Tra gli illusi che ai tempi di “mani pulite” speravano in una ventata moralizzatrice capace di spazzar via dalle pratiche della politica e della pubblica amministrazione il malaffare, la corruzione, la diffusa immoralità, c’ero anch’io.

Una illusione durata quanto un battito di ciglia perché politici vecchi e nuovi ed amministratori pubblici, indifferenti alle aspettative di milioni di italiani, hanno continuato a farsi gli affaracci loro giorno dopo giorno, se possibile con maggiore sfrontatezza ed ingordigia.

Purtroppo, ed è questo l’aspetto più avvilente ed inquietante, la serpe della immoralità si è così subdolamente insinuata nel sentore comune che non solo sta creando assuefazione ma induce molti a sminuirne la gravità.

In questi giorni, ad esempio, da più parti si è voluta stigmatizzare la decisione del M5S di avversare la candidatura di Paolo Romani alla presidenza del Senato, cioè alla seconda carica dello Stato, perché condannato per peculato con sentenza definitiva della Cassazione.

Durante le concitate vicende di ieri pomeriggio, quando cioè la candidatura di Romani, avversata dal M5S, rappresentava il pomo della discordia all’interno del centrodestra, il governatore della Liguria, il lega-forzista Giovanni Toti, censurava la decisione pentastellata perché non avrebbe tenuto conto, a suo avviso, che Romani era sì responsabile di peculato, ma per sole poche migliaia di euro.

Una tesi bislacca ripresa, più tardi, sulle onde di RAI 3 dal conduttore di “Linea notte”, Maurizio Mannoni, che tentava di minimizzare la gravità della condanna subita da Romani perché, tutto sommato, anche per lui si era trattato solo di poche migliaia di euro.

Siamo in presenza di un assurdo ed inaccettabile smarrimento dei più elementari canoni dell’etica.

Ogni reato è perseguibile e condannabile in quanto tale e non in relazione all'entità del danno prodotto, entità che è invece il giudice a considerare nel determinare la misura della pena da comminare.

Non solo... il reato di peculato è ancora più esecrabile perché commesso da un pubblico ufficiale appropriandosi od usando a proprio profitto denaro o bene pubblico del quale ne abbia la disponibilità in ragione del suo incarico.

Ritengo perciò grave e inaccettabile che dalle onde del servizio pubblico RAI si tenti di inculcare nei cittadini questa pericolosa deriva.

Non vorrei che di questo passo qualcuno arrivasse a proporre non la condanna, ma la medaglia per il modesto pubblico funzionario che, in cambio di un piccolo favore, pretenda una tangente di sole poche centinaia di euro.