Il Movimento Internazionale dei sacerdoti sposati fondato nel 2003 da don Giuseppe Serrone rilancia al Papa e ai Vescovi italiani l'offerta di collaborazione.

L'intervento a margine della notizia pubblicata da ilpiacenza.it su alcuni dati allarmanti della crisi dei preti e di un commento di don Ezio Molinari, parroco di San Francesco, la parrocchia più centrale di Piacenza.


"L'età media dei sacerdoti della Diocesi è di 69,9 anni. Sono 169, in calo rispetto alla fine del 2022, quando erano 177. Il sacerdote più giovane ha 29 anni e i due più anziani 102. Due sono in missione e undici sono residenti in altre diocesi. A supporto del clero locale ci sono 15 sacerdoti provenienti da altre diocesi e 8 sacerdoti religiosi con incarichi di cura di anime. La diocesi, articolata in 7 vicariati, 38 Comunità pastorali e 418 parrocchie, vede la presenza di 55 diaconi permanenti con un’età media di 71,3 anni. I due diaconi più giovani hanno 48 anni, mentre il più anziano ne ha 92.La Diocesi di Piacenza-Bobbio presenta, come ogni anno, il suo annuario. Uno strumento utile per mappare la Chiesa piacentina, guidata dal vescovo e che vede impegnati parroci e diaconi nelle tantissime parrocchie locali. Ogni anno, inevitabilmente, con la crisi delle vocazioni e l’invecchiamento del clero, i sacerdoti sono sempre meno. A Piacenza come in tutta Italia, rispetto al passato, si caricano di un peso di lavoro, burocratico, di presenza, sempre più importante.Qualche tempo fa avevamo raccontato, proprio su questo giornale, la storia di don Luciano Tiengo, parroco di Farini, che a 80 anni, senza avere la patente, ma guidando una mini-car, ogni domenica raggiunge una parte delle sue tante parrocchie di montagna, facendo ruotare le celebrazioni. «Saremo come i panda», scrive sui social, riferendosi alla presentazione dell’annuario 2024, don Ezio Molinari, parroco di San Francesco, la parrocchia più centrale della nostra città. «Ho l'impressione - scrive il don - che questi numeri indichino l'imminente collasso di un intero sistema ecclesiastico che da secoli, almeno dal Concilio di Trento, è andato imperniandosi sulla figura del prete-parroco. La tendenza all'implosione è evidente da decenni, probabilmente da almeno trent'anni».Cosa si può fare? «Temo che oggi, almeno in Occidente, le soluzioni siano ormai da cercare oltre il prete per come noi ce lo raffiguriamo. A me pare che nell'immaginario collettivo, anche per questioni anagrafiche, di fatto oggi siamo ancora fermi a “don Camillo” quando non al “Curato d'Ars” (magari con piccoli ritocchi), in un ritardo che sarebbe grottesco se non fosse drammatico. L'andamento degli ultimi 50 anni ci dice che tra 15 o 20 anni i preti se non saranno estinti saranno come i panda o, meglio, come i dinosauri, resti di un'era antica». «Perciò l'idea di accorpare le parrocchie, al di là delle migliori intenzioni, mi sembra comunque di corto respiro, e rimane un po' naïf: è evidente la sproporzione sempre maggiore tra parroci e parrocchie. Fino a quando si potrà pensare di sovraccaricare un clero che sarà sempre più rado e sempre più anziano?».«Oggi temo che ci vorrebbe l'onestà - prosegue don Molinari - di riconoscere che le soluzioni per il futuro non passeranno più per questa figura di prete. Io credo che il vero tema del futuro (al quale bisognerebbe iniziare a lavorare oggi, per trovarci pronti quando sarà il momento) non sia più quello del clero, ma piuttosto quello, più ampio, del ministero: quali saranno le figure cui affidare la responsabilità del ministero che una volta era del parroco che domani non ci sarà più, ma la cui figura rischia di rimanere enormemente ingombrante anche in sua assenza? E così penso a quali dolorosi e radicali cambi di orizzonte saranno necessari per andare verso il futuro».Nel dibattito social interviene anche don Paolo Cignatta, parroco del Preziosissimo Sangue. «A dire il vero è da un po’ che la Chiesa si sta interrogando sulla situazione, chi più, chi meno. La Chiesa non è solamente il clero. I preti non sono funghi, non si clonano, non si creano con compagne promozionali. I preti nascono dentro comunità cristiane, li scoprono la loro fede e quindi la loro vocazione. Provocatoriamente vorrei dire che abbiamo il numero giusto di preti rispetto al numero dei fedeli laici. È ovvio che sia un momento di travaglio, ma a me pare evidentissimo che andremo verso piccole comunità credenti, più evangeliche e vere».«Il problema è molto più vasto - riprende il dibattito don Ezio Molinari rispondendo all’opinione di don Cignatta e di altri utenti - e io direi che riguarda innanzitutto l'insieme della realtà ecclesiale nei suoi equilibri. È vero che calano i preti come cala la gente (ma non i fabbricati e le responsabilità gestionali, che quindi di fatto si stanno moltiplicando) perché cala la devozione, ma il rischio è di pensare di risolvere il problema di domani con soluzioni di ieri, magari rivedute e corrette (magari replicando in qualche modo la realtà parrocchiale odierna, che mi pare già abbastanza antiquata, pensando di rimodernarla un po' per adattarla al futuro). E non vorrei che si pensasse di risolvere il problema in termini di rapporti tra numero di fedeli e numero di parroci. Il problema invece mi pare nel rapporto tra il parroco e i fedeli. E quindi anche nella figura del parroco stesso, e non semplicemente nel numero piò o meno esiguo dei parroci. Da un lato c' è il problema dei “panda”, e questo è un problema numerico e gestionale con cui volenti o nolenti dovremo presto fare i conti, ma dall'altro lato c'è il problema dei “dinosauri”, cioè di una figura clericale (e quindi di una strutturazione parrocchiale) che rischia di restare prigioniera del suo passato, perché storicamente segnata dalla cultura socioreligiosa che la ha modellata, e che ormai è giunta al tramonto se non al crepuscolo».«Voglio dire - conclude il sacerdote - che ho l'impressione che dovrà essere ripensata e riplasmata (e forse anche rovesciata?) per la situazione attuale, e quindi con lei l'intero assetto della comunità cristiana, non semplicemente nel suo equilibrio interno, ma soprattutto nel suo versante di relazione con il mondo esterno (che è la sua ragion d'essere principale. Per esempio, siamo abituati a dire: andiamo in parrocchia, ma forse piuttosto la parrocchia dovrà abituarsi a dire: andiamo nella città, usciamo fuori). Per questo dicevo che già oggi secondo me il tema non è più tanto quello del clero, ma quello del ministero (che coinvolge l'intera comunità cristiana), cioè di chi dovrà avere le responsabilità sacramentali e gestionali in una comunità cristiana in cui l'attuale prete sarà il “panda”' della situazione. Ricordo le lezioni di teologia di padre Toscani, quando provocatoriamente si domandava: finirà la Chiesa quando finiranno i preti? Ovviamente “no”, ma ecco, secondo me è una bella sfida, avvincente ma, parlo per me, nella consapevolezza del dinosauro che è in me»"

Fonte: ilpiacenza.it