cristiani di rinunciare alla loro festa del lavoro, il 15 maggio. Ma l'unità non durerà a lungo. Il Primo Maggio 1948 sarà l'ultimo celebrato dalla Cgil unitaria e, a partire dall'attentato a Togliatti, si aprirà una lunga stagione di feste del lavoro separate che terminerà solo vent'anni dopo, nel 1970.



Quanto sopra riportato è il contenuto di un articolo di Collettiva, il quotidiano online della Cgil, dedicato alla festa dei lavoratori.

Quello che ci ricorda questo articolo è molto semplice, a partire dalla giornata lavorativa di otto ore che veniva chiesta già alla fine dell'800. Ancora oggi, nonostante il riconoscimento di numerosi diritti, il lavoro finisce per essere sfruttamento... e senza dover ricorrere all'esempio dei rider, basti pensare al cosiddetto jobs act licenziato dalla pseudo-sinistra socialista al tempo guidata dal pifferaio di Rignano sull'Arno!

Se a questo, poi, aggiungiamo che chi è ricco, oggi, è enormemente più ricco di quanto i ricchi non lo siano mai stato in passato, significa che nella redistribuzione della ricchezza prodotta qualcosa di sbagliato ci deve pur essere. 

E non bisogna essere economisti per capire che, se prendiamo ad esempio l'Europa, la ricchezza viene prodotta sulle spalle dei lavoratori, semplicemente trasferendo la produzione e quindi il lavoro dove il suo costo è il più basso possibile.

Certo, in questo modo si migliorano le condizioni di vita di alcuni (ma fino ad un certo punto), ma contemporaneamente si peggiorano le condizioni di vita di altri... basti guardare il reddito dei lavoratori italiani negli ultimi anni raffrontato con quello dei lavoratori dei Paesi dell'est Europa adesso membri dell'Ue.

C'è una soluzione a questo? Di sicuro non si trova nell'esaltazione del nazionalismo di coloro che oggi si definiscono conservatori, mentre ieri erano orgogliosamente fascisti, ma nel rendere al contrario internazionale, a livello globale, le rivendicazioni dei lavoratori, a partire dalla riduzione dell'orario di lavoro, dal salario minimo e, soprattutto, dal lavoro garantito.

Se non si lotta per degli obiettivi, è difficile che questi possano essere offerti, se non richiesti.

Se la celebrazione del Primo Maggio diviene, ogni anno, più grandiosa nel mondo, gli è perché il suo significato esprime le aspirazioni più profonde e più vive dell’uomo.... Giuseppe Di Vittorio, 1953

Basterebbe ricordarselo... ogni tanto!