di Lucia De Sanctis
Il criminologo Vincenzo Musacchio: “Assistemmo per la prima volta al processo mediatico di una persona molto nota e a una serie d’imperdonabili errori giudiziari”.
Professor Musacchio, cosa ricorda di quell’arresto?
Ricordo tutto nonostante avessi soltanto quindici anni. Enzo Tortora per me era il signor “Portobello”, una delle poche trasmissioni che mi era consentita vedere fino a una certa ora prima di andare a dormire. Lo ricordo in manette con due carabinieri al fianco. Se penso all’arresto di Messina Denaro senza manette oltre allo sconforto, mi pervade anche un senso di rabbia! Sono convinto che ancora oggi sia una delle pagine più buie della storia giudiziaria del nostro Paese.
Secondo lei fu errore o accanimento?
Fu un mix di circostanze e coincidenze devastanti che vanno all’errore alla mala giustizia dall’accanimento al cavalcare l’onda mediatica. Enzo Tortora era uno dei presentatori più popolari della televisione italiana. Il suo arresto fu spettacolarizzato da tv e giornali. Chi condusse le indagini sicuramente non le svolse al meglio soprattutto nell’opera di riscontro delle dichiarazioni di chi lo accusava. Ricordo una norma troppo dimenticata nel nostro ordinamento penale: il pubblico ministero oltre a ricercare le prove a carico dell’indagato dovrebbe ricercare anche quelle a discarico e aggiungo, io dovrebbe farlo con la stessa intensità con la quale svolge la prima ricerca.
Che ruolo ebbero l’informazione e la spettacolarizzazione del caso?
Tv e giornali furono caratteristici e credo assistemmo per la prima volta al processo mediatico fatto fuori dalle aule di giustizia che poi negli anni si è consolidato diventando prassi. Eppure bastava leggere le carte del procedimento penale per capire le evidenti contraddizioni contenute, le incongruenze, le smentite, gli spostamenti nel tempo e nello spazio delle accuse. Tutti fattori che deponevano per la non attendibilità degli accusatori.
Perché secondo lei questa spettacolarizzazione?
Mettere Tortora in manette in prima pagina sicuramente significava vendere più copie del giornale o più telespettatori in tv. Se fosse accaduto oggi, non oso pensare cosa sarebbe successo sui social.
Mi pare di capire che per lei oggi non è cambiato nulla?
È cambiato tutto, ma in peggio. La spettacolarizzazione sembra sia diventata prassi consolidata e con i social tutto è spettacolo anche la morte ripresa in diretta. Il web è un “non luogo” dove tutto è concesso, non essendoci ancora una disciplina di settore.
Che cosa significa essere innocente e rischiare una condanna definitiva?
Nel rispondere a questa domanda mi viene un nodo in gola. Per fortuna non ho vissuto questa terribile esperienza ma credo che sentirsi soli sia un’enorme sofferenza. Abbiamo visto più volte come questi casi portano la vittima al suicidio. È come la marchiatura delle mucche che resta per tutta la loro vita. Mi torna in mente l’immagine che il professor Franco Cordero da del processo penale nel suo celeberrimo manuale: “Il processo è come il fuoco” e con il fuoco se non si sta attenti, ci si scotta.
Tortora patì molto la custodia preventiva in carcere, lei in varie occasioni ha definito questa misura cautelare superabile, cosa intendeva dire?
Lo spiego subito partendo da un dato inconfutabile: nel triennio 2018-2020 le persone sottoposte a misure cautelari del carcere o degli arresti domiciliari assolte o prosciolte sono state 12.582. I dati provengono dalla Relazione al Parlamento del Ministro della Giustizia e sono aggiornati al primo quadrimestre dell’anno 2021. Questi dati, se pur non attualissimi, a mio avviso ci dicono che l’istituto delle misure cautelari personali necessiti di una rimodulazione secondo criteri reali di extrema ratio. L’uso di un simile strumento restrittivo della libertà personale di un soggetto, ricordiamolo, per legge, ancora innocente, va rivisto e al più presto.
Lei su cosa inciderebbe in un’eventuale riforma?
Guardi io non sono un processualpenalista, ma ritengo che i punti che meritino un efficace “labor limae” siano quattro: 1) la gravità del reato (vanno rivisti i delitti che giustifichino la custodia cautelare in carcere); 2) la persistenza o meno delle circostanze aggravanti o attenuanti (che possono attenuare o meno il ricorso alla custodia cautelare in carcere); 3) l’effettiva valutazione sulla capacità a delinquere della persona sottoposta a indagini; 4) il verificare se la persona sottoposta a indagini sia in grado di estinguere le obbligazioni di natura civilistica. Ritengo questi siano alcuni punti preliminari su cui si possa iniziare un serio dibattito in dottrina e in giurisprudenza.
Il ministro Nordio ha portato in Consiglio dei Ministri la prima parte di una riforma della giustizia. La soddisfa?
Della prima parte presentata condivido pochissimo, direi quasi nulla. Nella seconda parte dovrebbe esserci la separazione delle carriere dei magistrati, attraverso una riforma costituzionale che personalmente condivido. Aspettiamo naturalmente il testo e lo valuteremo nella sua globalità per esprimere un giudizio complessivo. Per ora mi sembra siamo di fronte ad uno stralcio di riforma insoddisfacente. Mi sarei concentrato di più sulla riforma del processo penale e sugli impegni assunti nel Pnrr. Occorrerà investire risorse umane e materiali sulla giustizia penale coprendo innanzitutto i vuoti di organico nella magistratura e nel personale amministrativo. La riforma della giustizia è un’impresa ardua e va fatta avendo una visione chiara di tutto il sistema e non soltanto di una parte dello stesso.
Sulla responsabilità civile dei magistrati ritiene che si debba mettere nuovamente mano?
L’ho detto e scritto più volte, come per tutte le professioni, bisognerebbe valutare qualitativamente e non solo quantitativamente l’operato del magistrato. Per spiegare ciò che a mio giudizio non funziona mi servirò di un esempio. Se si concorre per un posto da primario chirurgo e vi sono due concorrenti, il primo, su cento interventi ne ha portato a termine novantacinque con esisto favorevole e risolutorio; il secondo, invece, ne ha portato a termine con esisto favorevole soltanto cinquanta, voi quale dei due vorreste diventasse primario e soprattutto da quale vorreste essere operati? Se la stessa situazione si prospettasse per due magistrati, per diventare, ad esempio, procuratore della repubblica o presidente di tribunale con le medesime statistiche in termini di condanne e assoluzioni, voi quale dei due vorreste a svolgere le funzioni anzidette e da chi vorreste essere perseguiti o giudicati? Ricordo che Giovanni Falcone, non divenne Procuratore Nazionale Antimafia nonostante fosse il magistrato più competente al mondo nella lotta alle mafie e avesse inventato la Direzione Nazionale Antimafia. I magistrati che si occuparono del caso Tortora invece sono stati tutti promossi. L’approccio meritocratico unito all’esperienza favorirebbe certamente i magistrati più competenti, più equilibrati e più diligenti.
Un’ultima domanda. Si ricorda il ritorno di Enzo Tortora in tv dopo il suo calvario giudiziario?
Purtroppo ricordo anche quello, era il 1987 e ricordo ancora la sua espressione e le sue prime parole: “Dunque…dove eravamo rimasti?” Tornò in televisione, dal suo amatissimo pubblico, probabilmente perché voleva davvero ricominciare, ma non era più l’uomo di prima. Quei “terribili anni”, come li definì lui stesso, lo avevano segnato per sempre!
Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ottanta. È tra i più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali. Esperto di strategie di lotta al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto europeo di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative in ambito europeo.