Il giornalismo secondo Di Maio e Di Battista.

Forse generalizzare è sbagliato ma, quotidianamente l'informazione ci divulga le notizie tenendo conto del colore più o meno chiaro dell'editore padrone di questa o di quella testata.

Un fatto di cronaca o di politica diventa bianco o nero confondendo le idee a chi lo legge o lo ascolta.

I giornalisti come altre categorie di professionisti, se impiegati, diventano portavoce del datore di lavoro.

Inquadrate in questa ottica, le affermazioni di Di Maio e Di Battista che, hanno definito pennivendoli e puttane i giornalisti, possono avere anche un fondato nesso.

Però non è opportuno generalizzare, tanti cronisti nel mondo vengono ammazzati o rischiano quotidianamente la loro vita pur di fare una corretta informazione.

Anche in Italia si ammazzano giornalisti, vittime di una “guerra” diversa e davvero originale; reporter uccisi da mafia e terrorismo, rei di aver adempito al loro dovere e diritto di informare e riferire in modo corretto i cittadini.

Molti hanno salutato questo mondo nella convinzione che si sarebbe realizzato, un giorno, un futuro migliore, auspicando una piena e consapevole convivenza civile.

Una categoria disomogenea quella dei giornalisti come d'altronde quella dei giudici, avvocati, medici e chi più ne ha ne metta, all'angolo c'è sempre il corrotto, il lecca lecca, chi pur di far carriera è disposto a dire il falso, senza rendersi conto delle conseguenze che esso porta in essere.

"Giornalista giornalista e giornalista impiegato", due categorie apparentemente uguali, ma diversamente spalmate sul territorio.

La prima è una categoria così ristretta, così povera, così “abusiva”, senza prospettiva di carriera, che non fa notizia, soprattutto oggi. La seconda, asservita al potere dominante, è il giornalismo carrieristico, quello dello scoop e del gossip, quello dell’esaltazione del mostro e della sua redenzione.