Il contagio da coronavirus, nonostante cordoni sanitari e divieti ha già abbandonato la "zona rossa" e si è accasato a Lodi, comune di circa 50mila abitanti, distante meno di 30 km da Milano.

La notizia non è il frutto di un passa parola... è stata annunciata ufficialmente dal presidente della regione Lombardia, Attilio (mascherina) Fontana, intervenendo nella trasmissione tv l'Aria che tira, su La7:

«Purtroppo questa notte è scoppiata un'altra emergenza a Lodi. Improvvisamente, nel pomeriggio di ieri c'è stato un affollamento di ricoveri: 51 gravi, di cui 17 in terapia intensiva. Purtroppo Lodi non ha un numero sufficiente di camere di terapia intensiva per cui sono stati trasferiti in altre terapie intensive della Regione. Il vero grande problema è che questo virus, che giustamente è stato definito poco più di un'influenza, in una piccola percentuale rischia di diventare qualcosa di complicato: non comporta un esito drammatico, ma quello di essere ricoverati in terapia intensiva per due o tre settimane. Il problema è che i letti di terapia non sono infiniti e hanno anche una funzione diversa, per gli infartuati, i colpiti da ictus: non possiamo dedicare tutta la terapia intensiva esclusivamente al Coronavirus».

Fontana, correttamente, ha centrato la vera questione del problema relativo al contagio da Covid-19. La domanda, però,  è... e adesso? Il governo ha deciso di non comunicare più il numero di tutti i contagiati da coronavirus, ma solo di quelli per cui è stato necessario il ricovero, oltre al numero dei decessi. A Milano, da lunedì, si era detto di riportare la situazione alla piena normalità, ritirando i divieti finora imposti. A questo punto c'è da chiedersi se sarà così... per ora nessuna dichiarazione ufficiale è pervenuta dal governo. 


Nel suo discorso al Quirinale per il 30° anniversario della Fondazione Telethon, il presidente della Repubblica, tra l'altro, ha dichiarato:

«Oggi – di fronte alla comparsa di un nuovo insidioso virus – si apprezza meglio il valore della scienza, la dedizione delle donne e degli uomini che portano avanti nuove ricerche, l'impegno sul campo di chi ne applica i risultati. Avere fiducia nella scienza non vuol dire avere fiducia di qualcosa di astratto. Vuol dire avere fiducia in noi stessi, nella nostra comunità.

La conoscenza aiuta la responsabilità e costituisce un forte antidoto a paure irrazionali e immotivate che inducono a comportamenti senza ragione e senza beneficio, come avviene talvolta anche in questi giorni.

In questo giorno dedicato alle malattie rare dobbiamo sentire il dovere di rinnovare il ringraziamento a chi sta operando con fatica, con sacrificio, con abnegazione per contrastare il pericolo del coronavirus: i medici, gli infermieri, il personale della Protezione civile, i ricercatori, le donne e gli uomini delle Forze Armate e di quelle di polizia, tutti coloro che in qualche modo si trovano in prima linea.

L'unità di intenti, e i principi di solidarietà, sono un grande patrimonio per la società, particolarmente in momenti delicati per la collettività. Costituiscono, in questi momenti, anche un dovere. Quando si perde questa consapevolezza ci si indebolisce tutti».


Un messaggio di unità e di speranza che viene accompagnato da medici e giornalisti che, parlando del coronavirus, non utilizzano più toni allarmati e allarmanti, come quelli utilizzati alcuni giorni fa quando sono venuti alla luce i due focolai epidemici nel nordest.

Adesso, però, c'è il rischio di sottostimare un'emergenza che - non correttamente - in precedenza era stata percepita come se fosse la peste bubbonica... mentre il contagio però si sta diffondendo sempre più in Italia, per ora al nord, e sta iniziando a diffondersi anche nel resto d'Europa.